Incontro di ottobre 2016, 22 ottobre 2016 - Ombra, Scifo, Vito, Rodolfo, Moti

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view post Posted on 26/10/2016, 07:04

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Eccoci arrivati a questo nuovo ciclo di nostri interventi.
Come avrete notato non abbiamo più niente di veramente nuovo da portarvi, ma stiamo approfittando del tempo che ci resta per intervenire presso di voi per chiarire o specificare meglio cose che già sono state dette.
Per alcuni di voi questo potrà sembrare una ripetizione anche un po' noiosa ma, miei cari, ricordate che altri possono aver bisogno di queste chiarificazioni e che noi non parliamo mai per uno solo di voi bensì per tutti coloro che hanno desiderio di ascoltare le nostre parole.
Ma veniamo alle vostre domande. (Moti)

D - A me viene difficile pensare agli Archetipi Permanenti al plurale e mi suona meglio pensare all'Archetipo Permanente al singolare, identificandolo alla fine con l'Assoluto. Quindi adesso mi sorge il pensiero di assimilare gli Archetipi Permanenti ai 33.000 dei della tradizione induista, dove ciascuna divinità rappresenta un aspetto del Brahman (il principio divino), e quindi ci sta che gli Archetipi Permanenti siano nella molteplicità pur rappresentando un primo stadio di unità.

Il concetto di Archetipo Permanente si può trovare senza dubbio in molte altre concezioni filosofiche, anche se, magari, con nomi e attributi diversi da quelli con cui ve lo abbiamo presentato noi in questi decenni.
Effettivamente la concezione induista relativa all'esistenza di 33.000 dei, ognuno dei quali è riferibile ad un aspetto del Brahman può essere correlata a quanto noi vi abbiamo spiegato a proposito degli Archetipi.
Tuttavia il ragionamento che si può sviluppare a proposito di questa moltitudine di dei risulta molto complesso, tanto che potremmo coinvolgere in esso sia il concetto di Archetipo Permanente che quello di Archetipo Transitorio.
Infatti, mentre un numero limitato di questi dei sono chiaramente riferibili agli Archetipi Permanenti in quanto collegati ad aspetti del divino che trascendono la semplice realtà terrena e si collegano a quelle forme di codificazione che discendono direttamente dai dettami della Vibrazione Prima nello stabilire le linee guida della costituzione della Realtà, la maggior parte degli altri, invece sono più strettamente collegati agli Archetipi Transitori, in quanto fanno riferimento a quei percorsi di sperimentazione temporanei che si vanno formando per permettere alle individualità incarnate di compiere il loro percorso all'interno della realtà soggettiva che hanno bisogno di sperimentare per acquisire quei dati mancanti alle loro comprensioni al fine facilitare il loro personale cammino di adeguamento a come vengono “descritte” come reali, imprescindibili e immutabili le regole che danno vita all'esistenza della Realtà. (Ombra)

D - Purtroppo sappiamo che per arrivare al “salto di qualità” non basta la “conoscenza” e, quindi, è ovvio che finché non si arriva alla “comprensione” (con l’ampliamento del sentire e la conseguente riduzione/superamento dell’Io) l’interesse principale dell’individuo è concentrato su se stesso e sui suoi presunti “bisogni” (che in realtà sono “bisogni di comprensione”; no?).

E' ormai evidente che, secondo l'insegnamento che vi abbiamo portato nel tempo, non basta conoscere i perché di quello che si vive ma è necessario, per proseguire lungo il proprio percorso evolutivo, arrivare a quel qualcosa di più che è la comprensione di quali sono gli elementi che non abbiamo compreso, ottenendo, in questo modo, la possibilità di superare i punti che ostacolano il cammino individuale favorendo una maggiore strutturazione del sentire personale arrivando così a darci la possibilità di occuparci di quegli altri elementi che abbisognano di una nostra maggiore attenzione al fine di ampliare maggiormente il proprio sentire.
Il percorso che deve compiere l'individuo si muove sempre, nel mondo del divenire, da una condizione più limitata ad una più ampia e strutturata, in accordo con le comprensioni che egli va via via acquisendo nel compiere la strutturazione del suo sentire.
Quindi, come abbiamo visto in passato, tale percorso lo porta a passare gradatamente da una concezione strettamente egoistica - in quanto centrata essenzialmente su se stesso e sui propri bisogni - a una concezione più allargata che tende a inglobare nella sua visione del suo personale rapporto con la realtà in cui si trova a essere inserito creando e stringendo sempre maggiori rapporti con ciò che fa parte della sua sfera di influenza.
Per poter compiere questo passaggio che, indubbiamente, comporta un non indifferente salto di qualità, l'individuo deve seguire sempre la gradualità del suo percorso, passando dalla conoscenza di ciò che lo tocca interiormente a livello sia emotivo sia mentale alla comprensione di quelle che sono le cose che deve ancora comprendere e che stanno alla base dei suoi errori e delle sofferenze che costellano la sua vita.
Eì chiaro che non è possibile saltare la fase della conoscenza e passare direttamente alla fase della comprensione dal momento che non è mai possibile comprendere veramente ciò che non si è prima conosciuto.
Questo discorso potrebbe sembrare in contrasto con il concetto di “illuminazione”, ovvero con il raggiungimento improvviso della comprensione che, in alcune teorie spiritualistiche, viene descritto come immediato.
In realtà le cose non stanno veramente a questo modo: la cosiddetta illuminazione è il risultato finale del grande lavoro sotterraneo - e quasi sempre inavvertito dalla consapevolezza dell'individuo - compiuto dal corpo akasico individuale attraverso il completamento del suo sentire grazie agli elementi acquisiti tramite l'esperienza. (Vito)

