Incontro con le Guide di Maggio 2017, 15 maggio 2017 - Scifo, Moti, Vito

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view post Posted on 16/5/2017, 08:26

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Creature, serenità a voi.
Cosa resta ancora da dire dopo i fiumi di parole che vi abbiamo fatto pervenire in questi tanti anni di nostri interventi?
Probabilmente ormai possiamo soltanto fare ciò che in questi decenni non avete mai fatto quasi tutti voi – forse per trascuratezza, forse per le problematiche che coinvolgono indubbiamente questo momento della vostra tormentata esistenza all'interno del piano fisico – ovvero ripensare a quanto vi abbiamo detto della costituzione della Realtà e trarre dagli elementi che vi abbiamo messo a disposizione, le conseguenze che un tale castello filosofico, certamente molto complesso, porta con sé.
Alcuni di voi non trovano ancora risposta a delle domande che si pongono, come ad esempio chi siamo noi in realtà e come e per quale motivo è stato possibile che intervenissimo presso di voi per tutti questi anni.
In realtà vi dico che tutte le risposte vi sono ormai state date, magari non in maniera sempre palese e diretta ma, certamente, come ovvio risultato logico di quello che vi abbiamo proposto nel tempo.
Purtroppo, ahimè, sappiamo che la logica non è sempre il vostro forte e che metterla in atto può risultare uno sforzo intellettuale di una certa intensità, e siamo consapevoli (e lo sarete anche voi, immagino!) che sforzarvi non è mai stato il vostro punto di forza ma che tendete ad accontentarvi di avere la pappa pronta, più subendo che partecipando, così come accade troppo spesso anche nella conduzione delle vostre vite.
Per questo motivo - dal momento che, oltretutto, con il prossimo intervento termineremo anche di dare risposta ai vostri ultimi quesiti – abbiamo deciso di dedicare il tempo che ci rimane proprio per farvi toccare con mano quante e quali conseguenze è possibile trarre dalla rappresentazione della Realtà che vi abbiamo descritto in questi anni. (Scifo)

“Il tempo che ci rimane...”
.
E già, amati figli nostri, i granelli di sabbia della clessidra che scandisce la possibilità dei nostri interventi stanno per esaurirsi, in concomitanza con i quarantanni di esistenza del nostro rapporto d'amore tra noi e voi, e con il mese di luglio tutti noi ritorneremo nell'ombra da cui siamo momentaneamente usciti.
Questo significherà la fine del Cerchio?
Vedete, miei cari, il Cerchio è un simbolo e, in quanto tale, avrà forza ed esistenza fino a quando qualcuno tra voi lo renderà valido non tanto con i suoi pensieri e il suo ricordo, quanto per ciò che esso ha scritto dentro di voi e, come sempre abbiamo detto, fino dal principio del nostro venire tra di voi, se il Cerchio sarà e continuerà ad essere utile anche solo per uno tra voi, aiutandolo a percorrere più fattivamente il suo percorso evolutivo, questo darà ragione e motivazione della sua creazione.
Vi abbraccio con affetto e che la pace sia con tutti voi. (Moti)

D - Trovare "amici" che la pensano come noi o essere particolarmente attratti da persone che "sentiamo" potenzialmente essere sensibili alla nostra "linea"...... beh, dà forza, autostima e sopratutto contrasta il nostro miserevole annaspare quotidiano.

Su quanto dici non c'è niente da obiettare... tuttavia una tale posizione, specialmente se adottata come linea guida di comportamento del personale vivere quotidiano, diventa una pacchia per l'Io!
Certamente, frequentare persone molto simili per interessi, tendenze, idee è gratificante per l'Io, aumenta la sua autostima e dà l'illusione di potersi tirare fuori (come dici tu) dal miserabile annaspare quotidiano.
Ma siamo sicuri che, alla lunga, questo dia buoni frutti per l'individuo, non soltanto per le sue ipotetiche possibilità di aumentare il suo grado evolutivo, ma anche proprio per vivere meglio la sua quotidianità e non porti, invece, ad uno sterile appiattimento degli stimoli di cui l'individuo ha bisogno per arrivare a comprendere come migliorare se stesso?
La pluralità della comunicazione e dei rapporti fornisce la necessaria diversificazione delle esperienze da affrontare sul campo di battaglia della vita, aiutando a esaminare punti di vista differenti e a confrontarsi con essi, traendone elementi per migliorare la propria consapevolezza di quali siano le imprecise comprensioni che ogni individuo ha necessità di chiarirsi per vivere meglio non solo con se stesso ma anche con l'ambiente e le persone che con lui sono in rapporto di scambio.
Non intendo, con questo, affermare che bisogna gettarsi a capofitto negli scontri con chi ha sensibilità e idee che differiscono dalle proprie ma che, come al solito, la via migliore per l'individuo incarnato è quella di trovare il giusto mezzo tra la gratificazione (talvolta, lo ammetto, utile e necessaria per trovare nuovi stimoli per affrontare le asperità che l'esistenza presenta) e il confronto, talvolta anche aspro, con ciò che è diverso, lasciando sempre la porta socchiusa alla possibilità che siano le proprie idee e le proprie sensibilità ad essere in errore, e non quelle degli altri, così come l'Io costantemente suggerisce per mettersi al riparo dalle delusioni, dalla scoperta delle proprie manchevolezze e, in definitiva, dalla sofferenza che tali scoperte gli possono portare.

