Un incontro con le Guide, 2 dicembre 2014 - Moti, Georgei, Rodolfo, Zifed, Scifo

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Moderatore sez. Messaggi
view post Posted on 3/12/2014, 09:22




La pace sia con tutti voi, figli.
Sono qui, questa sera, per rinnovare il rapporto d'amore che ci sta legando ormai da alcuni decenni ma che, in realtà, è vivo e attivo non solo lungo il percorso delle vostre vite attuali, bensì lungo il vostro intero cammino, accompagnando la sperimentazione che avete intrapreso, a fini evolutivi, all'interno del piano fisico.
Gli avvenimenti di questi ultimi anni di attività del Cerchio hanno fatto nascere in alcuni di voi una sensazione di abbandono da parte nostra ma vi assicuro, figli nostri, che non è – e non può essere – così: come qualunque buon genitore sa, viene il momento in cui, dopo aver fatto tutto il possibile per trasmettere ai figli ciò che si crede giusto e i valori che si ritengono importanti, risulta necessario, e direi quasi indispensabile, diventare per essi non più dei maestri bensì dei modelli ai quali fare riferimento, secondo la propria sensibilità e comprensione, per affrontare nel modo migliore possibile le esperienze di vita che l'esistenza propone.
Nel corso di questi decenni abbiamo esaminato assieme a voi molte delle innumerevoli sfumature che l'insegnamento etico-morale porta con sé, e abbiamo cercato di aiutarvi a diventare più consapevoli di quale importanza rivesta, per ognuno di voi, il fatto di non essere soli nel vostro percorso di vita ma di condurre tale percorso al fianco di altre creature che, come voi, vivono – anche se magari in maniera anche molto diversa da come siete portati a farlo voi – la loro esistenza incarnativa.
La base dell'intero insegnamento etico-morale che vi abbiamo proposto è il diventare consapevoli del fatto che tutto ciò che fate, tutto ciò che siete e tutte le maniere in cui vi rapportate con la realtà circostante riveste una grande importanza non soltanto per voi e per la vostra crescita personale ma anche per ogni altra persona con cui vi trovate a relazionarvi nella conduzione delle vostre vite.
Il senso di responsabilità personale è, senza alcun dubbio, il punto essenziale da raggiungere per ottemperare nel miglior modo possibile ai compiti che l'esistenza, di volta in volta, vi chiama a svolgere: come vi abbiamo detto spesso, ognuno di voi è, sempre e comunque, responsabile di se stesso e di ciò che fa e ricercare, giudicare, additare o condannare le responsabilità di chi vi sta attorno fa solo parte dell'egoistico processo di scarica-barile del vostro Io che si illude, in quel modo, di mascherarsi in maniera impenetrabile non solo agli occhi degli altri ma, principalmente, ai suoi stessi occhi, al fine di non riconoscere o di non ammettere quelle che possono essere state le sue manchevolezze.
Questo è un modo – come crediamo dovreste aver capito dall'analisi della teoria dei sensi di colpa che, recentemente, vi abbiamo sottoposto – per rendere più difficoltoso, e spesso anche più doloroso, il vostro procedere, perché il contrasto tra ciò che la vostra coscienza avverte come giusto e ciò che, così spesso, il vostro Io vi induce a fare, dà vita a quelle catene che sono i sensi di colpa, così spesso concomitanti con quei somatismi sia fisici, sia comportamentali che accompagnano le vostre esistenze rendendole, sovente, estremamente faticose e difficili da affrontare.
Senza il riconoscimento e l'accettazione delle proprie personali responsabilità finite, inevitabilmente, col lasciare le carte da giocare nel vostro gioco della vita in mano al vostro Io che, com'è proprio dei suoi meccanismi, le giocherà non per condividere con gli altri il gioco che sta facendo ma per ottenere da tale gioco vantaggi personali, preminenza, potere e illusoria soddisfazione.
Sappiamo, per averlo vissuto prima di voi, che questo percorso non è facile da trasformare, dal momento che è fatto di sottigliezze, di sfumature che il vostro Io riesce spesso, con disinvoltura, a ignorare, ma sappiamo anche, con assoluta certezza, che il richiamo dei sussurri del Tutto che attraversano il Cosmo in cui vi trovate a vivere vi richiamano costantemente alla Verità, aiutandovi a non allontanarvi mai, definitivamente e in maniera irreparabile, dal percorso che, senza dubbio alcuno, vi porterà a consuonare con quei sussurri, arrivando così, a mano a mano che la vostra coscienza si completerà, non più ad essere dei Molti in seno all'Uno bensì attributi e particelle indistinguibili dall'Uno stesso.
