Condizionamento e archetipi sociali

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SerGian
view post Posted on 17/11/2010, 18:50




CITAZIONE
l'archetipo transitorio rappresenta l'esterno con cui ci dobbiamo necessariamente confrontare, cioè tutte le diverse regole morali che incontriamo nella vita quotidiana

Secondo me gli archetipi transitori contribuiscono a "creare" l'esterno, cioè l'ambiente in cui gli individui si trovano a sperimentare:infatti essi, archetipi, sono costituiti dalle comprensioni che i corpi akasici degli individui "credono" di aver compreso e che devono verificare prima di iscriverle in modo stabile nel sentire. Ovviamente ciascun archetipo transitorio è costituito da una molteplicità di sfumature e di agganci con altri archetipi, per cui il percorso che l'individuo deve compiere si presenta estrememente complesso.
Secondo la mia interpretazione, quindi, gli archetipi transitori non si trovano fuori dall'individuo, ma all'interno. Essendo però condivisi da molti individui, essi si proiettano all'esterno dando origine all'ambiente sociale comune.

E qui mi sorge la domanda: se gli archetipi transitori sono le strutture su cui si costruisce l'ambiente sociale, a quale livello della realtà possiamo collocarle?

Se seguo il ragionamento che ho fatto sopra, a me verrebbe da collocarle a cavallo tra il piano mentale e il piano akasico di ciascun individuo che contribuisce a sostenere quel determinato archetipo.

Serena

P.S.: a questo punto mi diventa difficile scindere l'aspetto etico da quello filosofico - scusate lo sconfinamento
 
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view post Posted on 17/11/2010, 20:33
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CITAZIONE
Secondo la mia interpretazione, quindi, gli archetipi transitori non si trovano fuori dall'individuo, ma all'interno. Essendo però condivisi da molti individui, essi si proiettano all'esterno dando origine all'ambiente sociale comune. E qui mi sorge la domanda: se gli archetipi transitori sono le strutture su cui si costruisce l'ambiente sociale, a quale livello della realtà possiamo collocarle? Se seguo il ragionamento che ho fatto sopra, a me verrebbe da collocarle a cavallo tra il piano mentale e il piano akasico di ciascun individuo che contribuisce a sostenere quel determinato archetipo. Serena

Ciao Serena, io la ho capita diversamente.
Gli archetipi transitori non si trovano all'interno dei corpi akasici individuali, ma si formano nel piano akasico al di fuori del corpo akasico individuale.
Sono gli archetipi permanenti che vibrano all'interno del corpo akasico individuale.
Può trarre in inganno il fatto che si formano nel piano akasico, e in effetti è cosi, però la loro manifestazione avviene nel piano mentale, e il loro influsso nell'ambiente sociale.
Tempo fa, le Guide avevano paragonato gli AT come i fantasmi vib. del corpo akasico, infatti la loro caratteristica mutevole e non definita, li caraterizza come delle idee dubbiose, si credono giuste fino ad un certo punto per poi accorgersi che sono incomplete e per cui non giuste.
Diventano dei fantasmi quando l'individuo crede ciecamente al loro influsso, anche quando non ne ha più bisogno.

Spero di essere stato chiaro.

Vittore
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Edited by Livvy - 17/11/2010, 20:49
 
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view post Posted on 17/11/2010, 20:50
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CITAZIONE (marisa e luciano @ 15/11/2010, 20:07) 
Stavo pensando ad una situazione famigliare un po anomala, dove i componenti di una famiglia abbiano superato AT religioso, in questa famiglia nasce un figlio con tendenze molto religiose, bisogni che lo porteranno a prendere i voti.
Secondo me i un caso simile, la scelta del figlio, non porterà dei grossi scompensi ai componenti di quella famiglia, che per seguire e appoggiare il figlio, dovranno vivere di riflesso la religiosità del figlio.
Penso che in una situazione dove l'interesse personale sia minore dell'interesse per il bene del figlio, ci si possa adeguare senza grosse difficoltà.

Mentre adeguarsi per altri tipi di motivi, di interesse diverso, credo che dopo un pò nasceranno dei disagi interiori, dei malesseri.

Se fosse corretto questo esempio, si ritorna alle intenzioni, e alle vere motivazioni delle nostre scelte.
Marisa

Ciao Marisa, condivido quello che hai detto, se in una famiglia non influisce più l'archetipo cattolico, questo non dovrebbe essere un motivo per costringere ( in questo caso il figlio ) a seguire la stessa strada se i bisogni evolutivi lo spingono in quella direzione.

