Fare ciò che si sente

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Moderatore sez. Filosofica 1
view post Posted on 24/9/2010, 08:33




Vorremmo che le discussioni avessero tendenzialmente questo schema di partenza:
- Titolo
- Definizioni dell’argomento scelto, possibilmente tratto da quelle di Georgei nei primi tre volumi «Dall’Uno all’Uno»
- Eventuali messaggi di spiegazione
- Personale interpretazione o dubbi o richieste di chiarimento, possibilmente portando la discussione sull’osservazione dell’argomento nella pratica di tutti i giorni.

Incominciamo col proporre una discussione noi, così apriamo la strada con un esempio.

Titolo: Fare ciò che si sente
Definizione data da Georgei:
«Fare ciò che si sente» è uno degli interrogativi più grossi che l’individuo si trova a dover affrontare, perché se è vero che è giusto agire seguendo il proprio sentire, è altrettanto vero che ben difficilmente, a questo livello evolutivo, si può aver la certezza che ciò che si sente provenga veramente dal proprio «sentire».
Generalmente si usa la frase «fa’ ciò che senti» quando un individuo si trova di fronte alla difficoltà di compiere delle scelte particolarmente importanti; mentre, per quanto riguarda il quotidiano e le piccole esperienze di tutti i giorni, viene quasi dato per scontato che un individuo si comporti in maniera conforme al proprio «sentire», ma in realtà non sempre è così anzi, questo non accade quasi mai a causa delle varie influenze che subiamo e ai condizionamenti cui siamo sottoposti, sia interni (l’Io) che esterni (ambiente e società).
Soltanto verso la fine delle incarnazioni, quando il quadro del sentire è quasi completamente strutturato, sarà più facile fare veramente ciò che si sente più che quello che «si pensa» di sentire o si ritiene di «dover» sentire.
Nell’attesa di arrivare a quel punto non ci resta che operare su noi stessi per permettere che le condizioni perché ciò avvenga si avverino, osservando noi stessi e il nostro comportamento e cercando, per quanto è possibile, di essere sinceri con noi stessi. (Georgei)