D - Io mi chiedo dove rimane l'indicatore che classifica in qualche modo la mia strafottenza nel cercare di possedere, qual è il divario che può distinguere una azione giusta da un azione errata e controproducente?

In realtà l'etichettatura di “giusto” o “sbagliato” applicato a qualsiasi elemento della vita dell'individuo nel corso della sua incarnazione non è poi così semplice e facilmente attribuibile come potrebbe sembrare a prima vista.
Per comprendere questo, basta pensare a una qualsiasi azione compiuta che venga ritenuta giusta e chiedersi, cercando di essere il più sinceri e obiettivi possibile, “giusta per chi?”. Vi renderete conto, così, che anche in questa semplice domanda è individuabile la presenza della legge dell'ambivalenza che mi è così cara!
Infatti, compiendo un'analisi degli effetti dell'azione in questione ci si potrebbe rendere facilmente conto che se essa risulta giusta per alcune delle persone coinvolte, può risultare, per converso, essere sbagliata o dannosa per altre persone.
Facciamo un esempio semplice semplice: la persona che spara per difendersi da un'aggressione o da un furto compie un'azione che non può essere definita, secondo le concezioni comuni, sbagliata, in quanto difende se stesso o le persone che gli sono care (e non soffermiamoci, per non complicarci troppo le cose, sul chiedersi se è giusto sparare per difendere non la propria incolumità ma i propri possedimenti materiali).
Ma basta allargare un po' la prospettiva di osservazione per rendersi conto che se anche può essere ritenuto giusto che chi compie un'aggressione debba essere in qualche maniera punito e che l'aggredito debba avere la possibilità di difendersi, contemporaneamente vengono spesso punite altre persone che, magari, non hanno alcuna responsabilità diretta e importante nell'espletamento del comportamento aggressivo - un compagno, dei genitori, dei figli e via dicendo . che subiscono la ricaduta dell'azione “giusta” compiuta da chi è stato aggredito.
Come vedete le cose non sono davvero così semplici da etichettare come potrebbe sembrare!

D - Quale può essere il modo corretto per non scivolare nel vittimismo giornaliero che ti fa dire: "non c'è la faccio più, cosi non si può andare avanti".