Naturalmente in queste occasioni bisogna "capire l'altro", ed è qui che entra in ballo l'intenzione perchè alle volte, anche se si tratta di un proprio figlio, è giusto che segua quel tipo di spinta se gli è necessaria.
Il discorso però, è un po complicato e andrebbe visionato caso per caso.

Un saluto, Vittore
 
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SerGian
view post Posted on 18/11/2010, 08:11




Eh, l'argomento mi intriga!

CITAZIONE
Tempo fa, le Guide avevano paragonato gli AT come i fantasmi vib. del corpo akasico, infatti la loro caratteristica mutevole e non definita, li caraterizza come delle idee dubbiose, si credono giuste fino ad un certo punto per poi accorgersi che sono incomplete e per cui non giuste. (Vittore)

Grazie per l'imbeccata :rolleyes: , ragioniamoci un po': i fantasmi astrali si formano nel corpo astrale, quelli mentali nel corpo mentale e quelli akasici ... nel corpo akasico (così in basso come in alto).
Ora, mentre il corpo astrale e quello mentale sono strettamente individuali (appartengono alla singola incarnazione), quello akasico è permanente e ha strette interconnessioni con quello degli altri individui, attraverso queste interconnessioni si condividono sfumature di comprensione, sfumature di comprensione che stanno per essere completate e sfumature di incomprensioni.
Gli archetipi transitori sono rappresentati dalle "comprensioni che stanno per essere completate" e quindi, essendo condivise si proiettano al di fuori dell'individuo, ma in realtà stanno dentro.
Seguendo questo ragionamento, si arriva alla spegazione per cui "gli altri ci fanno da specchio e noi vediamo negli altri ciò che ci appartiene", quindi l'individuo incarnato vede ciò che conosce (per lo più inconsapevolmente) e conosce ciò che è.
Come esempio mi viene da pensare al disagio che provo quando ho a che fare con persone di culture completamente diverse, all'impressione che ho di non riuscire a farmi capire: probabilmente ciò che abbiamo in comune a livello di archetipi è limitato e questo crea difficoltà di comunicazione.
Al contrario, nel senso che mi sento attirata, mi sembra funzionare la questione nei confronti delle persone con cui condivido gli interessi: ecco quindi che salta fuori la curiosità per i contrasti altrui, probabilmente alla ricerca di elementi che possano aiutarmi a chiarire le mie dinamiche personali.

Serena


 
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view post Posted on 18/11/2010, 21:15
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Gli archetipi transitori sono rappresentati dalle "comprensioni che stanno per essere completate" e quindi, essendo condivise si proiettano al di fuori dell'individuo, ma in realtà stanno dentro. Serena


Ciao, secondo me no. Gli AT sono formati da idee (che non sono comprensioni che stanno per essere completate) ancora legate alle incomprensioni, e questi danno il supporto perchè si arrivi alle comprensioni, attraverso l'esperienza e all'ambiente sociale adatto.
Le comprensioni che stanno per essere completate sono situate nel corpo akasico in attesa delle sfumature che le consolideranno.
Gli intrecci akasici di cui tu parli, non hanno un legame con gli AT, perchè questi intrecci sono comprensioni che "vibrano" con altre comprensioni simili, casomai possono avere un legame con gli AP a livello di vibrazioni.

I fantasmi vibratori astrali e mentali sono individuali, legati alle proprie incomprensioni, nel caso dell'esempio di Scifo io penso che abbia usato questa similitudine per farci capire e distinguere la funzione degli AT, funzione di strumento e non di raggiungimento di comprensione.

Comunque questa è l'idea mia personale, sarebbe utile sentire anche qualche altra idea se possibile.

A presto, Vittore

 
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view post Posted on 23/11/2010, 11:33
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Per cercare di riportare la discussione sulla giusta linea dato che questa è la sezione etica e non quella filosofica, vorrei proporvi una domanda.
Poniamo che in una famiglia un certo tipo di archetipo, come quello cattolico, risulta superato, ma all'esterno la società in cui si vive invece lo tiene ancora in grande considerazione.

Quale sarà secondo voi l'atteggiamento più giusto da tenere nei confronti del figlio e della sua educazione religiosa?
 
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view post Posted on 23/11/2010, 16:17
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CITAZIONE (Odisseo76 @ 23/11/2010, 11:33) 
Poniamo che in una famiglia un certo tipo di archetipo, come quello cattolico, risulta superato, ma all'esterno la società in cui si vive invece lo tiene ancora in grande considerazione.