Messaggio esemplificativo:
Se osserviamo un individuo qualsiasi nel corso di una giornata qualunque della sua esistenza, riusciremo a vedere come in molte occasioni, nell’arco delle 16-18 ore di veglia di una sua giornata, egli vada contro quello che invece sentirebbe di fare.
Mettiamo che sia una cupa e umida giornata autunnale, una di quelle che sicuramente non contribuiscono a farti alzare di buonumore, ecco che al momento del risveglio egli comincia a dover andare contro se stesso soffocando il desiderio di restarsene a letto al caldo invece di alzarsi per raggiungere il proprio posto di lavoro.
Primo sforzo: se avesse fatto quello che sentiva di fare non si sarebbe alzato, avrebbe continuato a dormire e forse anche a poltrire sotto le coperte del suo caldo e morbido letto, ma il senso del dovere lo ha spinto ha trovare il coraggio di alzarsi ed iniziare così la sua giornata.
Mettiamo che la nostra creatura abbia un’attività lavorativa che lo ponga in continua relazione con gli altri.
Già alzatosi di cattivo umore «perché a letto si sarebbe sicuramente stati meglio» ecco che egli, poverino, deve affrontare le persone che a lui si rivolgono, ed ancora una volta lo vediamo «costretto» a fare buon viso a cattivo gioco non attribuendo agli altri, che hanno in qualche modo bisogno di lui, la causa del suo malumore... Ancora una volta, il senso del dovere lo spinge ad essere il più cordiale e disponibile possibile nei suoi rapporti interpersonali.
Secondo sforzo: se avesse fatto quello che sentiva di fare non si sarebbe posto più di tanto il problema di essere cordiale e disponibile con gli altri e non avrebbe esitato più di tanto a mandare al diavolo coloro che gli apparivano particolarmente noiosi.
Lo troviamo, adesso, dopo aver accumulato già un po’ di tensioni a causa della «levataccia» e degli sforzi di essere (e non apparire) cordiale con gli altri, di fronte ad un caso particolarmente difficile: gli si para infatti davanti una persona (di quelle con cui ti rendi subito conto che è impossibile comunicare o instaurare un rapporto di qualsiasi tipo) che riesce in un fiat a «mandarlo in bestia» ad un punto tale che ci vuole tutta la sua forza di volontà per controllarsi nelle reazioni.
Terzo sforzo: se avesse fatto quello che si sentiva di fare non avrebbe dato sfogo alle sue reazioni in quanto non avrebbe neanche permesso a quell’individuo di esasperarlo al punto da fargli perdere la pazienza; ecco che, ancora una volta, il suo senso del dovere lo ha spinto ad accettare anche questa situazione cercando di compensarla con ciò che di positivo e gratificante gli capiterà nel corso della giornata.
E così, tra alti e bassi, trascorre la sua giornata lavorativa, accumulando al suo attivo una decina di sforzi dello stesso tipo dei precedenti, fino ad arrivare a sera, al rientro a casa, non totalmente soddisfatto, ma comunque neanche particolarmente deluso o affaticato, tuttavia con il desiderio di trascorrere una tranquilla serata facendo ciò che più gli aggrada fare.
Immaginiamo ancora che il nostro individuo abbia famiglia, abbia dei figli. Ecco che lo vediamo in uno dei momenti più importanti per una famiglia: l’ora di cena, con tutti riuniti attorno al tavolo, pronti a scambiarsi le esperienze che ognuno ha avuto nel corso della giornata appena trascorsa. Immagine forse un po’ troppo patriarcale, forse anche un po’ démodè, ma perdonatemi... ognuno è figlio del proprio tempo! Finalmente rilassato ed a proprio agio, confortato dall’idea che da lì a poco potrà finalmente dedicarsi al suo hobby preferito, in modo da finire nel modo migliore una giornata così e così, ecco che ad uno ad uno i componenti della sua famiglia, dal partner ai figli, cominciano a sciorinargli le loro problematiche, le loro quotidiane frustrazioni, ed ognuno di essi, a modo proprio, gli fa una tacita richiesta di aiuto, o quanto meno di una parola di conforto.
Penultimo sforzo: se il nostro amico avesse fatto quello che sentiva di fare, ecco che avrebbe fatto orecchi da mercante o avrebbe raccontato le sue frustrazioni quotidiane insaporendole anche un po’ in modo da deviare l’attenzione degli altri su quelli che erano stati i suoi problemi, invece ancora una volta il suo senso del dovere lo spinge a pensare che, tutto sommato, quanto da lui vissuto nelle ore precedenti era ben piccola cosa di fronte agli occhi lucidi di uno dei suoi figli che ha preso un inaspettato brutto voto a scuola, o alla frustrazione del partner che è stato aspramente rimproverato sul posto di lavoro, o all’altro figlio che, adolescente, soffre di difficoltà di comunicazione con i suoi coetanei, cosicché si sente solo e inadeguato.
E così, lo troviamo a ricercare al proprio interno una parola di conforto e di incoraggiamento per tutti... Intanto il tempo passa e l’idea di poter dedicare quel poco di tempo che gli e rimasto al proprio hobby si affievolisce sempre più... tuttavia un’altra idea fa capolino: c’è sempre la possibilità di scaricare le tensioni accumulate nel corso della giornata in un altro modo. Lo ritroviamo quindi nuovamente a letto, come lo avevamo trovato al mattino, a fianco del suo partner che, terribilmente stanco e amareggiato, gli augura una frettolosa buonanotte. Ultimo sforzo: il nostro amico spegne la luce e si addormenta! Se avesse fatto quello che si sentiva di fare...
Ecco, mi rendo conto che gli esempi portati possono sembrare anche banali, invece non lo sono, o per lo meno non lo sono relativamente al punto in cui vi voglio portare. Non concluderò questo messaggio sciorinandovi chissà quale teoria, ma vi farò delle domande alle quali sarà vostro compito fornire una risposta.
È chiaro che il non volersi alzare dal letto, il non aver voglia di essere cordiale e disponibile con tutti, etc. etc. sono movimenti dell’Io, ma lo sforzo, il costringersi a fare qualcosa che in quel momento il vostro Io non vorrebbe fare, chi lo fa? Che significato ha? Da dove proviene? Ho parlato, in ogni esempio, di «senso del dovere», ma ciò che comunemente viene chiamato in questo modo che cos’è in realtà? Potrebbe essere un «sentire» che traspare, che supera i limiti e le barriere poste dall’Io dell’individuo e che spinge ad un determinato tipo di comportamento, e che l’Io deve giustificare in qualche modo, chiamandolo appunto «senso del dovere»? Il fatto di mettere in ogni occasione, anche se a fatica, da parte se stessi e i propri bisogni, non potrebbe significare che il «sentire» si sta facendo strada, o invece pensate che quando una certa azione viene compiuta in perfetta armonia col proprio «sentire» essa debba essere necessariamente fluida e spontanea? (Francesco) Il «fare ciò che si sente» viene facilmente confuso col «fare ciò che ti va di fare» e c’è anche chi può dire: «È giusto fare ciò che a uno va di fare perché in questo modo può comprendere quello che deve comprendere».
Questo è il passo a cui potrebbe arrivare la persona che segue l’insegnamento applicando - senza tener conto di tutto l’insegnamento - le cose che sono state dette nell’insegnamento filosofico e morale; però voi vi rendete conto, creature, che non sempre è veramente possibile e giusto fare ciò che si sente di fare, a prescindere dal fatto che ciò che si sente sia dovuto al sentire o, come accade di solito, all’Io. Vi deve essere, allora, una discriminante di qualche tipo a cui fare riferimento, in modo da poter adattare il proprio comportamento a quella che è la manifestazione del comportamento personale all’interno della famiglia, della società in cui uno vive.
Ovviamente, questa discriminante non può essere che l’intenzione; ma l’intenzione non è così facile da conoscere, quindi non può essere un motivo abbastanza sicuro per poter fare da discriminante nel modo di comportarsi dell’individuo; se io fossi sicuro sempre delle mie intenzioni, certamente farei sempre per il meglio quello che devo fare; giusto? D’altra parte, se io conoscessi tutte le mie intenzioni, probabilmente non mi incarnerei neanche più, perché vorrebbe dire che ho compreso tutto quello che dovevo comprendere di me stesso e quindi della Realtà. La cosa è molto semplice: è giusto seguire gli impulsi e i comportamenti di ciò che «ci sembra» di sentire (lasciamo questa parentesi aperta) sempre che non ci si renda conto che il nostro agire «sentitamente» non sia scopertamente, evidentemente, senza ombra di dubbio, un danno per qualcun altro; ovvero il mio «fare ciò che sento» deve avere il suo limite nel «non fare dei danni agli altri». (Scifo)