In questi lunghi decenni, vi abbiamo anche proposto una visione, diversa da quella comunemente posseduta, di quella che è la Realtà, sottoponendo alla vostra attenzione non un insegnamento filosofico che vi spiegasse tale Realtà come un dogma insindacabile e incomprensibile, bensì come uno sviluppo logico-razionale, all'interno del quale ogni elemento filosofico che di volta in volta vi proponevamo poteva trovare una sua comprensibile ragione d'essere senza che fosse necessario adottare una posizione di fede cieca, sostenuti dalla certezza che la Realtà, per quanto incommensurabile essa possa essere, non è qualcosa di caotico e, di conseguenza, incomprensibile, ma ha un suo ordine ben preciso, una sua consequenzialità logica, un passaggio ininterrotto di processi di causa-effetto che persino la mente dell'essere umano, apparentemente così inadeguata nella sua limitatezza, poteva afferrarne la coerenza e scorgerne la sua struttura unitaria e non frazionata.
Acquisire queste nozioni e farle vostre non è certamente stata una cosa semplice, e non tutti siete ancora riusciti a farlo veramente, neppure a livello mentale: il farlo richiede attenzione e buona volontà ma, principalmente, richiede la capacità di modificare la vostra visione della Realtà grazie all'osservazione che è possibile compiere da parte dell'individuo incarnato quando si trova all'interno del piano fisico. Tuttavia, sappiamo che i semi che abbiamo gettato in questi anni prima o poi germoglieranno nella vostra coscienza anche se, magari, ciò non accadrà nel corso di questa vita.
Per aiutarvi in questo cambio di prospettiva abbiamo affrontato in questi ultimi tempi il tema dei somatismi. Abbiamo scelto questo argomento per molteplici motivi ma, principalmente, perché volevamo riportare la vostra attenzione sulla vita che state vivendo e che costituisce la palestra in cui avete la possibilità di affinare le vostre capacità di comprensione e di acquisizione di sentire: riteniamo, infatti, che sia più facile affrontare voi stessi se non vi perdete nell'esame dei grandi temi generali, a voi esterni, magari più appaganti ed esaltanti per il vostro Io, ma tali da farvi dimenticare ciò che voi siete nel “qui e ora”, dal momento che è osservando il vostro “qui e ora” che più potete comprendere voi stessi poiché è nel “qui e ora” che potete trovare, se veramente desiderate farlo, tutto ciò di cui avete veramente bisogno per ampliare il vostro sentire.
Per aiutarvi in questo percorso, abbiamo cercato di suggerirvi quali siano gli strumenti che avete a vostra disposizione e che, ridotti all'estrema semplicità, possono essere ricondotti all'attenzione e all'osservazione di voi stessi e delle vostre reazioni nei confronti delle esperienze che di volta in volta vi si presentano.
Questo lungo percorso (apparentemente di tipo essenzialmente filosofico ma, in realtà, invece, estremamente pratico poiché riflette tutti gli aspetti che confluiscono nella vostra maniera di interagire con la realtà a voi circostante) sta ormai per essere concluso e la sua conclusione segnerà il completamento di quello che è stato il nostro compito presso di voi.
Questo non significherà che non vi saranno più nostri interventi ma che essi diminuiranno nel tempo, come già è successo, cosa che certamente avrete rilevato, per gli incontri diretti con voi. D'altra parte abbiamo “sfruttato” la disponibilità degli strumenti per ormai quasi quarant'anni ed è giunto il momento di non sottoporli più alle fatiche inevitabili che i nostri interventi, specialmente quelli che ci portavano direttamente a contatto con ognuno di voi, hanno comportato in questi quattro decenni.
Né, tanto meno, questo significherà che noi non vi saremo più accanto: come vedremo di chiarirvi più avanti nel tempo, questo non è assolutamente possibile dal momento che noi e voi siamo qualcosa di così strettamente legato da poter essere paragonato a un legame d'amore, legame d'amore che, come vi abbiamo sempre detto, una volta creato diventa qualcosa di indissolubile e indistruttibile nel tempo.
Vi saluto tutti quanti, uno per uno, con amore e che la pace sia, veramente e dal più profondo del mio essere, con tutti voi. (Moti)