Quale sarà secondo voi l'atteggiamento più giusto da tenere nei confronti del figlio e della sua educazione religiosa?

Ciao, secondo me se un'archetipo è veramente superato, nell'ambiente in cui si vive, si riescono a manifestare i valori insiti in questo nuovo archetipo a cui si è collegati, venendo per questo in qualche maniera rispettati. Seguendo con l'esempio che fai, se una persona vive in un ambiente altamente cattolico, e lui ha davvero superato questo tipo di condizionamento, riuscirà a manifestare una morale che non si sognerà di contrastare quella altrui, in questo caso cattolica, ma rispetterà invece le esigenze di chi vuole seguirne le regole.

Secondo me poi, non c'è un'atteggiamento giusto da tenere nei confronti dei figli in relazione all'educazione religiosa. Tra l'altro giusto per chi, per il figlio o per i genitori. In linea generale direi che sarebbe importante invece riuscire non indirizzare verso un certo tipo di religione il figlio, ma riuscire a trasmettergli il messaggio che la religione è qualche cosa di personale, intimo. E come tutte le cose intime ne va ricercato l'indirizzo, la direzione, senza pregiudiziali di sorta.

Luciano
 
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view post Posted on 23/11/2010, 17:38
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Ciao Ulisse

Secondo me una volta che si abbia superato completamente l'archetipo in questione, si avrà per conseguenza raggiunta un comportamento che non andrà ad incidere con quelli che saranno le regole di quel contesto sociale, pur mantenendo la coerenza con la nuova comprensione raggiunta.

Per quello che riguarda i figli, secondo me il comportamento più giusto sarà quello di indirizzare il figlio nei primi anni di vita nelle nuova comprensione raggiunta, volente o no il figlio verrà in qualche maniera influenzato , poi quando l'esterno farà nascere delle domande al figlio si innerverà in maniera più adeguata alle esigenze del figlio, affrontando di volta in volta le varie situazioni che si presenteranno.

Tieni presente che già nella scuola materna adesso ce la possibilità di scegliere, se si vuole fare la religione oppure no, anche su paesini di mille abitanti ci sono queste possibilità di scelta, senza per questo venire discriminati.
Secondo me queste scelte , messe a disposizione della società, danno la possibilità di trovare un giusto comportamento per aiutare il figlio nelle sue scelte.

Marisa
 
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SerGian
view post Posted on 23/11/2010, 18:50




CITAZIONE (Odisseo76 @ 23/11/2010, 11:33) 
Per cercare di riportare la discussione sulla giusta linea dato che questa è la sezione etica e non quella filosofica, vorrei proporvi una domanda.
Poniamo che in una famiglia un certo tipo di archetipo, come quello cattolico, risulta superato, ma all'esterno la società in cui si vive invece lo tiene ancora in grande considerazione.

Quale sarà secondo voi l'atteggiamento più giusto da tenere nei confronti del figlio e della sua educazione religiosa?

Io credo che l'atteggiamento più consono sarebbe, tenendo conto di AT diversi, di non precludere comunque l'educazione religiosa (cattolica nel nostro caso) che ancora vige come modello nel'ambiente in cui si vive; questo per far sì che il figlio abbia comunque da condividere qualcosa con gli altri suoi coetanei e magari, pensare che abbia la possibilità di avere elementi (anche futuri) per poterli analizzare come esperienza in sé.
Fermo restando che, nel contempo, si riesca anche a trasmettere una visione più allargata della stessa "religione" e qua s'inseriscono, che so io, il parlare anche delle altre religioni, facendo notare che alle basi delle stesse, esiste sempre una matrice comune e desiderio di divinità e salvezza.
In ultima analisi credo che gli AT futuri - che sembra già facciano capolino - diano una importanza, non tanto all'appartenenza ad una religione, quanto ad avere una "religiosità" ovvero un atteggiamento di contatto con l' Assoluto non legato necessariamente ad una specifica religione.

Giancarlo
 
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luca_m
view post Posted on 23/11/2010, 21:34




In realtà io non sono poi così contrario a che i genitori indirizzino il cammino dei propri figli, mi sembra normale, naturale e direi anche auspicabile; dopotutto il genitore e il ruolo che ricopre serve anche a questo e quindi mi trovo più in linea con la versione di Marisa, molto equilibrata.

