| Vorremmo che le discussioni avessero tendenzialmente questo schema di partenza: - Titolo - Definizioni dell’argomento scelto, possibilmente tratto da quelle di Georgei nei primi tre volumi «Dall’Uno all’Uno» - Eventuali messaggi di spiegazione - Personale interpretazione o dubbi o richieste di chiarimento, possibilmente portando la discussione sull’osservazione dell’argomento nella pratica di tutti i giorni. Incominciamo col proporre una discussione noi, così apriamo la strada con un esempio.
Titolo: Fare ciò che si sente Definizione data da Georgei: «Fare ciò che si sente» è uno degli interrogativi più grossi che l’individuo si trova a dover affrontare, perché se è vero che è giusto agire seguendo il proprio sentire, è altrettanto vero che ben difficilmente, a questo livello evolutivo, si può aver la certezza che ciò che si sente provenga veramente dal proprio «sentire». Generalmente si usa la frase «fa’ ciò che senti» quando un individuo si trova di fronte alla difficoltà di compiere delle scelte particolarmente importanti; mentre, per quanto riguarda il quotidiano e le piccole esperienze di tutti i giorni, viene quasi dato per scontato che un individuo si comporti in maniera conforme al proprio «sentire», ma in realtà non sempre è così anzi, questo non accade quasi mai a causa delle varie influenze che subiamo e ai condizionamenti cui siamo sottoposti, sia interni (l’Io) che esterni (ambiente e società). Soltanto verso la fine delle incarnazioni, quando il quadro del sentire è quasi completamente strutturato, sarà più facile fare veramente ciò che si sente più che quello che «si pensa» di sentire o si ritiene di «dover» sentire. Nell’attesa di arrivare a quel punto non ci resta che operare su noi stessi per permettere che le condizioni perché ciò avvenga si avverino, osservando noi stessi e il nostro comportamento e cercando, per quanto è possibile, di essere sinceri con noi stessi. (Georgei)
Messaggio esemplificativo: Se osserviamo un individuo qualsiasi nel corso di una giornata qualunque della sua esistenza, riusciremo a vedere come in molte occasioni, nell’arco delle 16-18 ore di veglia di una sua giornata, egli vada contro quello che invece sentirebbe di fare. Mettiamo che sia una cupa e umida giornata autunnale, una di quelle che sicuramente non contribuiscono a farti alzare di buonumore, ecco che al momento del risveglio egli comincia a dover andare contro se stesso soffocando il desiderio di restarsene a letto al caldo invece di alzarsi per raggiungere il proprio posto di lavoro. Primo sforzo: se avesse fatto quello che sentiva di fare non si sarebbe alzato, avrebbe continuato a dormire e forse anche a poltrire sotto le coperte del suo caldo e morbido letto, ma il senso del dovere lo ha spinto ha trovare il coraggio di alzarsi ed iniziare così la sua giornata. Mettiamo che la nostra creatura abbia un’attività lavorativa che lo ponga in continua relazione con gli altri. Già alzatosi di cattivo umore «perché a letto si sarebbe sicuramente stati meglio» ecco che egli, poverino, deve affrontare le persone che a lui si rivolgono, ed ancora una volta lo vediamo «costretto» a fare buon viso a cattivo gioco non attribuendo agli altri, che hanno in qualche modo bisogno di lui, la causa del suo malumore... Ancora una volta, il senso del dovere lo spinge ad essere il più cordiale e disponibile possibile nei suoi rapporti interpersonali. Secondo sforzo: se avesse fatto quello che sentiva di fare non si sarebbe posto più di tanto il problema di essere cordiale e disponibile con gli altri e non avrebbe esitato più di tanto a mandare al diavolo coloro che gli apparivano particolarmente noiosi. Lo troviamo, adesso, dopo aver accumulato già un po’ di tensioni a causa della «levataccia» e degli sforzi di essere (e non apparire) cordiale con gli altri, di fronte ad un caso particolarmente difficile: gli si para infatti davanti una persona (di quelle con cui ti rendi subito conto che è impossibile comunicare o instaurare un rapporto di qualsiasi tipo) che riesce in un fiat a «mandarlo in bestia» ad un punto tale che ci vuole tutta la sua forza di volontà per controllarsi nelle reazioni. Terzo sforzo: se avesse fatto quello che si sentiva di fare non avrebbe dato sfogo alle sue reazioni in quanto non avrebbe neanche permesso a quell’individuo di esasperarlo al punto da fargli perdere la pazienza; ecco che, ancora una volta, il suo senso del dovere lo ha spinto ad accettare anche questa situazione cercando di compensarla con ciò che di positivo e gratificante gli capiterà nel corso della giornata. E così, tra alti e bassi, trascorre la sua giornata lavorativa, accumulando al suo attivo una decina di sforzi dello stesso tipo dei precedenti, fino ad arrivare a sera, al rientro a casa, non totalmente soddisfatto, ma comunque neanche particolarmente deluso o affaticato, tuttavia con il desiderio di trascorrere una tranquilla serata facendo ciò che più gli aggrada fare. Immaginiamo ancora che il nostro individuo abbia famiglia, abbia dei figli. Ecco che lo vediamo in uno dei momenti più importanti per una famiglia: l’ora di cena, con tutti riuniti attorno al tavolo, pronti a scambiarsi le esperienze che ognuno ha avuto nel corso della giornata appena trascorsa. Immagine forse un po’ troppo patriarcale, forse anche un po’ démodè, ma perdonatemi... ognuno è figlio del proprio tempo! Finalmente rilassato ed a proprio agio, confortato dall’idea che da lì a poco potrà finalmente dedicarsi al suo hobby preferito, in modo da finire nel modo migliore una giornata