Bene, miei cari, eccomi a rispondere alle domande che vorrete farci. Come sempre sono felice di farlo, perché mi permette di interagire con voi, ritrovando per qualche attimo il piacere del contatto diretto con ognuno voi.

D - Cos’è la felicità?


Non è una domanda facile a cui rispondere, anche perché può essere osservata a vari livelli.
Nell'accezione comune la felicità a cui voi fate riferimento è principalmente la felicità del vostro Io, cioè la sensazione di gratificazione e del suo conseguente stato di apparente benessere quando ciò che esso desidera o che cerca di raggiungere viene raggiunto.
Nella visione della società attuale ciò che viene propagandato come felicità fa riferimento, nella maggior parte dei casi, all'ottenere il conseguimento di quegli elementi che i modelli presentati dagli Archetipi Transitori indicano come necessari all'individuo.
Questo, evidentemente, implica principalmente il concetto di possesso: vi sentite felici se potete comperarvi un vestito firmato, se possedete l'automobile che vi distingue dalla massa, se avete l'ultimo cellulare alla moda e via dicendo. Ma la vostra felicità non è legata solo al possesso di cose materiali: siete felici se il vostro fisico è vicino ai canoni di bellezza attuali, se la vostra attività lavorativa vi pone in posizioni di preminenza, se gli altri vi percepiscono, magari con anche un po' più di una punta d'invidia, come “arrivati”...

D - Come si manifesta?


In fondo, se ci pensate un attimo con attenzione, la felicità che prova l'individuo è uno stato di squilibrio nel quale gli elementi che lo fanno sentire soddisfatto o appagato hanno per qualche tempo il predominio, al suo interno, rispetto a quegli elementi che, invece, non gli offrono le stesse sensazioni.
Tant'è vero che, difficilmente, la sensazione di felicità percepita non venga, prima o poi, incrinata dal presentarsi di condizioni diverse che ne modificano le condizioni di partenza.
D'altra parte, siccome stavamo parlando di felicità come condizione dell'Io, è facile capire che non si può trattare di una condizione che possa durare stabilmente nel tempo e che i bisogni di comprensione individuali finiscono sempre col portare a galla le incomprensioni che provocano all'Io una sensazione di estremo disagio di fronte alle incomprensioni interne che ancora non ha risolto.
La manifestazione fisica della felicità può essere individuata in una sensazione di benessere, di soddisfazione, di appagamento, accompagnata, dal punto di vista strettamente fisiologico, dall'aumento di particolari sostanze ormonali quali la serotonina.

D - La felicità è univoca o ci sono diversi tipi di felicità?


La felicità di cui abbiamo parlato fin qui, transitoria è, in fondo, illusoria, perché fondata su elementi a loro volta transitori o illusori, ed è quella dell'Io. Ma vi è un altro tipo di felicità che può essere individuato e che ha caratteristiche diverse rispetto a quella dell'Io, ovvero la felicità che è collegata alla coscienza dell'individuo.
Questa sensazione di felicità viene percepita dall'individuo senza che, spesso, egli riesca a individuarne la genesi, ed è conseguenza del raggiungimento di una comprensione all'interno del corpo akasico.
Tale raggiungimento porta, all'interno del corpo akasico individualle, a una temporanea diminuzione del suo bisogno di risposte da inserire del suo “database” akasico e, quindi, a un miglioramento, anche se solo temporaneo, del suo equilibrio vibrazionale interno, miglioramento che proietta i suoi effetti in tutti i corpi dell'individuo raggiungendo anche i corpi transitori che segnano la sua vita incarnativa, i quali percepiscono tale allentamento delle vibrazioni all'interno del corpo akasico come una condizione molto simile a quella che i santi hanno talvolta indicato come “stati di beatitudine”.
Anche in questo caso, però, la felicità finisce con il venire incorporata nel tessuto del corpo akasico e il bisogno principe che appartiene al corpo della coscienza, cioè quello di acquisire comprensione e ampliare il sentire, ritorna a essere preminente. Ed è inevitabile che il meccanismo sia questo, altrimenti il processo evolutivo di ogni individuo si bloccherebbe in maniera dannosa ad ogni comprensione raggiunta all'interno del corpo della coscienza ostacolando il percorso evolutivo dell'individuo.

D - Perché si è arrivati a dedicarle una giornata particolare?


La giornata della donna, la giornata della mamma, la giornata del papà, dei nonni, della fame nel mondo, della felicità... Da un lato queste festività rispondono, com'è facile intuire, a esigenze di tipo commerciale per indirizzare o spingere il consumo o l'acquisto di determinati prodotti.
Ma le cose non sono mai completamente bianche o completamente nere, totalmente positive o totalmente negative e se, da una parte, tali festività vengono “lanciate” a fini commerciali, dall'altro hanno l'effetto di indirizzare l'attenzione delle persone, così spesso indifferenti a ciò che accade intorno a loro, verso temi che, altrimenti, verrebbero magari completamente ignorati.

D - E perché anche Michel ci esorta a ricordarci di essere felici?