Considerazioni:
Apparentemente il discorso sembra semplice e consequenziale.
Però nella pratica le cose stanno diversamente.
Per esempio: tenere conto dell’insegnamento può far perdere la spontaneità, di conseguenza quanto è giusto fermarsi ad analizzare quant’è meglio fare invece di agire immediatamente.
Ci sembra che questo possa variare da situazione a situazione ma, allora, si incappa per forza di cose, secondo noi, nella percezione soggettiva della realtà, per cui ciò che si sente potrebbe veramente diventare una scusa dell’Io
.
I Moderatori

Edited by Moderatore sez. Etico-Morale - 27/9/2010, 16:19
 
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view post Posted on 28/9/2010, 06:10
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Ciao, sul fare ciò che si sente, è vero che la percezione soggettiva riguardo a una data situazione potrebbe diventare una comoda scusa dell'io, credo però, che una corretta osservazione sulle componenti in gioco, per vedere se vengono giustamente considerate e soddisfatte, ci può dare l'idea se stiamo facendo ciò che sentiamo, oppure siamo prede del nostro io. Con altre parole, non sucederà mai che il nostro sentire sia "contro" il sentire di un'altro individuo, sarà diverso certamente, ma mai contro. Allora se il sentire non è mai "contro", in una situazione dove siano coinvolte più persone, se consideriamo le ragione degli altri come consideriamo le nostre, è probabile che in atto ci sia il nostro sentire, se invece diamo poca importanza, oppure non consideriamo afatto le ragioni altrui, beh allora direi che in questo caso siamo sottoposti all'icudine dell'io.

