Incontro di giugno 2016, 30 giugno 2016 . Baba, Scifo, Moti

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Moderatore sez. Messaggi
view post Posted on 5/7/2016, 10:07




Pace a voi, figli e fratelli che vivete in una società tormentata e travagliata, ferita e squarciata dagli estremismi, dall'intolleranza e dagli egoismi personali di pochi che calpestano i molti apparentemente impossibilitati ad opporsi a eventi dolorosi e drammatici verso i quali la coscienza si sente impotente e inerme.
A tutti voi, figli e fratelli che fate parte dei molti, ricordo che non siete così inermi e impotenti come il vostro Io vi fa sentire, e che vi manca principalmente il coraggio di fare sentire le vostre molte voci come se fossero una sola voce, dimostrandovi più pronti, comunque sia, a salvaguardare i vostri interessi e i vostri privilegi – per pochi che essi vi possano sembrare – piuttosto che accettare anche solo quei piccoli sacrifici che, pure, renderebbero più facile e più vivibile dignitosamente il vissuto dei vostri fratelli.
E' sempre più facile piangere e addolorarsi per vittime delle quali dopo pochi giorni non ricorderete più né i volti né i nomi, piuttosto che far sbocciare un sorriso in chi è nella vostra sfera esistenziale e, quindi, rientra nelle vostre possibilità di azione.
Come potete adirarvi per i fondamentalismi quando voi stessi non riuscite ad accettare veramente chi ha una cultura, una religione, un modo di essere che si discosta da quelle che sono le vostre tradizioni, tendendo ad aspettarvi che i “diversi” da voi si sforzino di diventare simili a voi e non viceversa, come se voi foste in possesso dell'unica ed eterna Verità?
Fate risuonare le vostre voci in un'unica voce, perché soltanto in questa maniera potrete stemperare, se non addirittura annullare, le voci dei pochi che sembrano avere in mano le sorti dell'umanità.
Se ci ponete attenzione, vi accorgerete che questo, in realtà, comincia già ad accadere, e che in molte parti della Terra gruppi di molti incominciano a unirsi e a far sentire la loro protesta e questo senza bisogno di ricorrere agli stessi metodi che i pochi mettono in atto per affermare se stessi e i loro interessi: la violenza, la prepotenza, il ricatto, la coercizione, l'assassinio.
Giorno verrà in cui il sentire dei molti prevarrà sull'incomprensione dei pochi e, finalmente, l'uomo si troverà a vivere in una società in cui tutti, magari, saranno anche relativamente più poveri di beni materiali ma saranno comunque più ricchi di senso di fratellanza, di unione di intenti e di comunione del sentire.
Pace a voi, figli e fratelli. (Baba)


D – Da quanto è stato detto dalle Guide, mi sembra di capire che si afferma che, per l’individuo incarnato, non è necessario e indispensabile l’osservazione del proprio Io, ovvero il “conosci te stesso”, in quanto si evolve comunque sotto la spinta del dolore. È vero, non c’è dubbio, tutti evolvono anche se non conoscono l’Insegnamento delle nostre Guide! Resta allora da chiedersi perché le Guide di tutti i tempi e in tutti i modi abbiano suggerito di praticare il “conosci te stesso”, oltre al fatto che la scelta resta tra il procedere sul cammino evolutivo tramite la conoscenza della propria verità interiore oppure tramite il dolore! Ovviamente, va benissimo anche chi sceglie di evolvere grazie al dolore! Contento lui!