Il punto di partenza da tenere in considerazione prima di ogni altro è che in qualsiasi situazione ogni individuo si trovi non si tratta mai di una condizione di totale passività in confronto agli eventi che sta vivendo (o subendo, come di solito preferisce pensare per trovare consolazione o autogiustificazione), ma vi è sempre qualche cosa che egli può fare per modificare (in maniera totale o, per lo meno, parziale) lo stato delle cose.
Non vorrei essere ripetitivo o noioso citandomi ancora una volta ma certamente la frase “se vuoi cambiare la tua vita, cambiala!” secondo me non ha perso di importanza o di validità.
Il fatto è che il comportamento comunemente adottato dall'individuo incarnato di non altissima evoluzione è comunemente quello che lo porta a piangersi addosso per ottenere visibilità, attenzione, aiuto, gratificazione piuttosto che cercare di agire per modificare la situazione che lo opprime e che fa scattare il suo vittimismo ad oltranza, nella speranza che siano gli altri, principalmente, a trovargli e a fornirgli soluzioni ai suoi problemi, invece di prendere atto delle sue difficoltà e operare per cercare se non di annullarle quanto meno di attenuarle.
Molte volte vi ho sentito chiedervi se è proprio necessario che esista la sofferenza come percorso evolutivo.
Io non posso che rispondere che, finché è il vostro Io al timone della vostra navicella esistenziale, la sofferenza è necessaria e indispensabile per spingervi alla ricerca di quei cambiamenti interiori che renderanno meno pesanti e insopportabili gli effetti di ciò che vi porta a fare le vittime!
Vi siete mai domandati quale siano la genesi e il percorso che alimenta la vostra sofferenza?
Alla base della sofferenza vi è la condizione di disagio del corpo akasico che si accorge di non vibrare all'unisono con i dettami della Vibrazione Prima.
Questa condizione lo porta a cercare di raggiungere un maggiore sentire che lo faccia sentire più a suo agio con le vibrazioni degli Archetipi Permanenti.
Per far questo spinge la sua parte incarnata a compiere esperienza in maniera da acquisire un maggior numero di dati che gli possano essere utili per il raggiungimento del suo scopo.
Arrivata sul piano fisico la richiesta di esperienza quasi sempre si trova ad essere ostacolata dai bisogni dell'Io e dai suoi meccanismi di difesa entrando in contrasto con essi.
Ecco, a questo punto, che scatta la sensazione di sofferenza o di dolore, proprio in conseguenza di tale condizione di disarmonia interna dell'individuo.
Considerato questo percorso che vi ho descritto nella maniera il più semplice possibile, vi sembra che la sofferenza possa essere evitata? Certo che no, dal momento che siete proprio voi stessi, alla fin fine, che ve la causate, anche se solitamente preferite attribuire la sua ingerenza a qualcosa di esterno a voi stessi.
Da quanto vi ho appena descritto, risulta anche evidente che la sofferenza non può che risultare più o meno intensa in rapporto alla maggiore o minore ampiezza del sentire dell'individuo e che non è inevitabile ma che può essere attenuata o addirittura eliminata acquisendo comprensione.
"Non c'è la faccio più, cosi non si può andare avanti" vi sento affermare di frequente.
Non ti resta, creatura mia che mettere in atto proprio ciò che stai affermando: visto che sei arrivato al punto di massima sopportazione di ciò che ti sta opprimendo, vai avanti senza piangerti addosso ma cercando di essere attivo e reattivo nel confronto di quello che la vita ti pone davanti.
Insomma, se posso anche arrivare a comprendere e a giustificare almeno in parte il tuo vittimismo, non posso fare a meno di esortarti con immenso affetto a non cucirti addosso i panni della vittima, visto che è evidente che ti stanno così stretti e che ti mettono in una condizione di disagio che mal sopporti! (Scifo)

D - Mi sembra che dalle Guide venga ribadita con forza e chiarezza l’inderogabile necessità degli scambi di opinioni tra gli individui. Secondo quello che credo di capire io (ovviamente in base alla mia interpretazione personale) quella “comprensione” che tutti ci auguriamo di conseguire può essere agevolata dalla comunicazione con gli altri individui che con noi e come noi stanno proseguendo nel cammino evolutivo. Naturalmente ciò che deve essere comunicato sono le proprie idee, conclusioni e convinzioni, al fine di avere qualcosa di "esterno" da confrontare con ciò che è esclusivamente frutto del proprio Io. In sostanza, secondo me, ciò significa mettere in discussione le proprie idee rivalutandole (seriamente ed onestamente) con quanto viene prospettato dagli altri. In altre parole: essere eventualmente disponibili a “farsi convincere” dalle idee dell’altro; ovvero a “farle proprie”. Solo in quel modo un’idea diventa “comune”