Luciano
 
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view post Posted on 28/9/2010, 08:35
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Personalmente mi sono accorto che spesso non è affatto così problematico capire quando fai davvero ciò che senti e quando invece stai seguendo prevalentemente delle pulsioni dell'io. Il risultato sulla mia serenità interiore, sul sentirmi in colpa o meno per quello che sto per fare, per me è un ottimo indicatore delle intenzioni che mi spingono ad agire.
Se sto davvero facendo quello che sento - intendendo che agisco in accordo con le spinte del mio sentire - difficilmente avrò grossi sensi di colpa e problemi al mio interno per quello che sto per fare. Anzi in linea di massima, ciò che provo in questi casi è la sensazione di fare qualcosa di giusto, magari anche doveroso. Ovviamente la cosa mi può costare fatica, oppure mi può turbare perché mi obbliga ad affrontare delle paure da cui il mio io vorrebbe fuggire, ma non penso che il malessere possa davvero essere profondo, come quando invece agisco in disaccordo alle spinte del mio sentire.
E' che spesso per comodità - per non dover appunto affrontare esperienze scomode - ci chiudiamo occhi e orecchie a queste sensazioni che dentro di noi, ci stanno parlando forte e chiaro, indicandoci quale sarebbe la strada giusta.

Come sempre si ricade nella schiettezza della osservazione di ciò che si agita dentro di noi, senza volersi nascondere dietro un dito. :)

Edited by Odisseo76 - 28/9/2010, 15:31
 
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elisa_bar
view post Posted on 28/9/2010, 19:25




anche per me l'elemento distintivo che mi permette di capire se sto facendo davvero quello che sento oppure no è la sofferenza; infatti se se ne va o si attenua sento proprio che era la cosa giusta da fare, anche se magari avrei preferito fare tutt'altro; mi capita anche che magari provo un senso di disagio o soffro interiormente, analizzo la situazione e scelgo di fare qualcosa (ciò che sento): a quel punto, una volta agito, sento proprio che il disagio si attenua o sparisce.
Quindi il discorso vale in tutti e due i sensi.

Domanda: secondo me la sofferenza derivata dall'io e quella dovuta al non aver seguito il sentire sono diverse e "mi sembra" di poterlo percepire interiormente; è una mia paturnia?

 
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Daria83
view post Posted on 28/9/2010, 20:21




@Elisa e Ulisse:

Ma quindi voi parlate di rendersi conto di aver fatto quel che si sentiva, cioè una volta fatto. Una persona si può accorgere (più o meno facilmente) di aver agito secondo il proprio sentire solo osservando le conseguenze che questo ha interiormente su di lui?
Non lo si può sapere prima? Sarebbe veramente più comodo... :)

Onestamente a me mette parecchio in imbarazzo questo argomento: ora come ora non mi vedo molto in grado di essere così onesta nell'osservarmi, non in tutte le situazioni per lo meno. Quando sono arrabbiata no di certo... :unsure:
Ma ci sto lavorando!
 
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view post Posted on 28/9/2010, 20:22
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Ciao a tutti,
non mi riesce mica tanto facile immaginare o capire come fa uno a non fare ciò che si sente di fare.....
se il sentirsi di fare o di essere è un'azione o uno stato d'essere riferibile all'operato dell'io allora ogni costrutto è da quest'ultimo determinato vissuto e subito, e quindi variabile in funzione dello stato d'animo o condizionamenti vari a cui esso è sottoposto. Se invece il sentirsi di fare o di essere è riferito ad uno stato o grado legato al sentire individuale, credo che in quel dato momento e dovuto al proprio sentire uno non possa che fare o essere così come egli è. Secondo me sono due punti di vista che però alla fin fine hanno la propria genesi nel sentire raggiunto, quello che per forza di cose, magari, ti permette di analizzare ed anche cambiare, grazie alle spinte intrinseche, il comportamento individuale o le reazioni rispetto agli accadimenti della vita.
Davio
 
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luca_m
view post Posted on 28/9/2010, 20:26




Mah...io non è che sia completamente d'accordo nel senso che la vedo più complicata.