L'esortazione di Michel nasce dal suo voler riportare la vostra attenzione verso una condizione di maggiore equilibrio interiore che vi allontani dalla vostra tendenza ad essere vittime di voi stessi: troppo spesso preferite restare attaccati alle vostre sensazioni di infelicità ignorando i molti motivi che, contemporaneamente, potreste trovare per essere felici e che potrebbero fare da equilibratore della vostra interiorità, permettendovi di affrontare con maggiore serenità ciò che vi rende infelici, ottenendo così una migliore possibilità di reattività e, di conseguenza, una più facile risoluzione dei problemi che vi opprimono.
In fondo si tratta di essere in grado di favorire il più possibile il vostro equilibrio interiore, arrivando a mediare tra i due picchi “felicità” e “infelicità”. Credo proprio che sia questo l'intento di Michel nel suggerirvi di ricordarvi di essere felici.

D - Mi domando se ci si può allenare ad essere felici, si può con l’esercizio e la volontà essere felici?

Guardatevi nei vostri momenti peggiori, guardate con quanta facilità escludete tutte le fonti di possibile felicità per ammantarvi di negatività, come se voleste a tutti i costi essere il più infelici possibile! Questo è, senza dubbio, un gioco dell'Io per ottenere l'attenzione dall'ambiente circostante, muovendo la compassione negli altri e cercando di spingerli a dargli ciò che desidera ottenere. In questo modo l'Io mette in moto la sua volontà di potenza, ed esercita la sua capacità di governare anche gli elementi che più lo disturbano, usandoli per piegare gli avvenimenti all'ottenimento dei suoi fini. Indubbiamente questo procedimento è attuabile anche con la felicità, solo che la felicità, solitamente, condiziona meno le risposte delle altre persone rispetto alle manifestazioni di infelicità, quindi l'Io ne fa un uso molto minore.

D - Quanto incide il carattere sulla possibilità di essere felici?

Direi che più che sulla possibilità di essere felici può influire sulla capacità di essere felici.
L'individuo che, per struttura caratteriale, è più portato all'immersione nell'infelicità che nella felicità senza dubbio, nelle sue manifestazioni esteriori, tenderà a mostrarsi più facilmente infelice che felice. Ovviamente, però, questo dipende dalle necessità di comprensione di ogni individuo e da quale sia, tra i due, il percorso che più gli offre le maggiori possibilità di acquisire sfumature di comprensione nel corso di quell'esistenza.

D - Oggi in tv ho sentito dire che la scienza è arrivata a determinare che la felicità è genetica! Secondo la scienza, infatti, il 40% della possibilità di essere felici è "scritto" nel Dna dell'individuo e questo si allinea a quanto sostengono le Guide del Cerchio. Infatti secondo l'insegnamento la felicità di un individuo può essere messa in relazione con le sue comprensioni, le comprensioni influenzano la strutturazione del carattere, il carattere si inscrive nel Dna ... e il Dna è un elemento fisico che può essere studiato ed analizzato, riportandoci alle stesse conclusioni a cui si può arrivare attraverso la filosofia.

Dire che la felicità sia genetica credo che sia proprio un azzardo. Ora che è stato compiuto dalla scienza un cammino che l'ha avviata verso la mappatura del genoma umano gli scienziati si trovano in mano un nuovo giocattolo con cui baloccarsi, così finiscono col proporre concetti superficiali e azzardati come quello che hai appena presentato, tralasciando il fatto che l'individuo non è la semplice risultanza di un'interazione genetica, per quanto complessa essa possa essere.
La differenza più evidente rispetto a ciò che proponiamo con il nostro insegnamento (oltre, certamente, al fatto che il Dna non è soltanto legato alla materia fisica ma, come ormai sapete, ha riflessi sia sulla materia astrale che su quella mentale) sta nel punto di partenza dell'osservazione, punto di partenza che non è e non può essere il Dna dell'individuo in quanto esso è il punto di arrivo di quel procedimento ben più complesso e che parte da ben più lontano che è il processo evolutivo.

D - E' possibile che l'individuo, mettendo in atto una certa consapevolezza, riesca a riequilibrare almeno in parte le sue energie per poter affrontare i suoi momenti di difficoltà? Ci sono delle tecniche che, pur non essendo risolutive, possono dare un momento di sollievo riequilibrando momentaneamente i corpi per poter ripartire con maggiore lucidità senza lasciarsi schiacciare dagli eventi?