D -Il segno più evidente che si sta lavorando nella direzione giusta credo sia la diminuzione della sofferenza.

Ecco, “la sofferenza”.
In fondo, se ci pensate, gran parte delle vostre azioni e reazioni è governata proprio dal vostro continuo tentativo di evitare di essere in balia della sofferenza.
Non che questo non sia giusto, per carità: nessuno può affermare con serenità che la sofferenza vada ricercata: essere masochisti non è certo auspicabile per nessuno!
Il problema principale, però, risiede nel fatto che, nella maggior parte delle volte, le cause della propria sofferenza vengono individuate all'esterno di se stessi, attribuendone la genesi al comportamento delle altre persone o all'inevitabilità degli avvenimenti che si presentano, mentre la sofferenza avvertita è, al contrario, una questione strettamente personale, nasce dalla propria interiorità e ha la sua affermazione come conseguenza dello squilibrio che ogni individuo avverte tra ciò che, a livello di coscienza, percepisce come giusto e la sua maniera di reagire alle avversità, badando più che altro al proprio interesse e alla propria – come dicevamo prima – gratificazione personale.
Attribuire la causa della propria personale sofferenza all'esterno di se stessi può anche avere l'effetto di stemperare momentaneamente il proprio dolore interiore e, quindi, offrire un momento di pausa e di temporaneo sollievo, ma certamente non risolve il problema che sta alla sua base e, di conseguenza, senza dubbio la sofferenza tornerà a ripresentarsi e, molto spesso come vi abbiamo sempre e costantemente ricordato, in maniera ancora più dolorosa, perché nel frattempo, probabilmente, si saranno moltiplicate, a causa delle proprie incomprensioni, le conseguenze dell'aver ignorato per un troppo lungo lasso di tempo le proprie mancanze di comprensione alimentando azioni e reazioni personali che hanno dato il via a processi di causa ed effetto che finiscono con l'aumentare le possibilità di errori e, quindi, con l'amplificare la forza con cui la sofferenza si riflette sulla propria vita.

D - In realtà ciò succede anche con le parole delle Guide; se Loro dicono che "non si devono giudicare gli altri" immediatamente tutti smettono di esprimere le loro opinioni e cercano di mostrarsi buoni, gentili, tolleranti e comprensivi ... ma è possibile che siano giunti d'un balzo alla meta?! ... o invece, interiormente, continuano a giudicare senza alcuna pietà?