Al di là del fatto che ci fai dire qualcosa che non abbiamo mai detto, trovo la tua concezione di evoluzione dell'individuo estremamente pessimistica (e, oserei dire, piuttosto tendente al vittimismo) e frutto di una cattiva interpretazione di quello che vi siamo andati dicendo nel tempo.
Ogni individuo incarnato non trova evoluzione solamente o principalmente sotto la spinta del dolore (sarebbe davvero ingiusto, deprimente e drammatico se fosse davvero così!), ma la via del dolore è l'ultima via che percorre l'individuo quando l'esperienza non riesce a tracciare al suo interno nuove comprensioni.
Infatti, prima di forzarlo a ricercare la comprensione attraverso al dolore, gli viene offerta sempre, e più volte, la possibilità di comprendere attraverso ciò che il suo sentire ha acquisito, ovvero le molteplici sfumature dell'amore che sperimenta nel corso della vita, dall'amicizia alla sessualità, dall'essere genitore all'essere figlio, dalla condivisione dei propri moti più intimi alla felicità della creazione di un rapporto di reciprocità e di mutuo sprone verso il miglioramento della propria interiorità.
In quanto al “conosci te stesso” non è un insegnamento in cui viene tracciata una modalità a sé stante di autoconoscenza, bensì un processo inevitabile che l'individuo mette in atto in continuazione anche senza rendersene conto, perché viene messo incessantemente in condizione di osservare e riconoscere la valenza positiva o negativa delle scelte che compie, grazie al fatto di trovarsi davanti alle conseguenze provocate dal suo agire.
Voglio ancora chiarire che l'indicazione data dalle Guide di ogni tempo sul “conosci te stesso” come via maestra per evolvere rispecchia, come ho appena detto in precedenza, una realtà inderogabile per l'individuo ma, certamente, vi è una grande differenza tra perseguire il “conosci te stesso” in maniera inconsapevole e, invece, applicarlo in maniera consapevole, ed è proprio quella maggiore consapevolezza di tale percorso che le varie Guide hanno sempre indicato come meta da perseguire per facilitare il progresso evolutivo individuale.
Per finire credo che nessun individuo incarnato (tranne in casi limiti di gravi disfunzione psicologiche) scelga mai volontariamente di cercare di evolvere attraverso il dolore.
Anzi, molto spesso il dolore viene in essere proprio nel momento in cui l'Io individuale cerca di compiere delle scelte che lo porteranno, secondo lui, ad essere meno in balia della sofferenza.
Senza dubbio il dolore dà una spinta molto forte all'Io per spingerlo verso la comprensione a seguito del suo tentativo di evitare la sofferenza, tuttavia la comprensione viene raggiunta anche grazie alle esperienze felici che ogni incarnato vive e ai periodi di serenità che attraversa, altrettanto frequenti dei momenti pervasi di dolore anche se, certamente, l'Io attribuisce maggiore importanza e dà maggiore attenzione alle situazioni che più lo destabilizzano, come avviene di fronte a un'esperienza dolorosa.

D - Ma secondo te non esistono dei caratteri universali, qualcosa che ci accomuna tutti almeno sulle necessità fisiche? Dopotutto siamo fatti delle stesse sostanze, abbiamo organi che funzionano allo stesso modo... Alla fine, se da oggi sia io che te cominciamo a mangiare polistirolo prima o poi schiattiamo entrambe! Quello che voglio dire è: ci sarà un punto dove finisce il bisogno mentale/culturale/emotivo ed inizia quello prettamente fisico. E ci dovranno pur essere delle linee guida che ci dicano "questo cibo fa bene a tutti" e "questo cibo fa male a tutti". O siamo talmente influenzati dagli altri corpi e dalle altre nostre necessità che fare questo ragionamento è impossibile?

Chiaramente ogni aspetto dell'individuo che riguarda il complesso dei suoi corpi inferiori ha caratteristiche personali che rendono l'individuo stesso diverso da tutti gli altri.
E' comunque altrettanto vero che ogni suo corpo, invece, ha delle necessità di base che lo accomunano ai corpi posseduti dagli altri individui incarnati.
Se osserviamo il corpo fisico, per fare un esempio il più semplice possibile, ci rendiamo conto che per il suo corretto funzionamento è necessario che l'individuo assuma giornalmente una certa quantità di acqua, e questo vale per ogni individuo incarnato sul pianeta. Allo stesso modo si possono trovare aspetti sia emotivi che psichici che accomunano gli altri corpi inferiori in tutta la razza umana, anche se sono più difficili da trovare; dal punto di vista emotivo, per esempio, un'emozione comune a tutti gli uomini è la paura di fronte a un pericolo, da quello psicologico potrebbe essere considerato comune il bisogno di comunicare con le altre persone.