Non solo è possibile ma costituisce la via maestra per riuscire ad affrontare con maggiore serenità le prove che la vita presenta all'incarnato: essere consapevole degli elementi in gioco significa avere la possibilità di osservare quello che si sta vivendo senza lasciare nelle mani dell'Io la strategia delle reazioni e dei comportamenti, creando canali di flusso più agevoli per le comprensioni che, nel frattempo, il corpo akasico ha raggiunto, col risultato di favorire l'equilibrio tra ciò che l'individuo è già riuscito a fare e ciò che deve ancora comprendere.
Non esistono delle tecniche generalizzabili che possano aiutare il riequilibrio del corpo, ma solo delle predisposizioni individuali – dipendenti dal tipo di percorso compiuto dall'individuo nelle sue molteplici incarnazioni – a trovare il metodo personale ottimale per favorire la condizione interiore di serenità (in fondo è di questo che stiamo parlando allorché parliamo di equilibrio interiore) che aiuta a mettersi nella condizione di gestore delle proprie reazioni e non più di foglia in balia degli eventi.
Così c'è chi può trovare la condizione migliore attraverso lo yoga, oppure attraverso le nostre parole o, ancora, semplicemente adoperando quegli strumenti che l'individuo possiede qualunque sia il percorso che egli ha compiuto nel tempo, ovvero l'osservazione di se stesso, sorretta dall'obiettività nel compiere tale osservazione e dalla sincerità con se stesso. (Georgei)

D - Il Dna è costituito da una quantità fissa di vibrazioni e quindi di energia... Questo mi fa sorgere un dubbio: la quantità fissa è da riferire alla globalità dell'individuo, cioè al suo complesso corpo fisico-astrale-mentale, oppure a ciascun corpo?


Non è facile fare una distinzione di tale genere, dal momento che i corpi transitori dell'individuo sono strettamente intrecciati tra di loro formando il piccolo ciclo fisico-astrale-mentale.
Se vogliamo ragionare in termini di quantità di vibrazione – posto come dato di base che il complesso vibrazionale nei tre corpi tende comunque e sempre a mantenere intatto l'equilibrio tra i suoi elementi costituenti – io credo (e spero di non dire una sciocchezza!) di poter affermare che la quantità vibrazionale del Dna dei corpi inferiori resta costante, anche se varia la sua composizione interna in corrispondenza dei movimenti interiori dell'individuo di fronte alle esperienze che affronta.
Così, per fare un esempio, se l'affrontare un determinato tipo di situazione implicherà il bisogno di mettere in atto una particolare quantità di energie astrali. l'equilibrio tenderà a ristabilirsi diminuendo, magari, il flusso delle energie mentali o di quelle fisiche messe in campo.
E' evidente che non stiamo più parlando del carattere dell'individuo ma della sua personalità, ovvero della reattività con cui il suo carattere si esprime nel corso della vita fisica... e qui, ovviamente, non credo che sia possibile generalizzare, dato che le componenti di ogni individuo sono strettamente individuali e dipendenti dal percorso compiuto fino a quel punto e dai bisogni evolutivi che indirizzano la sua reattività all'esperienza.

D - Cosa è giusto fare: continuare a vivere una situazione spiacevole che comunque limita e inibisce la nostra stessa espressione, oppure prendere una dolorosa decisione e da quella poi ripartire? Può un cambiamento radicale ed esterno aiutare a migliorare la qualità della nostra vita?

Vedete, miei cari, l'errore finisce con l'essere sempre lo stesso nell'osservare le situazioni che richiedono scelte più o meno dolorose, ovvero quello di concentrare la propria attenzione su quello che è esterno invece che sulla propria interiorità.
Certo, a volte provare a modificare la situazione esterna può anche aiutare a scansare le problematiche (e la sofferenza) che ci si trova in difficoltà ad affrontare. Ma è un modo per evitare il vero nocciolo della questione, modo che, comunque, non risolve davvero problema – che è una questione strettamente interiore – il quale, infatti, finirà col ripresentarsi, magari anche in forma più intensa, dopo qualche tempo.
Se, per fare un esempio, vi trovate a disagio nella vostra condizione lavorativa, cambiare lavoro può anche fornirvi per qualche tempo nuovi stimoli e farvi sentire temporaneamente più attivi e più vivi, ma se il vostro disagio nasce dal fatto che non state facendo quello che, nel vostro intimo, desiderereste fare, tale disagio non verrà risolto e, poco alla volta, ritornerà a crearvi dei problemi.

D - Posso vedere le caratteristiche della mia immagine in quello che vedo di positivo/negativo negli altri, ma solo in quello che mi rimandano in modo inconsapevole o anche in quello che dicono di me?