A me ad esempio capita di essere tranquillo anche quando mi comporto conformemente con quello che gli altri (o l'AT) si aspettano, ma questo non significa necessariamente fare ciò che si sente.

Per me è molto più sottile cogliere la differenza interiore che passa tra il fare ciò che si sente e tutte le altre possibilità.

 
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view post Posted on 28/9/2010, 20:27
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Per me l'elemento che mi permette di capire se sto per fare la cosa giusta è una sorta di equilibrio interiore che avverto mentre rifletto, appunto, sulla scelta. Caso contrario avverto una disarmonia, una instabilità.
Mi capita anche di scegliere di comportarmi in un modo anzichè in un altro attuando una scelta razionale, contraria all'istinto, e confesso che ciò che mi spinge è anche il timore della correzione che, inevitabilmente, subirei.
 
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view post Posted on 29/9/2010, 08:44
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CITAZIONE (luca_m @ 28/9/2010, 21:26)
Mah...io non è che sia completamente d'accordo nel senso che la vedo più complicata.

A me ad esempio capita di essere tranquillo anche quando mi comporto conformemente con quello che gli altri (o l'AT) si aspettano, ma questo non significa necessariamente fare ciò che si sente.

Per me è molto più sottile cogliere la differenza interiore che passa tra il fare ciò che si sente e tutte le altre possibilità.

Penso ci siano casi e casi. Fare ciò che si sente significa seguire il proprio sentire, quindi più forte si sentirà la spinta del sentire, più semplice sarà avvertirla e distinguerla dalle altre spinte che ci influenzano.

CITAZIONE
[Daria] Ma quindi voi parlate di rendersi conto di aver fatto quel che si sentiva, cioè una volta fatto. Una persona si può accorgere (più o meno facilmente) di aver agito secondo il proprio sentire solo osservando le conseguenze che questo ha interiormente su di lui?
Non lo si può sapere prima? Sarebbe veramente più comodo...

Secondo puoi accorgertene anche prima, anche se come dicevo, secondo me dipende da quanto forte è l'influenza del tuo sentire in quella data circostanza.

xDavio: fare ciò che si sente secondo le Guide non significa seguire l'io, ma il proprio sentire. E' ben diverso da dire "fare quello che ti pare e piace" :)
 
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tulliarina
view post Posted on 29/9/2010, 11:41




Sono d'accordo con voi nel ritenere il senso di malessere o il disagio interiore la spia che ci indica che forse non si è fatto ciò che veramente si sentiva di fare. Eppure ci sono delle situazioni in cui si "sente" di fare la cosa giusta e non si prova alcuna sofferenza o fastidio interiore sul momento, ma magari dopo un bel po' di tempo ecco che quella sofferenza comincia a far capolino e ti trovi costretto a rivedere i perché, le motivazioni di quella scelta che nel momento in cui l'hai attuata ti sembrava quella giusta, e devi così rimetterti in discussione. Non che questo sia un male si intende, rimettersi in discussione è comunque un modo sia di tenere aggiornata la propria immagine sia per scoprire qualcosa di nuovo di se stessi, tuttavia ciò mi lascia perplessa in quanto una situazione del genere mi sembri denunci quanto sia veramente dififcile capire se si agisce per l'influenza del proprio sentire o per le spinte dell'io. A questo punto mi chiedo: è veramente possibile capirlo?