Avrebbe poco senso, secondo me, non indirizzare il figlio verso niente. E' ovvio che ogni volta che un genitore spiega a un figlio cosa sia giusto e cosa sia sbagliato lo fa sulla base della sua esperienza e sulla base di ciò che lui pensa, non potrebbe essere altrimenti. Ogni età ha le sue spiegazioni e dare concetti giusti nei momenti sbagliati potrebbe portare a situazioni più spiacevoli che altro.

Un figlio in un genitore almeno fino ad una certa età cerca un punto di riferimento, cerca un segnale su quale sia la strada migliore da seguire, ha bisogno di una guida e solo successivamente viene il periodo dell'indipendenza, del cercare la propria strada e le proprie risposte ed è lì che un genitore deve saper cambiare registro.

Ciao!
 
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Daria83
view post Posted on 23/11/2010, 21:52




CITAZIONE (Odisseo76 @ 23/11/2010, 11:33) 
Poniamo che in una famiglia un certo tipo di archetipo, come quello cattolico, risulta superato, ma all'esterno la società in cui si vive invece lo tiene ancora in grande considerazione.
Quale sarà secondo voi l'atteggiamento più giusto da tenere nei confronti del figlio e della sua educazione religiosa?

Secondo me ci sono tanti casi possibili nella tua domanda.

Se i due genitori hanno superato l'archetipo cattolico, non è però detto che abbiano superato quello religioso. Per cui nel caso si sostituisca una religione con un'altra, come principio, non cambia nulla.

Invece nel caso in cui i due genitori abbiano superato l'archetipo "religione", io vedo almeno due casi: o hanno acquisito un rapporto diverso con la propria spiritualità, e allora trasmetteranno ai loro figli qualcosa di più complesso di un mero insegnamento religioso, oppure se ne fregheranno letteralmente, non avendo nessun interesse particolare ad approfondire questi grandi perchè della vita, trasmettendo ai loro figli... nulla di particolare a parte il loro disinteresse.

Probabilmente non c'è un atteggiamento "giusto" tra questi... ognuno penso che darà quello che può dare ai propri figli, ottimisticamente al meglio delle proprie possibilità evolutive. Tutto un altro discorso invece sarebbe da farsi su quello che impareranno questi figli, chè si sa, avranno i loro bisogni a cui far fronte...

CITAZIONE
Io credo che l'atteggiamento più consono sarebbe, tenendo conto di AT diversi, di non precludere comunque l'educazione religiosa (cattolica nel nostro caso) che ancora vige come modello nel'ambiente in cui si vive; questo per far sì che il figlio abbia comunque da condividere qualcosa con gli altri suoi coetanei e magari, pensare che abbia la possibilità di avere elementi (anche futuri) per poterli analizzare come esperienza in sé. Giancarlo

Purtroppo sono assolutamente in disaccordo con te. Il tuo mi sembra l'atteggiamento più comune nella società attuale (lo faccio anche se non ne sono convinto, tanto male non può fare, lo fanno tutti, almeno non mi sentirò/si sentirà diverso dagli altri) e personalmente lo trovo molto deleterio. Io sono stata cresciuta senza alcuna educazione religiosa, in un piccolo paese molto bigotto e sicuramente da bambina ho avuto delle difficoltà a rapportarmi con i miei compagni di scuola, che mi vedevano come un'appartenente a chissà quale setta, non ammettendo nemmeno che si possa vivere senza una religione specifica. Ora che ho 27 anni devo solo ringraziare i miei genitori che mi hanno fatto crescere senza i dogmi ma anche gli schemi mentali tipici degli insegnamenti religiosi; almeno, se soffro di un retaggio cattolico, è solo quello che striscia ancora nella nostra società, nel nostro modo di pensare "comune", non nel mio modo di pensare personale. Faccio ancora fatica a rapportarmi con le persone che hanno avuto un'educazione diversa dalla mia, perchè spesso gli argomenti sono assai limitati (per non parlare del modo di affrontarli!), ma mi consola pensare che almeno io sono consapevole dei motivi di questa difficoltà, mentre la maggior parte di loro - dei cattolici - no.