Vi è sempre una stretta correlazione tra l'immagine che l'individuo ha di se stesso e quello che gli viene riflesso dalle persone che gli stanno intorno e che l'Io tende ad attribuire alle altre persone perché non vuole ammettere che se qualcosa che appartiene agli altri lo colpisce in maniera particolare è perché fa risuonare qualcosa al suo interno che gli appartiene.
La percezione che gli altri hanno di voi stessi sono modulate principalmente da due diversi fattori: quello che voi permettete all'altro di scorgere di voi stessi e quello che l'altro interpreta sulla base dei suoi bisogni personali, evidenziando, nel fare questo, quegli elementi che gli sono propri e che condizionano la percezione che ha dell'altro secondo la propria analisi soggettiva della realtà e secondo i propri bisogni.
Il giudizio emesso dagli altri non è altro, in fondo, che il risultato del lavorio interno che l'Io dell'altro compie, così non ci si dovrebbe fermare a cercare di capire perché l'altro è giunto a determinate conclusioni su di voi: è molto più utile, invece, cercare di rendersi conto di quali sono gli elementi che gli avete fornito (consapevolmente o inconsapevolmente) e che lo hanno portato ad avere di voi quella determinata immagine e non un'altra.

D - Quello che gli altri dicono di me è "inquinato" dalla loro percezione soggettiva, ma mantiene comunque un qualche valore oggettivo? Quale?

In base a quanto abbiamo appena detto è evidente che nell'immagine di voi stessi che viene proiettata dagli altri esistono dei valori oggettivi, che sono costituiti, come dicevo, da ciò che voi stessi avete messo a disposizione dell'attenzione dell'altro contribuendo, così a fargli costruire di voi quella determinata immagine.

D - Se questa reazione (dell'altro) mi colpisce, vuol dire che anch'io sono così? Però a me non sembra. Ecco: a me non sembra perché non ne sono consapevole? Oppure perché non arrivo a quegli eccessi, ma comunque condivido la stessa base? Oppure perché potrei arrivarci ma per motivazioni, secondo me, ben più importanti? Oppure perché ho maggior capacità di controllo emotivo, e quindi esteriorizzo di meno, ma ciò che si muove nel profondo è identico?


Su questo punto credo che ci sia qualcosa da chiarire che vi sfugge. Se vi colpisce, supponiamo, un comportamento egoistico da parte di un'altra persona, non significa necessariamente che voi abbiate lo stesso tipo di egoismo ma, più semplicemente, che in quella direzione avete la mancanza di una sfumatura di comprensione che vi accomuna.

D - E poi: avere la massima attenzione da parte nostra a ciò che si fa a ciò che si dice, a ciò che si sente non può indurre il rischio di irrigidire il nostro modo di vivere le esperienze concentrando troppo l'attenzione su noi stessi e diventando un po' impermeabili agli stimoli che arrivano dall'esterno?

Porre la propria attenzione a ciò che si fa, si dice o si sente non deve diventare un modo per appartarsi dalle esperienze che via via sia presentano. Anzi, l'ideale sarebbe proprio quello di riuscire a restare concentrati sulla propria reattività pur continuando a vivere le esperienze.
D'altra parte è pressoché impossibile riuscire a non essere coinvolti dalle esperienze che si affrontano, per quante resistenze si mettano in atto e per quante barriere e censure si possano costruire.
Il presentarsi dell'esperienza fornisce all'individuo la possibilità di avere a disposizione della propria osservazione tutti gli elementi che gli sono necessari per individuare i nodi interiori che lo riguardano e, se pure per qualche tempo si riesce a evitare l'esperienza, essa inevitabilmente si ripresenterà, con anche maggiore intensità, per richiamare la vostra attenzione e stimolarvi, magari con un aumento della sofferenza avvertita, ad approfondire la vostra ricerca interiore.

D - Sarebbe interessante sentire che immagine di te si sono fatte queste persone. Potrebbe essere ben diversa da quella che pensi di dare. E a quel punto? Resteresti ancorata all'immagine che pensavi di dare oppure aggiorneresti (o almeno metteresti in discussione) l'immagine di te stesso?


E' praticamente certo che l'immagine che gli altri hanno di te sia molto diversa da quella che era tua intenzione fornire. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che, come minimo, essa è strutturata comunque sulla percezione soggettiva dell'altro.
L'immagine di te che gli altri proiettano non è priva di conseguenze per l'individuo, dal momento che lo induce a cercare di aggiornare tale immagine, cosa che gli può riuscire solamente se aggiorna gli elementi di sé che proietta sugli altri. Si tratta di un mutuo scambio di informazioni che ogni individuo poi elabora dentro di sé, con la conseguenza di modificare in continuazione – anche se magari non se ne rende conto – la sua reattività nel corso della vita che conduce. Senza questo mutuo scambio diventerebbe certamente più difficile modificare se stessi perché l'Io tenderebbe a fossilizzarsi nell'immagine che ha di se stesso dal momento che prenderebbe il sopravvento la sua paura di un cambiamento che, essendo fuori dal suo controllo, lo porterebbe a irrigidirsi e cristallizzarsi sulle sue posizioni. (Rodolfo)

D - Perché mi sento facilmente aggredita sempre dalle stesse persone?