D - Il discorso del Dna che si modifica nel tempo e ci fa adattare ai cambiamenti è vero, ma non credo sia il caso di farvi affidamento "immediato". Alla fine si parla di cambiamenti che avvengono nel corso di migliaia di anni, probabilmente decine di migliaia di anni. Tant'è che se c'è così tanta gente ammalata di tumore è proprio perché ci stiamo avvelenando con una velocità di molto superiore alla nostra capacità di adattamento, io credo...

Un conto sono i cambiamenti dipendenti dalle modificazioni genetiche che fissano in una specie determinate caratteristiche sotto la spinta di necessità di adattamento ambientale e che diventano patrimonio genetico stabile e tramandabile alle nuove generazioni attraverso a mutazioni genetiche che si fissano nel patrimonio genetico della specie attraverso a un graduale adattamento del Dna.
Un altro conto, invece, riguarda quelle mutazioni genetiche che possono essere considerate di effetto più immediato: pensate alle specie che cambiano il colore del loro pelo per adattarsi alle necessità derivanti dall'avvicendarsi delle stagioni.
In questo caso il cambiamento è relativamente rapido ed è la diretta conseguenza dell'attivazione, momentanea, di una diversa sequenza genetica. Questo significa che ogni specie ha la possibilità di attivare (entro certi limiti, naturalmente) dei mutamenti genetici individuali abbastanza rapidi allorché sono necessari per aiutarla a compensare le mutate condizioni ambientali in cui si trova, magari, a dover operare; mutamenti che, col passare di lunghi lassi di tempo e con la loro continua attivazioni, potrebbero anche diventare comuni nell'intera specie fissandosi nel Dna che viene tramandato alle generazioni successive.

D - Ecco un altro bel punto che, secondo me, si potrebbe chiarire ulteriormente, il cui significato può sembrare ovvio e si dà spesso per scontato, ma …Che cosa intendiamo per “esperienze che si presentano”? Si tratta di fare viaggi in terre più o meno lontane? … o di nuove persone da incontrare? … o di frequentare dei “corsi” di vario genere? … o di cimentarsi in nuove discipline sportive? … o che altro?