Questa è la situazione tipica in cui finisce col trovarsi chi affida la propria esistenza a un qualsiasi codice morale e di comportamento, sia esso religioso o anche semplicemente filosofico, che detti le norme per un corretto vivere.
Senza dubbio tali codici, se osservati dal punto di vista del vivere sociale, hanno la loro validità e la loro ragion d'essere, quanto meno perché possono arrivare a evitare conseguenze talvolta anche gravi tra i rapporti sia personali che sociali, permettendo che la sofferenza non si ripercuota con forza anche su un gran numero di altre persone.
Il fatto è che vivere per “frasi fatte” provenienti da tali codici (e mi riferisco, com'è ovvio, anche alle nostre parole e a quanto vi abbiamo detto nel corso di questi decenni) non significa che le indicazioni date siano veramente sentite e acquisite dall'individuo anzi, molto spesso diventano una facciata di perbenismo dietro la quale l'individuo si trincera per dimostrare a se stesso e agli altri la sua equanimità, fornendo un'immagine illusoria di se stesso e della propria più intima realtà.
E' perfettamente inutile sforzarsi di non giudicare gli altri: anche semplicemente il fatto che si voglia indirizzare il proprio modo di osservare gli altri nel modo meno giudicante possibile, mostra già che, in realtà, sotto la patina di equilibrio che si tenta di mettere in atto, il giudizio è ben presente e condizionerà, comunque, sia le proprie azioni che le proprie reazioni, rendendo alla fin fine l'emissione di veri e propri verdetti di colpevolezza e non solamente la legittima espressione delle proprie opinioni al fine di produrre un confronto e uno scambio che unisca, invece di dividere.
Il contatto con gli insegnamenti, qualunque essi siano, molto spesso viene vissuto in maniera errata, direi quasi (per usare una terminologia attuale) “talebana”: la tale Guida o il tale Maestro dicono così, quindi io mi comporto in accordo con quanto mi è stato detto, dando vita a quei fondamentalismi che state vivendo drammaticamente nel momento attuale delle vostre società..
Ci si dimentica che il Cristo, Maometto, Buddha - e, scusate la mia presunzione, persino noi – o qualsiasi altra grande figura della storia dell'umanità che si è occupato di comportamento etico/morale non hanno mai affermato che quanto davano come norma giusta di comportamento fosse da seguire rigidamente bensì che fossero il comportamento più giusto verso il quale l'individuo deve tendere, facendolo diventare una parte indistinguibile di se stesso, quindi l'espressione di un processo interiore di crescita che tende verso una meta da raggiungere, non un traguardo imposto con la forza a se stessi, e pretesa dagli altri fino al punto di difenderlo in qualsiasi maniera pur di imporlo agli altri uomini.
Per restare aderente alla terminologia che abbiamo usato presso di voi in questi anni di nostri interventi presso di voi, questo significa che il codice etico deve arrivare ad essere sentito e a trovare una sua collocazione definitiva all'interno dell'individuo, al punto tale da influenzare spontaneamente e in maniera fluida i suoi comportamenti nel corso delle sue esperienze di vita, senza bisogno che vi sia l'imprimatur o l'imposizione di una qualsiasi figura esterna, per autorevole che essa possa essere.
Per restare nel contesto della domanda che è stata fatta, se così non è e si arriva a non giudicare perché così una qualche “Guida” ha detto di fare, in realtà si mette in atto il tipico comportamento “ipocrita” proprio dell'Io che si ricopre di maschere tese a mostrarlo diverso e migliore di quello che è in realtà, creando una forte contrapposizione tra come ci si comporta e come, in realtà, ci si comporterebbe senza le pastoie poste dagli insegnamenti.
Senza dubbio tale posizione può evitare problematiche e risultare utile per un più equilibrato vivere sociale comune, ma non stiamo parlando di questo, bensì della posizione interiore dell'individuo per la quale tale dicotomia prima o poi risulta portatrice di sofferenza.

D - Secondo me, l’osservazione dei propri moti interiori ci permette di prendere atto di come siamo realmente e, quindi, di “aggiornare la nostra immagine”, smettendola di raccontarci un sacco di bugie. Avremmo così raggiunto la “sincerità con se stessi”; … che non è poco!