La Realtà nel suo complesso si regge sul concetto di comunicazione, intesa, nella maniera più estensiva del termine, come il passaggio di informazioni tra i suoi elementi costitutivi: tutto nel Cosmo è collegato, interagisce e comunica, ed esso è attraversato senza sosta dai flussi di dati e informazioni che dapprima hanno espletato al compito di determinare le linee direttive di creazione del Cosmo e, successivamente, hanno la funzione di contribuire a mantenere intatta l'unità e la coesione dell'intero Cosmo.
Ovviamente, la comunicazione non opera soltanto a livello macrocosmico, ma anche a livello microcosmico, secondo il concetto del “così in alto, così in basso” che più volte negli anni vi abbiamo suggerito.
Così, come la comunicazione risulta essere essenziale per la creazione e lo sviluppo del Cosmo, altrettanto essenziale essa si rivela essere in ambito microcosmico, al fine di stabilire le interrelazioni tra gli individui incarnati, contribuendo in maniera determinante allo sviluppo dell'individuo e, di conseguenza, dell'intera popolazione presente sul pianeta, fornendo la circolazione delle informazioni all'interno dell'intera umanità, servendo da esempio o da traino agli altri incarnati per confrontarsi con i nuovi dati che vengono messi a disposizione dai sentire individuali.
Il formarsi degli Archetipi Transitori, dal canto suo, come sappiamo, aiuta la costituzione di gruppi di sperimentazione, cosicché anch'essi, in fondo, risultano basarsi in primo luogo proprio sulla comunicazione e il passaggio di informazioni all'interno degli individui collegati all'Archetipo sperimentato: questo elemento finisce col favorire il crearsi di rapporti interpersonali e l'interazione tra individuo e individuo dando a questo due elementi una grande importanza per il percorso evolutivo dell'umanità al punto che si può arrivare ad affermare che senza l'apporto delle informazioni provenienti dalle creature che circondano l'individuo, questi si troverebbe senza nuove informazioni e, così, la sua evoluzione risulterebbe bloccata e impossibilitata a raggiungere gradazioni maggiori di sentire .

D - Non sarà che il non voler cogliere l’occasione/opportunità di confrontarsi con gli altri ed, eventualmente, cambiare le proprie idee procurerà, come conseguenza, del “karma negativo”?

Non c'è alcun dubbio che restare rigidi sulle proprie posizioni senza mantenere intatta la propria capacità di essere elastici e disponibili a riconoscere l'infondatezza di quelle che riteniamo, con una certa presunzione, opinioni portatrici di verità assolute, provoca delle conseguenze non soltanto nella gestione dei rapporti con l'esterno di noi e, in particolare, con le altre persone con cui veniamo in contatto, ma anche nel riflesso su di noi e sulla nostra vita degli effetti dovuti alla nostra rigidità.
Questa rigidità farà nascere del karma negativo?
Se può essere interpretata come karma negativo la ricaduta che porta sull'individuo il suo essere rigido, ovvero le reazioni più o meno negative da parte degli altri con cui egli si sta confrontando, allora la risposta alla tua domanda non può che essere sì.
Tuttavia si tratta di un karma negativo immediatamente risolvibile; basta un po' di buona volontà, la capacità di stare ad ascoltare veramente ciò che dagli altri viene proposto e l'umiltà di saper accettare anche le opinioni diverse che altri possono manifestare.

D - "Non è il mio momento" (di cambiare, di evolvere)... ma, in realtà, chi può sapere se è il proprio momento o no?

Hai ragione, il più delle volte l'individuo non sa se è arrivato, per lui, il momento di cambiare.
Molto spesso il cambiamento avviene senza che l'individuo ne sia realmente consapevole: il cambiamento reale e stabile, infatti, è la conseguenza di un ampliamento del sentire all'interno del corpo akasico e, come sappiamo, molto spesso ciò che avviene all'interno del proprio corpo akasico sfugge alla capacità di consapevolezza del corpo fisico che può arrivare a riconoscere l'esistenza di tale cambiamento solamente attraverso l'osservazione delle modifiche al suo modo di essere all'interno del piano fisico, osservazione che, d'altra parte, non gli fornisce quasi mai la sicurezza che il cambiamento avvertito sia reale e definitivamente acquisito, cosa, questa, che, d'altro parte, alimenta i tentativi del suo Io di raggiungere una sempre maggiore stabilità e presa di distanza dalla sofferenza e dal dolore.
Il lavorio interiore che accompagna il tentativo di comprendere se è giunto il momento di cambiare o se quel momento non è ancora arrivato è modulato proprio dai desideri e dai bisogni dell'Io.
In realtà, non si può arrivare a comprendere se tale momento è arrivato o no, tant'è vero che, molto spesso, l'idea del cambiamento resta soltanto una dichiarazione di intenti alla quale sovente non fa seguito una reale operatività in tal senso.
Questo accade proprio perché il cambiamento non può avvenire attraverso una sorta di evoluzione dell'Io (non dimentichiamo che l'Io, in fondo, è una grande illusione, il prodotto di un processo a disposizione dell'individuo per interagire con l'esperienza) ma solamente attraverso al raggiungimento di nuovi elementi di comprensione da parte del sentire di coscienza. (Rodolfo)

D - Io mi sento estremamente confusa e mi chiedo se questi due modi si potranno mai incontrare in un equilibrio che farebbe bene ad entrambi. Moti dice che i cambiamenti partono dalle scelte individuali di ciascuno di noi ... mah! Sì ... forse ... certamente i cambiamenti per il singolo individuo che nelle sue grandi o piccole contraddizioni può dare una svolta alla propria vita in una direzione piuttosto che in un'altra, ma si deve comunque sempre adattare a quelli che sono i movimenti della massa ...