Alla domanda di Elisa : secondo me la sofferenza derivata dall'io e quella dovuta al non aver seguito il sentire sono diverse e "mi sembra" di poterlo percepire interiormente; è una mia paturnia? direi che è vero c'è una differenza tra le due cose, per quanto mi riguarda posso dire che nel primo caso (IO) la sofferenza è più pacchiana, grossolana e tende a manifestarsi in maniera quasi plateale in modo che gli altri si accorgano di quanto stai soffrendo, nel secondo caso (senitre) invece è più un senso di malessere che tende a non manifestarsi o se lo fa si manifesta con nervosismo o seso di fastidio.

Tullia
 
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view post Posted on 29/9/2010, 11:55
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CITAZIONE (tulliarina @ 29/9/2010, 12:41)
Sono d'accordo con voi nel ritenere il senso di malessere o il disagio interiore la spia che ci indica che forse non si è fatto ciò che veramente si sentiva di fare. Eppure ci sono delle situazioni in cui si "sente" di fare la cosa giusta e non si prova alcuna sofferenza o fastidio interiore sul momento, ma magari dopo un bel po' di tempo ecco che quella sofferenza comincia a far capolino e ti trovi costretto a rivedere i perché, le motivazioni di quella scelta che nel momento in cui l'hai attuata ti sembrava quella giusta, e devi così rimetterti in discussione. Non che questo sia un male si intende, rimettersi in discussione è comunque un modo sia di tenere aggiornata la propria immagine sia per scoprire qualcosa di nuovo di se stessi, tuttavia ciò mi lascia perplessa in quanto una situazione del genere mi sembri denunci quanto sia veramente dififcile capire se si agisce per l'influenza del proprio sentire o per le spinte dell'io. A questo punto mi chiedo: è veramente possibile capirlo?

Il fatto che il risultato di certi nostri atteggiamenti si faccia sentire sotto forma di sofferenza solo dopo molto tempo, potrebbe secondo me indicare che in questo tempo si è raggiunto un maggiore contatto col proprio sentire; maggiore contatto che permette al nostro sentire di avere una via "preferenziale" per affiorare più direttamente alla nostra consapevolezza di incarnati.

Riguardo al capire cosa ci suggerisce il sentire, come ho detto, penso che a volte sia possibile riuscirci. Però questo senza pretendere di avere delle certezze assolute, e rimanendo disponibili a rimettere in discussione le proprie conclusioni.
 
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view post Posted on 29/9/2010, 12:32
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Ciao a tutti, secondo me fare ciò che si sente può essere molto travisato da quelli che sono i bisogni del nostro io, al punto tale che ( visto che è l'intenzione che conta per l'azione in se ) se non si riesce ad essere un minimo sinceri con se stessi, e avvicinarsi a quella che è stata la nostra intenzione, difficilmente si può discernere se ho fatto veramente ciò che il mio sentire mi spingeva a fare oppure se ho assecondato un bisogno del mio io.
Per fortuna però, che esistono i sensi di colpa che possono dare un "peso" veritiero a quello che si è fatto.
Se da una parte dobbiamo cercare di evitare la sofferenza ( che non è mai gratuita ) dall'altra la stessa ci aiuta a conoscere noi stessi facendoci sentire il suo peso quando andiamo contro quello che il nostro sentire ci permetteva di fare in quel momento, l'importante, da quello che ho capito, è non fermarsi nella sofferenza, ma prenderne atto e sentirsi più forti di prima nel cercare di non commettere lo stesso errore.

Un saluto, Vittore
 
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tulliarina
view post Posted on 29/9/2010, 16:02