Quanto dici è senz'altro corretto: molto spesso, infatti, i problemi dell'individuo incarnato trovano la loro accentuazione proprio nel fatto che egli ha di se stesso un'immagine ormai superata dalla sua realtà interiore, con la conseguenza che tende a restare ancorato a schemi di comportamento che non corrispondono realmente a ciò che davvero egli è interiormente.
Ricordiamo che il sentire della persona incarnata non è mai statico ma è sempre e continuamente in evoluzione, di pari passo con gli elementi o le sfumature di comprensione che va via via acquisendo a seguito del suo trovarsi di fronte alle esperienze che l'esistenza gli propone di volta in volta permettendogli, attraverso l'analisi compiuta dal suo corpo akasico sulle risposte che egli mette in atto nel corso della vita fisica, di strutturare in maniera sempre più soddisfacente i collegamenti tra i vari elementi che costituiscono il suo stato evolutivo, il suo grado di comprensione.
E', dunque, evidente, che riuscire ad aggiornare con una certa frequenza la propria immagine diventa importante per creare minori squilibri tra il proprio reale sentire e le sue risposte alle esperienze.
Intendiamoci, aggiornare la propri immagine (il che, in fondo, corrispondere ad acquisire una maggiore consapevolezza di cosa è cambiato interiormente grazie all'esperienza di vita vissute) risulta certamente utile ma, in realtà, non è strettamente una cosa inderogabile e non conduce a particolari raggiungimenti dal punto di vista evolutivo per l'individuo, semplicemente permette all'individuo incarnato di avere maggiore consapevolezza della propria realtà interiore portando alla sua attenzione quei cambiamenti di immagine che, in realtà, è l'analisi compiuta dal suo corpo della coscienza ad effettuare.
Infatti, i cambiamenti interiori avvengono comunque, anche se la consapevolezza dell'individuo non li recepisce: basta che poniate attenzione alle vostre reazioni di fronte a situazioni che vi si ripresentano e facciate un parallelo su come avreste reagito in precedenza e come, invece, state reagendo sul momento e vi renderete conto che, pur non avendo notato in voi nessun cambiamento, le vostre reazioni sono state diverse in più o meno larga misura rispetto a quelle che erano state in passato.
Allora, direte voi, che senso ha spingerci verso l'osservazione di noi stessi e dirci che è importante riuscire a mettere in atto il più possibile la sincerità con noi stessi se, tanto, la nostra evoluzione continua comunque, sia che ne siamo consapevoli o no?
La risposta più ovvia è che collaborare con i processi evolutivi che vi coinvolgono è altra cosa che subirli in maniera passiva.
Prima di tutto perché vi offre la possibilità di mantenere un certo controllo sul vostro Io, con tutti i benefici che tale controllo vi può portare, specialmente riguardo ai vostri rapporti personali con chi vi è accanto, in secondo luogo perché può aiutarvi ad evitare o, quanto meno, a stemperare la sofferenza che vivete quotidianamente, dal momento che diventare consapevoli dei propri cambiamenti favorisce la messa in atto di vostre reazioni più aderenti alla vostra reale comprensione, gestendo in maniera più fluida e meno problematica le vostre reazioni.
Ricordate che in tutti questi anni di nostri interventi ci siamo sempre preoccupati non soltanto di presentarvi il nostro complesso corpus filosofico ma anche di cercare di fornirvi elementi utili per favorire una migliore conduzione delle vostre esistenze da incarnati.

D – Una cosa da farsi sarebbe chiedersi se quello che a noi rimane sconosciuto, inconscio, agli occhi di chi ci sta vicino e ci conosce, invece, non si palesi a volte anche in maniera evidente. Io penso proprio che sia cosi. Allora a questo punto la domanda diventa: siamo in grado di “vagliare” e magari accettare le osservazioni che ci vengono rivolte principalmente dalle persone di cui ci fidiamo, “allenando” il nostro Io e a creare così, quei famosi “canali preferenziali” che aiutano il corpo akasico ad acquisire i dati indispensabili alla comprensione? Ecco, la mia idea è che possiamo aiutare ad “emergere” i nostri sensi di colpa inconsapevoli quanto meno “ascoltando” e prendendo per davvero in considerazione le eventuali osservazioni che ci vengono dedicate.

Non posso che essere completamente d'accordo con quanto dici.
Indubbiamente le persone che vi accompagnano nel vostro percorso incarnativo scorgono spesso cose di voi che, invece, voi non riuscite a scorgere (ma forse sarebbe più giusto dire “non volete scorgere”).
La presenza accanto a voi di queste persone, come vi abbiamo così spesso ripetuto, è preziosa e utilissima per ognuno di voi in quanto vi mette davanti ad aspetti di voi stessi che il vostro Io cerca strenuamente di nascondere ai suoi stessi occhi.
E' chiaro che non sempre ciò che gli altri riflettono di voi stessi nella rappresentazione che essi si fanno di voi può non essere adeguato alla vostra realtà, dal momento che essi, a loro volta, sono strettamente dipendenti dalla loro percezione soggettiva e dai loro bisogni di comprensione che, magari, li inducono a puntare la loro attenzione solo su particolari aspetti di voi e non sull'insieme degli elementi che vi rappresentano.
Tuttavia tale rapporto vi fornisce l'occasione per vagliare se ciò che gli altri si raffigurano di voi non sia in realtà conseguenza di qualche vostra incomprensione di cui non vi state rendendo conto, permettendovi, in questo modo, di comprendere qualche cosa di più sulla vostra realtà interiore: se riconoscete come sbagliato ciò che gli altri pensano di voi fate spallucce e adoperate il famoso detto “problema loro”, ma se riuscite a controllare l'azione del vostro Io e vi rendete conto che la visione che gli altri hanno di voi scaturisce, invece, da ciò che voi stessi proiettate all'esterno di voi, allora avrete l'occasione per riconoscere che può anche essere veramente un problema loro ma che è, indubbiamente, anche indicativo di un problema vostro.