Padre mio,
nell'osservare il mio modo di condurre la mia vita mi rendo conto che ci sono molti aspetti del mio essere vivo all'interno del piano fisico che dovrebbero essere modificati.
Arrivato a questo punto della mia evoluzione conosco quali sono i punti principali su cui dovrei operare per trovare un maggiore accordo con ciò che la mia coscienza mi suggerisce, osservando il mio modo di essere in cerchi sempre più ampi.
Io dovrei essere un compagno, un genitore, un figlio, un amico migliore.
Io dovrei mostrare più facilmente i miei sentimenti e le mie emozioni senza timore di non essere capito o di essere ferito.
Io dovrei essere disponibile a porgere la mia mano a chi ha bisogno di aiuto, senza fare distinzioni di alcun tipo e senza che le mie scelte siano governate da un qualche tipo di interesse personale.
Io dovrei dire senza timore quello che penso veramente, facendomi portatore delle verità che dentro di me sento essere vere, pur restando pronto ad accogliere le verità che altri possono porgermi e che, magari, sono più indubitabili delle mie.
Io dovrei rendermi conto che, veramente, Tutto è Uno e che il detto “morte tua, vita mia” è un detto orribile perché attribuisce alla violenza e all'aggressione la preminenza sulla possibilità di mediare tra due sofferenze, nell'illusione che eliminandone una l'altra perda importanza.
Io dovrei ricordarmi sempre che l'ambiente planetario in cui conduco il mio percorso è essenziale alla fattibilità di tale percorso e che esso non è solo mio, ma appartiene ad ogni altra creatura che sul pianeta sta a sua volta perseguendo i fini dell'evoluzione, e questo pensiero mi dovrebbe spingere a essere sempre rispettoso nei suoi confronti.
Io dovrei preservare l'ambiente in cui vivo dai danni che il mio egoismo può apportargli, perché io sono parte di esso ed esso è parte di me.
Io dovrei... ma il più delle volte, malgrado io desideri farlo, non riesco ad andare oltre la conoscenza di ciò che dovrei cambiare di me stesso per aiutare non solo me ma il mondo intero! (Scifo)

Figlio mio,
non devi angustiarti oltre il lecito per ciò che non riesci a fare per modificare te stesso, pur sapendo che tali modifiche sarebbero giuste e utili.
Io ti ho dato un corpo della coscienza proprio affinché tu avessi uno strumento che ti permetta di cambiare non a livello superficiale ma a un livello più profondo, talmente profondo che tende a sfuggire alla tua consapevolezza.
Anche se tu non te ne rendi conto, figlio mio, stai gradatamente cambiando e io ho creato un intero Cosmo per metterlo a tua disposizione al fine di aiutarti a raggiungere quella comprensione interiore che è necessaria, indispensabile e condizione “sine qua non” affinché i tuoi cambiamenti diventino reali, effettivi e acquisiti definitivamente.
Non devi avere fretta di cambiare, perché non c'è modo di accelerare la tua comprensione: essa segue un percorso continuo e omogeneo in cui ogni elemento è conseguenza dell'acquisizione di altri elementi, cosicché tu cambierai sempre e solamente nel momento in cui arriverai al punto di avere una reale possibilità di comprendere.
Per il momento, figlio mio, accontentati di cercare di sforzarti di mettere in atto con le tue azioni, quando ti è possibile farlo, i cambiamenti che riconosci essere giusti, e non ti angustiare se per ogni volta in cui riuscirai a farlo ce ne saranno altre dieci in cui non sarai riuscito a metterlo in atto.
Invece di tormentarti con i sensi di colpa per ciò che non sei riuscito a fare trova in te la felicità e la soddisfazione per le volte in cui, invece, sarai riuscito a farlo.
Tempo verrà, figlio mio, indubitabilmente, in cui sarai un compagno, un genitore, un figlio,un amico, un uomo capace veramente di amare, di tendere la mano, di preservare la vita e di vivere in accordo con l'ambiente di cui fai parte, perché sarai cambiato, profondamente e definitivamente, all'interno della tua coscienza.
Ti amo, figlio mio, e che la pace e la speranza siano con te.
(Moti)
 
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