Ciao Daria e tutti,
personalmente credo che quando si agisce seguendo il proprio sentire lo si fa e basta, non ci sono conseguenze né positive, né negative, in quanto l'azione fluisce spontaneamente. Il problema subentra nel momento in cui di fronte ad una scelta in una situazione particolarmente difficile, ti fermi a valutarne le conseguenze ... ed è lì che le spinte dell'Io entrano in conflitto con il “sentire”. Questa è una situazione molto comune ed è facile dire che sia capitata a tutti. Per mia esperienza personale, quando circa due anni fa a mia madre è stato diagnosticato l'Alzheimer, la mia prima reazione è stata: “non può più vivere da sola bisogna che venga a vivere da me” (probabilmente era il “sentire” che si manifestava oltre ad una logica conseguenza della situazione che si era creata), ma prima di fare questa scelta è subentrato l'Io a dirmi: “ma come fai, hai un negozio da portare avanti che ti impegna circa 12 ore al giorno, Gian è reduce da un brutto infarto e sta appena adesso cominciando a riprendersi, se fossi in pensione sarebbe diverso... e via e via” cosicché ho temporeggiato finché ho potuto ma alla fine la scelta è stata quella di prenderla in casa con me, e, a parte alcuni momenti soprattutto all'inizio, non è stata poi una cosa così difficile. Oggi sento che non ho nulla da rimproverarmi per quel tipo di scelta, anche se mi sono resa conto dopo la sua morte, che molte cose, come spesso accade, avrei potuto farle molto meglio.
Tu chiedevi se si può sapere prima se agisce per Io o per sentire, forse sì se una persona riesce a stare attenta a quello che è il primo impulso quello più spontaneo (naturalmente in una condizione di tranquillità non quando si è adirati perché allora è tutto un altro discorso), ma non sempre siamo in grado di porre attenzione ai primi movimenti interiori, troppi stimoli esterni ed interni ci distraggono, quindi non ci resta che agire ed aspettare di vedere come ci si sente, se subentra il senso di disagio o di disarmonia come giustamente diceva Donatella, allora significa che c'è qualcosa che non va, diversamente se hai agito in sintonia col sentire stai bene e non ci pensi più.
 
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Daria83
view post Posted on 29/9/2010, 20:08




Ciao Tullia! :)
Le tue parole mi hanno fatto pensare che probabilmente è più facile (e forse anche più utile a questo punto) accorgersi di quando non si sta facendo ciò che si sente. Nel senso che immagino sia più probabile rendersi conto di una disarmonia che di un'armonia in linea generale, quindi varrà lo stesso discorso anche con noi stessi... credo. Però rimane il problema che è comunque un'osservazione "in corso di azione".

E poi: un "primo impulso spontaneo" non potrebbe essere comunque falsato/dettato dall'io?

Ho in mente questo esempio banale: ieri sera c'era una cimice che mi stava ronzando intorno, un insetto che mi schifa particolarmente. E, se devo essere onesta, da infastidita che ero il mio primo impulso è stato quello di prenderla -con 1kg di carta- e buttarla nel water, perchè se avessi semplicemente aperto la finestra per buttarla fuori ne sarebbero potute entrare delle altre! Poi però mi è venuto il senso di colpa per aver pensato di uccidere un esserino già così maltrattato da madre natura... e ho lasciato perdere, cambiando stanza.

Ora: se dovessi pensare che il mio primo impulso spontaneo corrispondeva al mio vero sentire... un po' mi intristirei! :( O forse l'esempio che ho fatto non rientra nelle condizioni di tranquillità di cui parlavi, ma questo a sua volta mi fa sorgere il dubbio che esistano queste condizioni di tranquillità nelle nostre vite così piene di distrazioni...

E a questo punto passo perchè ho perso il filo dei miei pensieri! image
 
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luca_m
view post Posted on 29/9/2010, 21:18




Guardate detto onestamente...ammesso che il sentirsi "in pace con se stessi" diciamola così sia il metro del fare ciò che si sente, il punto è che molte volte quello che mi fa sentire in pace con me stesso non mi porta a quello che vorrei, è molto semplice e banale se volete.

Ma allo stesso tempo se quell'azione fosse davvero frutto del mio sentire acquisito probabilmente ( e tralasciamo tutte le eccezioni del caso) la metterei in pratica molto più naturalmente.

Quindi di fronte a cosa ci si trova in una situazione simile? Ad una situazione boderline (nel senso che ci sta vivendo un assestamento del proprio sentire)? Una situazione in cui senti "il tuo sentire", ma allo stesso tempo vorresti non sentirlo? :unsure: :unsure: :unsure:

 
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