D - Che cosa intendiamo per “esperienze che si presentano”? Si tratta di fare viaggi in terre più o meno lontane? … o di nuove persone da incontrare? … o di frequentare dei “corsi” di vario genere? … o di cimentarsi in nuove discipline sportive? … o che altro? Quindi mi sono chiesta: “Ma in casa nostra, senza andare tanto lontano o addirittura partire per luoghi remoti, non abbiamo già abbastanza esperienze da affrontare? Non siamo già circondati da situazioni e persone (magari la famiglia o parenti vari) che non ci siamo mai preoccupati più di tanto di conoscere veramente? Può l'esperienza di frequentare degli estranei (nella speranza che nascano belle e nuove amicizie) essere più fruttuosa, più utile per la nostra crescita, dell’esperienza di aiutare un famigliare in difficoltà (che spesso fingiamo di ignorare, per non sentirci in colpa!), una vecchia zia malata, o un vicino di casa, un vecchio amico, un immigrato, un senzatetto, o un conoscente qualsiasi?”

Vedi, un conto è parlare delle esperienze che si presentano e un altro conto è ricercare spontaneamente nuove esperienze.
Le esperienze che si presentano all'individuo incarnato sono architettate in maniera tale da permettergli di acquisire nuovi frammenti di comprensione strettamente collegati a quelle che sono le sue necessità evolutive più immediate o arrivate ormai a un punto tale di strutturazione per cui bastano magari solo poche nuove esperienze per completare una qualche comprensione.
Sono, quindi, mirate e personalizzate all'utilità evolutiva dell'individuo, e tengono conto di quelle che sono le sue reali possibilità di comprensione.
Tenete presente, infatti, che la comprensione arriva per gradi a mano a mano che i vari elementi che la compongono vengono acquisiti ed esistono fattori che non avete ancora la possibilità di comprendere perché non possedete ancora una visione abbastanza strutturata di tali fattori, mentre ve ne sono altri che sono ormai alla portata della vostra comprensione e che raggiungerete, di conseguenza, con maggiore facilità e con minore fatica.
Se, invece, le nuove esperienze vengono scelte personalmente da voi, tali scelte corrispondono certamente comunque a vostri bisogni interiori, ma non è detto che siano ciò di cui avete in primo luogo bisogno né, tanto meno, che siate in grado di trarre veramente da tali esperienze ulteriore comprensione di una certa rilevanza per il vostro percorso evolutivo del momento.
Tali scelte, non dimentichiamolo, sono quasi sempre condizionate dal vostro Io e, spesso, corrispondono al suo tentativo di sentirsi importante o di occupare il vostro tempo affastellando iniziative che finiscono con l'avere la funzione principale di distogliervi dalle problematiche che sono presenti nelle vostre vite inducendovi a “svicolare” da situazioni che non avete la capacità (o la voglia) di affrontare perché farlo vi metterebbe troppo scopertamente davanti alle vostre manchevolezze.
Questo non significa che le esperienze che decidete in prima persona di affrontare non vi servano a niente: quanto meno vi potrebbero condurre a diventare consapevoli che non sono quello di cui avevate veramente bisogno per crescere.
Ma, direte voi, come fare a capire se i percorsi che ho scelto di fare mi sono utili o siano soltanto una fonte di diversivo da problematiche più urgenti?
Come si dice solitamente lo capirete “solo vivendo”!
In realtà tutto ciò di cui più avete bisogno per ampliare il vostro sentire vi è stato posto accanto mettendovi in rapporto con le persone che vi sono vicine e con le situazioni che vi trovate a vivere, ma la naturale tendenza del vostro Io a non mettere in piazza le proprie manchevolezze vi spinge a cercare fonti di gratificazione esterne più facili da affrontare e con minori rischi di doversi mettere in discussione.
Riuscire a trovare la giusta via di mezzo tra la gratificazione e il cercare di risolvere ciò che può essere, per voi, fonte di sofferenza fa parte dei vostri compiti evolutivi, ricordando che, comunque, ciò che dovreste affrontare e che non affrontate non fa altro che rimandare i problemi che si ripresenteranno, prima o poi, con un'intensità maggiore, finendo col sottoporvi a una quantità di sofferenza maggiore di quella che avreste subito se li aveste affrontati in momenti precedenti.