Digressione a parte, il tuo atteggiamento per me è anche peggiore di quello che potrebbe avere un cattolico che insegna a suo figlio la religione cattolica, perchè almeno lui lo farebbe perchè lo sente e ci crede. Trasmettere ai tuoi figli qualcosa che nemmeno tu senti e in cui non credi... per me è terribile. Quello che stai veramente insegnando loro è il poco valore che dai alla spiritualità degli altri, perchè, per quanto a me sembri assurdo, per qualcuno là fuori la religione è il mezzo per affrontare la propria spiritualità. Insegnerai ai tuoi figli anche ad andare in chiesa a Natale e Capodanno perchè, anche se non ha valore, lo fanno tutti e così avranno migliori possibilità di socializzare? O a fare la comunione e la cresima perchè si raccolgono tanti soldi e regali dai parenti?

Il mio è un giudizio personale ma non mi sembrano dei bei valori quelli dietro a queste cose...
 
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SerGian
view post Posted on 24/11/2010, 07:01




Ciao Daria, il tuo pensiero è stato anche il mio per molti anni; infatti ho sempre pensato che è ipocrita insegnare a fare cose in cui non si crede e che è ora di liberarsi dalle catene imposte dal pensare comune, perché il fatto che lo facciano tutti non significa che sia giusto. E questa convizione l'ho portata avanti ad oltranza provocando delle grosse sofferenze prima di tutto a me stessa, e poi alle persone a cui voglio bene.
Tieni conto che la tua esperienza è avvenuta in linea con quanto proposto dalla tua famiglia, e quindi tutto è stato normale; nel mio caso, invece, ho dovuto andare contro tutto e tutti rischiando di provocare una frattura familiare insanabile con la mia famiglia d'origine. Ho dovuto quindi scegliere tra far fare la prima comunione a mia figlia, oppure rompere completamente i rapporti con i miei genitori e far crescere i miei figli lontano dai nonni. Sono stata malissimo per mesi, e alla fine ho scelto di mantenere i rapporti familiari, non per ipocrisia, ma perché hanno un valore a cui non posso rinunciare. I miei figli hanno frequentato il catechismo, fatto la prima comunione e anche la cresima, e adesso che sono grandi non vanno più a messa, non perché hanno fatto una scelta ma probabilmente perché per una è importante il nostro modello, e per l'altro "sono tutte cavolate". Credo però che per loro non sia ancora arrivato il momento di fare una scelta personale, e stiano sperimentando.
Io comunque qualche volta alla messa di Natale ci sono andata, per scelta e con i miei figli, è stata un'esperienza piacevole e non escludo di farlo ancora, perchè è stato come ritrovare certe emozioni di quando ero bambina, il significato dei gesti e dei riti che non sono importanti in sè, ma per quello che rappresentano.
Non si tratta, quindi, di ipocrisia ma di essere consapevoli del perché si fanno le proprie scelte e di dare ai figli tutti gli strumenti di cui siamo capaci perchè possano scegliere a loro volta.

Serena
 
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Daria83
view post Posted on 24/11/2010, 11:09




Ciao Serena, sicuramente il tuo è un modo di vedere la cosa, ma se hai osservato io non ho parlato del rapporto che un genitore, che fa una scelta come quella che hai fatto tu, ha con se stesso. Mi sono limitata a parlare dell'atteggiamento verso i figli.

E' vero che non lo condivido, perchè personalmente preferirei perdere mille volte un rapporto - anche familiare - che si basi su cose così labili (se non dei veri e propri ricatti morali) piuttosto che perdere la coerenza e il rispetto verso le mie idee. Cosa che peraltro ho fatto, non sto parlando per puro idealismo... Però diciamo che posso accettarlo, come una decisione personale, adulta e consapevole.

Quello che mi è un po' più difficile capire, è come si possa insegnare questo ad un figlio. Insegnargli non solo ad accettare compromessi facili con le proprie convinzioni, ma a non avere alcun rispetto per quelle degli altri, infilandosi in modo poco sentito in un percorso religioso che, in teoria, dovrebbe avere un valore. Senza contare dell'atteggiamento che in questo modo si viene a perpetrare a livello sociale, atteggiamento di superficialità o quanto meno di disinteresse verso il rapporto con la propria spiritualità.

Tu non lo vedi nei bambini di oggi? Io osservo i nipoti e il figlio del mio compagno crescere in famiglie che hanno il tuo stesso atteggiamento verso la chiesa (e un po' verso tutto), che hanno fatto fare loro i vari riti religiosi e li portano a messa una o due volte l'anno, nelle circostanze più importanti a livello di "vetrina sociale". Addirittura - e questo lo confesso mi scandalizza - prendono la paghetta se vanno a confessarsi! Sono tutti ragazzini svegli, che crescono in una società piena di stimoli e mezzi di comunicazione veloci, hanno una mente iperstimolata che fa già fatica a distinguere l'importanza tra un valore materiale e quello un po' più reale, a focalizzarsi su l'interiorità e le proprie motivazioni piuttosto che sull'esterno... Vedere i propri genitori che li incoraggiano a fare cose in cui non credono, non servirà ad altro che a farli sentire giustificati nel loro menefreghismo. Tu non credi?