Il concetto di esperienza è molto meno semplice di quanto si pensi e senza dubbio di grande portata.
In realtà potremmo semplicemente definire esperienza ogni situazione, all'interno delle proprie giornate, in cui ci si trova davanti alla necessità di operare delle scelte, e non è possibile fare una graduatoria tra le esperienze affrontate e le scelte che vengono effettuate, in quanto le scelte che vengono messe in atto hanno tutte un sottofondo di necessità di comprensione di qualche fattore che, fino a quel momento, non era stato compreso, e anche la più piccola comprensione risulta indispensabile all'individuo per mettere a posto i tasselli del suo sentire tanto quanto una grande comprensione.
D'altra parte, tenete presente che le grandi comprensioni, per essere veramente tali in maniera definitiva, devono essere complete in ogni loro aspetto – quelle che noi, normalmente denominiamo “sfumature” - e, di conseguenza, sono favorite dall'acquisizione di tante comprensioni apparentemente piccole.
In quest'ottica che tiene conto del cimentarsi nell'individuo nel compiere le sue scelte, si può facilmente arrivare a comprendere che, in realtà, ogni avvenimento a cui partecipiamo nel corso della nostra vita, per piccolo che esso sia, può essere definito “esperienza”, e questa considerazione non può portare ad altro che a considerare l'intera vita che si vive come una continua palestra di esperienze nella quale esercitiamo a ogni piè sospinto la nostra reale comprensione.
Dal momento che ogni nostra scelta è “guidata” dalla nostra comprensione e messa in atto dal nostro Io all'interno della vita che si affronta durante l'incarnazione, è evidente che ogni esperienza contiene aspetti reattivi che riguardano l'intera somma delle reazioni dei corpi dell'individuo, dal corpo della coscienza (che suggerisce le scelte sulla scorta delle comprensioni raggiunte – e, quindi del grado di sentire dell'individuo al momento della scelta) ai riflessi che le scelte compiute e gli effetti che ne derivano hanno all'interno del circolo vibratorio akasico/fisico che, come sappiamo, esiste per portare alla coscienza dell'individuo quelle briciole di comprensione che, vivendo, via via acquisisce, dando luogo, in questo percorso di interiorizzazione, a sensazioni, emozioni e riflessioni che completano il quadro dell'esperienza affrontata, portando al corpo della coscienza il massimo dei dati che l'individuo, a quello stadio della sua evoluzione, può recepire.
Gli esempi che hai portato esaminano soltanto un tipo di esperienza, cioè quell'esperienza che riguarda principalmente la parte esterna della vita dell'individuo, portandolo a cercare soddisfazione ai suoi bisogni attraverso i viaggi in paesi esotici e lontani, con abitudini e modi di vivere, dai propri, oppure a dedicare parte del suo tempo alla frequentazioni di corsi (quasi sempre, a loro volta, esotici o inconsueti, nell'illusione dell'Io che ciò lo innalzi sui suoi simili), oppure ancora ad allargare i rapporti a persone nuove o il dedicarsi a discipline sportive, teoricamente salutiste ma che, in realtà, molto spesso sottopongono a stress fisiologici corpi non abituati a tali sforzi.
Se analizzassimo ognuna di queste scelte di esperienza ci renderemmo conto che esse corrispondono a bisogni personali ben precisi (il sentirsi più “globali” degli altri, o il sentirsi di più ampie conoscenze rispetto ad altri, o il desiderio di cercare di supplire alla mancanza di rapporti profondi con una quantità massiccia di rapporti superficiali con molte persone – e al giorno d'oggi i cosiddetti “social” contribuiscono largamente al diffondersi di un tale tipo di illusione – o il tentativo di apparire esteticamente piacevoli, convinti, magari, che la persona bella esteriormente sia sinonimo dell'essere belli anche interiormente.
In ogni caso si tratta comunque e sempre di esperienze e dell'applicazione di quella sorta di comandamento che vi diamo spesso ovvero: “quello che è oltremodo importante per la vostra crescita è che viviate il più pienamente possibile la vostra vita per quanto difficile essa vi possa apparire”.

D - Mi sono chiesta: “Ma in casa nostra, senza andare tanto lontano o addirittura partire per luoghi remoti, non abbiamo già abbastanza esperienze da affrontare? Non siamo già circondati da situazioni e persone (magari la famiglia o parenti vari) che non ci siamo mai preoccupati più di tanto di conoscere veramente? Può l'esperienza di frequentare degli estranei (nella speranza che nascano belle e nuove amicizie) essere più fruttuosa, più utile per la nostra crescita, dell'esperienza di aiutare un famigliare in difficoltà (che spesso fingiamo di ignorare, per non sentirci in colpa!), una vecchia zia malata, o un vicino di casa, un vecchio amico, un immigrato, un senzatetto, o un conoscente qualsiasi?”