D - Ci dicono pertanto che, per procedere, è necessario “perdonare se stessi” … Che vuol dire? Chiudere un occhio e consolarsi dicendo che “tanto, tutti fanno degli errori!”?

E' vero e inevitabile che sia così, tutti fanno degli errori e. certamente, ognuno di voi ha commesso, commette o commetterà degli errori.
Che questa constatazione, però, diventi una consolazione o, ancora peggio, una giustificazione per i propri errori è una cosa senza senso: se tutti rubano non potete certamente arrivare a decidere che siete giustificati se vi mettete a rubare a vostra volta!
La maniera più corretta per affrontare il peso degli errori che si commettono nel corso della propria vita (indispensabili, d'altra parte, per mettere in gioco se stessi e acquisire consapevolezza dei propri limiti e delle proprie mancanze) è quella di riconoscere gli errori che si sono commessi, lavorando su se stessi per arrivare al punto in cui non li commetterete più perché avrete compreso ciò che ancora sfuggiva al vostro sentire per mancanza di dati o di giusti collegamenti fra i vari elementi delle vostre comprensioni.
E' necessario, per agire nel modo migliore, ammettere in primo luogo i propri errori e perdonare se stessi raggiungendo la consapevolezza che, vista la propria condizione evolutiva del momento, non potevate non commettere quegli errori, mettendo così da parte gli inevitabili sensi di colpa che accompagnano ogni errore compiuto e che diventano spesso più un metodo di autopunizione che un percorso di raggiungimento della comprensione di cui si necessita.
Questo discorso è sottilmente pericoloso perché viene interpretato, solitamente, con la dichiarazione: “io sono così e non ci posso fare niente”, usandola come scusa per autogiustificarsi ed evitare di affrontare le problematiche.
Che voi “siate così” è indubbiamente vero ma è anche indubitabilmente non vero che non possiate farci nulla, a meno che non abbiate intenzione di far finire a carte quarantotto l'intero insegnamento filosofico che ci siamo affannati a propinarvi in questi decenni, manifestando evidenti dubbi non solo su di noi e sulle nostre parole ma anche sulle motivazioni della vostra partecipazione alla quarantennale avventura che abbiamo vissuto accanto a voi.

D - Da quanto sopra, mi sembra di capire che non solo non è necessario tentare di far diventare consci i sensi di colpa inconsci, ma che è addirittura impossibile farlo, in quanto solo l’esistenza – attraverso le piccole sfumature di comprensione che man mano vengono accumulate nel normale svolgersi della vita quotidiana – può aiutarci a superarli.

Concordo quando dici che non è necessario cercare di rendere consci i sensi di colpa inconsci, anche se riuscire a farlo, senza dubbio, facilita i processi interni della vostra comprensione, in quanto li porta a una vostra maggiore attenzione e, di conseguenza, mette un ulteriore dato a disposizione più immediata e meno laboriosa delle vostre possibilità di elaborazione ai fini dell'ampliamento del vostro sentire.
Non concordo, invece, sul fatto che sia impossibile farlo e che solo l'esistenza possa aiutare a superare i sensi di colpa.
Chiariamo una cosa: l'esistenza non fa altro che offrire la possibilità, tramite l'esperienza, di acquisire comprensione ma non vi offre, di per se stessa, nuova comprensione: è uno strumento a vostra disposizione su cui voi, personalmente, dovrete operare.
I sensi di colpa potete superarli solo voi attraverso l'elaborazione compiuta dalla vostra coscienza degli stimoli che l'esistenza vi sottopone e vanno considerati come la risposta del vostro sentire alle vostre azioni e reazioni.
Portarli all'attenzione della vostra consapevolezza può contribuire ad accelerare notevolmente (sempre che siate al punto evolutivo giusto della vostra comprensione) il raggiungimento di nuove comprensioni da parte del vostro corpo akasico.

Cari amici, anche io, con questo mio lungo intervento, giungo al termine del mio presentarmi a voi.
Spero di esservi stato di qualche utilità per comprendere meglio alcune sfumature dell'insegnamento che vi abbiamo proposto e mi auguro che questo possa rendere le vite di ognuno di voi un po' più facili da affrontare e con una più limitata portata della sofferenza.
Vi saluto tutti quanti, uno per uno, con affetto, garantendovi che nessuno di noi, anche se diventeremo per voi solo un ricordo di voci lontane, sarà comunque mai veramente lontano da tutti voi, come capirete meglio in seguito.
Con grande trasporto mi accomiato da voi e vi ringrazio per la vostra collaborazione. (Vito)
 
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