Intanto ciò può accadere perché avete un forte legame affettivo con l'altra persona, tenete a un suo giudizio positivo su voi stessi e, proprio in virtù del forte legame affettivo esistente, il vostro Io può adoperare l'arma del vittimismo con le frasi tipiche che vengono usate in queste situazioni: “Non mi capisce” o “Non vuole rendersi conto che sono cambiato” e via dicendo.
Ma spostiamo un attimo l'attenzione su qualcosa di più importante: il fatto che vi sentiate aggrediti significa che rifiutate totalmente quello che l'altro pensa di voi e che non riuscite a farvi vedere come vorreste essere visti. In entrambi i casi la sensazione di aggressione non appartiene all'altro ma a voi stessi, tant'è vero che capita stesso che vi sentiate aggrediti anche se da parte dell'altro non c'è stata la minima intenzione aggressiva.
Perché vi capita spesso di sentirvi aggrediti sempre dalle stesse persone?
Molto probabilmente questo accade perché si tratta di persone che continuano a mettervi davanti sempre allo stesso vostro comportamento e che voi stessi, nel profondo della vostra coscienza, sapete benissimo essere sbagliato. Questa situazione innesca immediatamente dei meccanismi di difesa da parte dell'Io ed ecco, così, che si arriva allo scontro tra Io nel corso del quale ogni Io coinvolto tende a diventare da supposto aggredito ad aggressore, creando tutte quelle tristi situazioni in cui i rapporti si deteriorano velocemente.
A volte ci comportiamo veramente come degli stupidi e, piuttosto di cercare di mediare e trovare un punto di condivisione con l'altro, preferiamo dare il via a una guerra senza esclusione di colpi che fa nascere rancori e ritorsioni continue.
D'altra parte, come diceva spesso mia zia Zoraide, comportarsi da stupidi è più facile che riconoscere le proprie manchevolezze!

D - Perché con alcune persone mi è più facile aggirare e superare l'ostacolo, e con altre non ci riesco proprio? (al massimo se ci riesco mi sento ipocrita!)

Credo che rientri sempre nella stupidità di cui parlavo prima, quella stessa stupidità che molte volte ci fa basare la nostra reazione, per esempio, non tanto su ciò che l'altro ci dice ma sulla maniera in cui lo fa. Puntare sul come viene detto qualcosa è il modo più semplice per l'Io (che è stupido perché spesso non vede un po' più in là del suo illusorio naso ma che ha anche il grande difetto di credersi, invece, estremamente astuto) per allontanare l'attenzione da ciò che potrebbe venire a galla e che preferisce cercare di nascondere.

D - Perché da alcune persone non mi sento mai "aggredita"? ... al massimo sono perplessa e risolvo subito con chiarimenti. Dipende più facilmente dal rapporto che ho con le situazioni o con le persone?

Dipende più semplicemente dal fatto che non vieni colpita in punti che il tuo Io cerca di nascondere.
Ti sei mai chiesta perché in certi casi risolvi (ma sei sicura che hai risolto o, invece, hai solo trovato un modo elegante per troncare il possibile contrasto sul nascere?) e chiarisci con apparente facilità mentre in altri casi non lo fai? Immagino che mi dirai che dipende molto dalla reazione dell'altro (e, in parte, puoi anche avere ragione perché se l'altro non si dimostra disponibile al chiarimento c'è poco che si possa davvero fare).
Ma, nelle contese, i contendenti sono sempre almeno due, e ognuno ha la sua parte di responsabilità per la maniera in cui la contesa viene portata avanti.
Se metti in atto la disponibilità a chiarire in certi casi sì e in altri no, cos'è che ti fa reagire in maniera diversa da un caso all'altro (sempre facendo salvo il concetto di stupidità che porta, magari, a incaponirsi e irrigidirsi sulle proprie posizioni anche quando appaiono essere, con tutta evidenza, assurde e indifendibili)? Beh, la risposta è banale e scontata: in un caso l'Io non si sente veramente aggredito e pensa di poter gestire comunque a suo favore il contenzioso, mentre nell'altro la sua sensazione è che la situazione presenti aspetti che possono sfuggire alla sua gestione, per cui mette in atto tutti gli espedienti che usa abitualmente per distogliere l'attenzione dal vero nocciolo del contendere.