così e così, ecco che ad uno ad uno i componenti della sua famiglia, dal partner ai figli, cominciano a sciorinargli le loro problematiche, le loro quotidiane frustrazioni, ed ognuno di essi, a modo proprio, gli fa una tacita richiesta di aiuto, o quanto meno di una parola di conforto. Penultimo sforzo: se il nostro amico avesse fatto quello che sentiva di fare, ecco che avrebbe fatto orecchi da mercante o avrebbe raccontato le sue frustrazioni quotidiane insaporendole anche un po’ in modo da deviare l’attenzione degli altri su quelli che erano stati i suoi problemi, invece ancora una volta il suo senso del dovere lo spinge a pensare che, tutto sommato, quanto da lui vissuto nelle ore precedenti era ben piccola cosa di fronte agli occhi lucidi di uno dei suoi figli che ha preso un inaspettato brutto voto a scuola, o alla frustrazione del partner che è stato aspramente rimproverato sul posto di lavoro, o all’altro figlio che, adolescente, soffre di difficoltà di comunicazione con i suoi coetanei, cosicché si sente solo e inadeguato. E così, lo troviamo a ricercare al proprio interno una parola di conforto e di incoraggiamento per tutti... Intanto il tempo passa e l’idea di poter dedicare quel poco di tempo che gli e rimasto al proprio hobby si affievolisce sempre più... tuttavia un’altra idea fa capolino: c’è sempre la possibilità di scaricare le tensioni accumulate nel corso della giornata in un altro modo. Lo ritroviamo quindi nuovamente a letto, come lo avevamo trovato al mattino, a fianco del suo partner che, terribilmente stanco e amareggiato, gli augura una frettolosa buonanotte. Ultimo sforzo: il nostro amico spegne la luce e si addormenta! Se avesse fatto quello che si sentiva di fare... Ecco, mi rendo conto che gli esempi portati possono sembrare anche banali, invece non lo sono, o per lo meno non lo sono relativamente al punto in cui vi voglio portare. Non concluderò questo messaggio sciorinandovi chissà quale teoria, ma vi farò delle domande alle quali sarà vostro compito fornire una risposta. È chiaro che il non volersi alzare dal letto, il non aver voglia di essere cordiale e disponibile con tutti, etc. etc. sono movimenti dell’Io, ma lo sforzo, il costringersi a fare qualcosa che in quel momento il vostro Io non vorrebbe fare, chi lo fa? Che significato ha? Da dove proviene? Ho parlato, in ogni esempio, di «senso del dovere», ma ciò che comunemente viene chiamato in questo modo che cos’è in realtà? Potrebbe essere un «sentire» che traspare, che supera i limiti e le barriere poste dall’Io dell’individuo e che spinge ad un determinato tipo di comportamento, e che l’Io deve giustificare in qualche modo, chiamandolo appunto «senso del dovere»? Il fatto di mettere in ogni occasione, anche se a fatica, da parte se stessi e i propri bisogni, non potrebbe significare che il «sentire» si sta facendo strada, o invece pensate che quando una certa azione viene compiuta in perfetta armonia col proprio «sentire» essa debba essere necessariamente fluida e spontanea? (Francesco) Il «fare ciò che si sente» viene facilmente confuso col «fare ciò che ti va di fare» e c’è anche chi può dire: «È giusto fare ciò che a uno va di fare perché in questo modo può comprendere quello che deve comprendere». Questo è il passo a cui potrebbe arrivare la persona che segue l’insegnamento applicando - senza tener conto di tutto l’insegnamento - le cose che sono state dette nell’insegnamento filosofico e morale; però voi vi rendete conto, creature, che non sempre è veramente possibile e giusto fare ciò che si sente di fare, a prescindere dal fatto che ciò che si sente sia dovuto al sentire o, come accade di solito, all’Io. Vi deve essere, allora, una discriminante di qualche tipo a cui fare riferimento, in modo da poter adattare il proprio comportamento a quella che è la manifestazione del comportamento personale all’interno della famiglia, della società in cui uno vive. Ovviamente, questa discriminante non può essere che l’intenzione; ma l’intenzione non è così facile da conoscere, quindi non può essere un motivo abbastanza sicuro per poter fare da discriminante nel modo di comportarsi dell’individuo; se io fossi sicuro sempre delle mie intenzioni, certamente farei sempre per il meglio quello che devo fare; giusto? D’altra parte, se io conoscessi tutte le mie intenzioni, probabilmente non mi incarnerei neanche più, perché vorrebbe dire che ho compreso tutto quello che dovevo comprendere di me stesso e quindi della Realtà. La cosa è molto semplice: è giusto seguire gli impulsi e i comportamenti di ciò che «ci sembra» di sentire (lasciamo questa parentesi aperta) sempre che non ci si renda conto che il nostro agire «sentitamente» non sia scopertamente, evidentemente, senza ombra di dubbio, un danno per qualcun altro; ovvero il mio «fare ciò che sento» deve avere il suo limite nel «non fare dei danni agli altri». (Scifo)
Considerazioni: Apparentemente il discorso sembra semplice e consequenziale. Però nella pratica le cose stanno diversamente. Per esempio: tenere conto dell’insegnamento può far perdere la spontaneità, di conseguenza quanto è giusto fermarsi ad analizzare quant’è meglio fare invece di agire immediatamente. Ci sembra che questo possa variare da situazione a situazione ma, allora, si incappa per forza di cose, secondo noi, nella percezione soggettiva della realtà, per cui ciò che si sente potrebbe veramente diventare una scusa dell’Io. I Moderatori
Edited by Moderatore sez. Etico-Morale - 27/9/2010, 16:19
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