Tu dici:

Non si tratta, quindi, di ipocrisia ma di essere consapevoli del perché si fanno le proprie scelte e di dare ai figli tutti gli strumenti di cui siamo capaci perchè possano scegliere a loro volta.

Sono d'accordo, ma per me gli strumenti dovrebbero essere l'affetto incondizionato, un esempio di coerenza con se stessi, la capacità (e la volontà) di distinguere le proprie scelte dalle loro, un pizzico di coraggio delle proprie idee... e dei buoni libri di storia della religione!!! E poi, caspita, il resto lo faranno loro... :wacko.gif:
 
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view post Posted on 24/11/2010, 18:08

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Io credo che in queste questioni molto "delicate" il primo elemento da vagliare sia quale sia il bene migliore per il figlio, più che il bene immediato (solitamente legato a meccaniche di autoprotezione, di autogratificazione o di convenienza sociale) quello più avanti nel tempo.
Probabilmente vivendo in una grande città la cosa è più facile da affrontare, mentre in un paese più piccolo posso capire che spaventi un po' mettersi contro l'idea corrente.
Però la forza del cattolicesimo è stata per secoli questo far leva sui sensi di colpa: non importa quanto la gente creda nei suoi riti e nei suoi preti, quanto che faccia "numero" e presenzi alla vita religiosa, mettendo in atto quell'ipocrisia che, purtroppo, ha finito per ammantare il messaggio di Cristo di significati ben diversi da quelli che aveva all'inizio. D'altra parte se nessuno farà mai niente le cose continueranno ad andare avanti così.
Con i nostri figli noi abbiamo preferito non indurli a partecipare a riti di cui non potevano comunque conoscere davvero il significato, parlandone con loro e spiegando loro come la pensavamo, e rassicurandoli che se un domani, consapevolmente, avessero voluto fare quel tipo di scelta non ci sarebbe stato alcun problema da parte nostra.
Per quello che riguarda l'aspetto sociale (ma, ripeto, siamo in una grande città, quindi favoriti) nella motivazione addotta a scuola per non farli partecipare all'educazione religiosa cattolica è stata che siamo cristiani ma non cattolici. Non credo che nessun cattolico possa reagire negativamente con un'affermazione del genere, perché sarebbe un negare il Cristo!
Se poi, come nel caso di Serena, ci si trova di fronte ad una scelta tra il fare ciò che si sente e nuocere ai rapporti coi genitori, non mi sento di criticarla: evidentemente l'altra scelta non era poi così sentita. Però mi domando: e se, da buoni cattolici, fossero state solo parole di facciata e a loro potesse servire proprio una dimostrazione che si poteva agire diversamente da come pensavano loro? Trovo difficile pensare che dei nonni non vogliano avere più rapporti coi nipoti perché non hanno fatto la comunione...
Ma non conosco le persone, quindi preferisco evitare altri commenti per non dire corbellerie!
 
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tulliarina
view post Posted on 29/11/2010, 16:18




Sono d'accordo con Daria sulla necessità di essere coerenti con se stessi e mantenere questa coerenza nell'educazione dei propri figli.

Se credi veramente in una verità, cercherai di trasmetterla loro e fornir loro le armi necessarie per difendersi da eventuali attacchi esterni quando queste verità non sono condivise dalla maggioranza.

E' purtroppo vero, e qua secondo me ritorniamo al tema principale della discussione, che il condizionamento sociale in taluni casi è talmente forte che ti trovi quasi costretto a scendere a dei compromessi, non facili da digerire su questo siamo tutti d'accordo penso, ma necessari per il bene delle persone che ti sono accanto.

Per ritornare all'esempio che ha dato inizio a questa discussione: le coppie di fatto, siano gay o eterosessuali non ha alcuna importanza, non godono degli stessi diritti civili delle coppie legalmente sposate. Non vedete in questo un forte condizionamento tale da indurre le persone a ricorrere al matrimonio, per non perdere quei pochissimi diritti che abbiamo?
 
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62 replies since 9/11/2010, 10:57   1663 views
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