Vedi, mia cara, l'Io dell'essere umano ha la tendenza ad elevarsi al di sopra degli altri, quindi trova difficile essere messo alla pari con gli altri anche per quanto riguarda le esperienze che compie, e aiutare chi è lontano risulta, secondo lui, più appagante che aiutare chi gli è vicino perché, in fondo, non lo costringe a un reale mettersi in gioco e gli dà la possibilità, comunque, di essere portato in palmo di mano relativamente al giudizio altrui per la sua disponibilità e il suo altruismo.
Aiutare chi è vicino comporta, indubbiamente, un coinvolgimento molto maggiore, e questo porta con sé un aumento delle responsabilità che l'individuo si assume ad ogni scelta che mette in atto, e tutto ciò all'Io fa paura perché non sa se e quanto riuscirà a gestire il rapporto che si crea con le persone vicine che aiuta in maniera da non sentirsi sminuito, inadeguato o incapace di fornire un reale aiuto all'altro.
E tale sensazione l'Io, se solo può farlo, cerca di evitarla, perché sa che gli porterebbe sofferenza e la sofferenza significherebbe ammettere con se stesso di non essere quella gran creatura superiore che vuole convincersi di essere.

D - Perché sento necessario ‘nascondermi’ anche con le persone che mi sono più care e vicine? La fiducia nel loro affetto per me è proprio così scarsa?

La risposta a questa domanda direi che è insita in quanto ho detto in precedenza.
Non si tratta quasi mai di non avere fiducia nell'affetto altrui, quanto della paura di non essere veramente in grado di non tradire tale fiducia e, quindi, di trovarsi a perdere una parte dell'affetto che si riceve.

D - Ci dicono che, per procedere, è necessario “perdonare se stessi” … Che vuol dire? Chiudere un occhio e consolarsi dicendo che “tanto, tutti fanno degli errori!”?

Non significa certamente quello che dici.
Significa, invece, rendersi conto degli errori e delle scelte sbagliate compiute, accettare di averli compiuti e lavorare sulle proprie incomprensioni in maniera che in un futuro più o meno prossimo tali errori non vengano più ripetuti. Si tratta, in fondo, di non nascondere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi per evitare di scorgere i propri errori ma di porsi attivamente nei loro confronti per far sì che ciò che al nostro interno ci ha portato a commetterli venga a poco a poco modificato in maniera che essi non possano ripetersi più.

D - Che cosa significa "accettare la propria realtà"? Significa forse: "Eh, io sono così, e non posso fare di meglio" ?

Così come poni tu la questione sembra che si tratti di una giustificazione (accompagnata da un'alzata di spalle rassegnata).
Il senso dell'”accettare la propria realtà” è ben altro e va letto esattamente negli stessi termini in cui ho risposto alla domanda che è stata fatta in precedenza, ovvero acquisire la consapevolezza delle proprie mancanze e degli errori compiuti nell'effettuare le proprie scelte, non nell'ottica di colpevolizzarsi, di giustificarsi o di trovare scusanti ai propri errori ma in quella di fare tesoro degli errori compiuti per comprendere le incomprensioni che li hanno generati in maniera da evitare una ripetizione delle stesse scelte sbagliate.

D - Qual'è la relazione tra Senso di colpa e Vergogna? La seconda è solo ed esclusivamente una conseguenza del primo?

Sono due concetti che, apparentemente, possono sembrare molto simili.
In realtà si tratta di due cose ben diverse, perché diversa è la loro origine: il senso di colpa, come abbiamo visto, nasce nell'interiorità dell'individuo allorché si confronta con i modelli degli Archetipi Permanenti, mentre la vergogna ha origine, nella maggioranza dei casi, dal sentirsi lontani dai modelli sociali presentati come giusti dagli Archetipi Transitori... ma qui il discorso si farebbe veramente molto lungo e sono certo che ognuno di voi, forte delle cose che vi abbiamo detto in questi ultimi anni, è in grado di comprendere a fondo che cosa significhi quanto vi ho appena detto!
D'altra parte, come ben sapete, l'ottimismo ad oltranza è uno dei miei... difetti! (Scifo)