D - Spesso, addirittura, la percezione di essere aggrediti è reciproca e questo complica di più le cose perché da entrambe le parti ci si pone sempre sulla difensiva. ... mi sto chiedendo se in questi casi più tosti è perché magari si hanno caratteristiche (incomprensioni?) simili, per cui è difficile uscire dallo stallo? Potrebbe esserci qualche strategia da mettere in atto per rendere più accessibile l'ostacolo?


Intanto direi che se la percezione di essere aggrediti è reciproca ed entrambe la parti tendono, come prima reazione, a mettersi sulla difensiva... così si arriva allo stallo e il contendere resta inespresso. Non credo che questa situazione possa essere l'effetto della presenza di incomprensioni simili nei contendenti: le incomprensioni simili sono un punto di contatto e, di conseguenza, potrebbero costituire una spinta non per creare uno stallo ma per dare il via a una condivisione e alla ricerca di punti di contatto invece che di scontro. Trovarsi in uno stallo, invece, significa in realtà arroccarsi nelle proprie posizioni senza lasciare alcuno spazio all'interazione: entrambi si sentono aggrediti ed entrambi si difendono, e qui l'Io va a nozze applicando la regola del difendere a oltranza la propria posizione senza neanche più ascoltare l'altro.
E' un po' quello che avviene così spesso nelle vostre discussioni dove finite per perdere di vista il motivo del contendere fossilizzandovi (riuscendo così a mantenere intatto il solito assunto della stupidità umana) sul concetto “io ho ragione e l'altro ha torto”.
La strategia da mettere in atto per uscire dallo stallo? Ritrovare l'umiltà, essere pronti a rimettere in discussione quello che si ritiene giusto, ascoltare l'altro e non soltanto pretendere che sia l'altro ad ascoltare quello che voi state dicendo.
Come diceva sempre quel pozzo di saggezza che era la mia amata zia Zoraide: “Non c'è peggior stupido di chi è convinto di essere sempre e comunque nel giusto!” (Zifed)

Creature serenità a voi.
Nel leggere questa supposta seduta sono certo che alcuni di voi vorranno sapere quando è avvenuta e chi era presente (e, magari, con una punta di risentimento, come mai non è stata data loro l'occasione di partecipare).
Tranquillizzate le vostre curiosità e i vostri moti interiori: in realtà non c'è stata nessuna seduta, abbiamo semplicemente preferito farvi giungere in questa forma la risposta ad alcune delle domande che, nel tempo, non avevano ricevuto un'adeguata risposta da parte nostra, per farvi ritrovare in voi stessi il ricordo delle tante esperienze simili che avete vissuto in passato accanto a noi.
E questo, non per alimentare in voi una sensazione di rimpianto per ciò che è stato in passato e che non è più, ma per farvi capire che in realtà nulla è cambiato nel tempo, da parte nostra, nei vostri confronti e che lo stesso amore che allora governava i nostri interventi è rimasto lo stesso anche ora che vi sembriamo molto più lontani da voi rispetto al passato.
Quando si stabilisce un reale rapporto d'amore, ve lo ripetiamo ancora una volta, tale rapporto non può mai essere interrotto: esso non è costituito dalla vicinanza fisica, dalla partecipazione emotiva o dal pensiero comune bensì da una comunione di sentire all'interno del piano akasico.
E ciò che entra a far parte del sentire akasico non ha mai una fine ma resta intatto per sempre, addirittura alimentato e reso più forte e più grande dalla continua strutturazione, dal continuo ampliarsi del sentire col procedere dell'evoluzione del Cosmo.
Voi siete in noi e noi siamo in voi in una maniera molto più reale e complessa di quella che possiate anche solo immaginare, ed è questa intima comunanza tra noi e voi che ci ha permesso, in questi anni di nostri interventi presso di voi, di aiutarvi a percorrere il cammino della comprensione, di spingervi e di indirizzarvi verso l'ampliamento della vostra consapevolezza, di riprendervi quando indugiavate nel vostro percorso, di comprendervi quando non avevate la forza di contrastare il vostro egoismo, di esortarvi a mostrarvi per come siete e a perdonare voi stessi per ciò che non riuscite ancora ad essere, di indurvi a condividere voi stessi, i vostri problemi, le vostre passioni, i vostri errori, le vostre incomprensione in quanto unica via per accrescere veramente la vostra coscienza, di concepire gli altri come copie, contemporaneamente simili e dissimili, di voi stessi, di accettare ciò che siete ma anche ciò che sono gli altri, di essere fonte di pacificazione e di unione invece che di scontri e di quella zizzania che risulta così spesso essere la fonte di dolore per tutte le persone che la subiscono.
E, non dubitatelo mai: alla fine di ognuna delle vostre strade ci ritroveremo ancora assieme, indissolubilmente, per sempre.(Scifo)
 
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