Come tutti gli anni vi lasciamo qualche mese di pausa.
Vi siete mai chiesti perché lo facciamo?
Certamente non perché abbiamo bisogno di radunare le idee per trovare ancora qualcosa da dire dopo tutti questi decenni di nostri interventi!
I perché sono, ovviamente, molteplici.
Prima di tutto per far riposare gli strumenti, specialmente in una stagione in cui la temperatura li affaticherebbe troppo: sebbene se non vi sono più “sedute”, anche i nostri interventi per portare le nostre parole richiedono comunque da parte loro non solo attenzione e disponibilità, ma anche un certo dispendio di energie, e non possiamo certamente non prenderci cura, per quanto ci è concesso, del loro equilibrio energetico, specialmente ora che, con l'avanzare della loro età, tale equilibrio è votato – come è giusto che sia – prima di tutto al collaborare con i processi del loro corpo fisico nel tentativo di compensare nel miglior modo possibile le diverse priorità fisiologiche che l'anzianità, inevitabilmente, comporta.
In secondo luogo per lasciarvi il tempo di introiettare e, se lo desiderate, lavorare su quanto vi è stato detto nel corso del ciclo, senza accatastare nuovi stimoli e nuove domande che, sommandosi, andrebbero oltre le vostre capacità di gestione, costrette a sottostare ai limiti che la costituzione dei vostri attuali corpi inferiori vi pone.
In terzo luogo per ricordarvi che non dobbiamo essere noi il centro della vostra vita bensì la vostra vita stessa, con le esperienze che vi mette continuamente a disposizione.
Come vi abbiamo sempre detto nei decenni, non dovete fare di noi una nuova Bibbia alla quale fare riferimento per dirimere i vostri quesiti interiori né, tanto meno, usare i volumi con le nostre parole come degli oracoli da aprire a caso per ricercare nelle pagine così selezionate le risposte che cercate o le soluzioni che non riuscite a trovare.
Può sembrare strano che io dica quanto ho appena detto, eppure più di uno di voi fa proprio questo, mettendo in atto una sorta di... “ifiormanzia”, alquanto opinabile.
Certo, qualcuno di voi potrebbe ricordarmi che nulla succede a caso e che, quindi, aprire un libro a caso e puntare il dito su una frase, può portare a delle indicazioni utili per le questioni che vi stanno a cuore, e non posso che concordare con voi, solo che le cose non sono proprio come voi tendete a immaginarle (ovvero come responsi di un oracolo portatore di presunti suggerimenti divini): in realtà è la vostra interpretazione del brano o della frase selezionata quello che tendete a prendere come espressione del volere della divinità, ed è, quindi, strettamente collegata a ciò che voi siete e ai bisogni e ai desideri che vi governano.
Tant'è vero che, quasi sempre, le risposte che pensate di ottenere sono confuse e quasi sempre piegate all'interpretazione di parte che viene fornita dal vostro Io.
In tutti questi anni di nostri interventi il nostro scopo non è mai stato quello di darvi delle soluzioni (ben miseri Maestri saremmo, eventualmente, se fosse stato così!), bensì quello di fornirvi elementi logici, razionali, emotivi e, perché no, sentiti come veri che vi potessero aiutare a compiere le vostre scelte ogni volta che vi trovavate davanti ad un bivio in cui la necessità di compiere una scelta diventava imprescindibile e impossibile da evitare.
In altre e più semplici parole, figli nostri, abbiamo cercato di insegnarvi a vivere nel modo più consapevole possibile per voi la vostra vita. (Moti)

Se noi non ci fossimo stati, avreste forse messo di vivere?
Certamente no.
Se noi non vi avessimo portato i nostri insegnamenti avreste forse fatto più errori?
Può anche essere, anche se magari ne avreste fatti altri che altrimenti non avreste commesso.
Comunque sia, avreste vissuto sempre e comunque la vostra vita manifestando, nella sua conduzione, ciò che avete compreso e ciò che, invece, è ancora lontano dalla vostra comprensione, simili a tanti Urzuk perennemente alla ricerca del loro vero essere. (Scifo)
 
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