La felicità, .... giornata internazionale?

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SerGian
view post Posted on 26/3/2013, 09:30




Qualche tempo fa ho colto “di passaggio” l’informazione da un programma televisivo secondo cui il 20 marzo si celebrava la prima giornata internazionale della felicità. Lì per lì la cosa mi ha divertito, facendomi sorgere la considerazione che siamo messi proprio male se c’è bisogno di dedicare una giornata alla felicità. Ma mi ha richiamato anche alla mente la chiusura di un messaggio di Michel: “… e qualche volta, figli, ricordatevi anche di essere felici”.
Presa da un periodo particolarmente impegnativo ho archiviato il pensiero riproponendomi di riprenderlo e di ragionarci sopra, quindi, adesso che sono immobilizzata a seguito di un incidente ho fatto una ricerca sul tema e ve la propongo per rifletterci insieme.
Tanto per cominciare ho cercato in internet la fondatezza dell’informazione, e ho scoperto cose interessanti:
 Il 20 marzo 2013 è stata la prima Giornata Mondiale della Felicità, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha lo scopo di riconoscere il benessere e la felicità quali aspirazioni universali della persona umana e dunque obiettivi fondamentali delle politiche pubbliche
 negli ultimi trent’anni il grado di felicità è aumentato dello 0,14 %
 la felicità è maggiore fra le popolazioni non in condizioni di miseria
 la felicità non aumenta con l’aumentare delle condizioni di agiatezza/ricchezza economica
 la felicità è maggiore tra persone che hanno relazioni sociali, si sentono utili agli altri, non vivono solo in funzione di sé stesse e dei propri desideri

Ho quindi preso in mano il materiale del Cerchio cercando di isolare i messaggi a tema e scoprendo che sono tantissimi, tanto che è praticamente impossibile farne un riassunto cercando di rimanere aderenti ai messaggi stessi. Ho pensato quindi di scegliere questo messaggio di Rodolfo come punto di partenza di un possibile confronto sul tema:

Vedo il tuo desiderio di essere felice, figlio e fratello, e in esso riconosco intatto lo stesso desiderio che ha fatto parte del mio passaggio nel mondo materiale.
Io ho cercato la felicità nel sentirmi più forte degli altri, ma la mia forza si è sempre dimostrata fragile come il vetro allorquando mi sono disposto ad osservare me stesso.
Io ho cercato la felicità nel sentirmi più grande degli altri uomini, fregiandomi di titoli, corone, appellativi altisonanti e ogni genere di orpelli che mi potesse distinguere dagli altri, ma ho dovuto abbandonare questa mia illusione di grandezza nel momento stesso in cui mi sono riconosciuto nella morte.
Io ho cercato la felicità nel possedere, convinto che chi possiede di più vale di più, ma questa mia felicità si è dissolta come neve al sole nell'attimo in cui ho capito che neanche il bene più prezioso che possedevo poteva darmi quella piccola goccia d'amore che mi serviva per rendere meno vuota la mia solitudine.
Io ho cercato la felicità nell'appagamento della mente, facendo di me stesso un divoratore di parole e di conoscenze, ma venne il giorno in cui la mia felicità si infranse miseramente nell'accorgermi che la mia sapienza era sterile se non poteva essere condivisa.
Io ho cercato la felicità nella religione, riempiendo i miei giorni e le mie notti di rituali ossessivi, di tecniche spirituali volte al raggiungimento di Lui ma anche questa felicità durò soltanto fino a quando mi resi conto che per conoscere Lui dovevo prima conoscere me e che nulla, invece, di me conoscevo.
Allora ho maledetto la felicità, negando tutto ciò che avevo fatto in precedenza, rifiutando ogni avere, diventando un relitto senza meta, facendo dell'ignoranza il mio vessillo e della bestemmia la mia spada, lasciando agli altri la speranza di essere felici.
Infine ho dimenticato l'esistenza della felicità, ed essa è venuta, briciola dopo briciola, mentre, lentamente e spesso dolorosamente, svelavo il mistero che io ero per me stesso.
E allora ho danzato con la mia gioia interiore, ho cantato la bellezza del mondo, ho sognato splendidi sogni nell'azzurro del cielo, ho salutato Dio in una goccia di pioggia, ho posseduto l'amore per gli altri, mi sono sentito umilmente grande di fronte al mare, forte davanti alle avversità, tenero di fronte ai tormenti degli altri.
E nulla, neppure la morte, ha più turbato la mia felicità. 15-10-94


Ecco, partendo da tutti questi presupposti, mi piacerebbe fare un percorso condiviso per capire, da un punto di vista etico:
 Cos’è la felicità?
 Come si manifesta?
 Da dove nasce?
 Quali sono gli elementi che ne favoriscono il nascere?
 La felicità è univoca o ci sono diversi tipi di felicità?
 Perché si è arrivati a dedicarle una giornata particolare?
 E perché anche Michel ci esorta a ricordarci di essere felici?

Tutto questo per arrivare ad avere gli elementi necessari affinché ciascuno di noi possa definire il proprio rapporto con la felicità e usarlo come trampolino di lancio verso le esperienza che la vita ci riserva.

ciao a tutti
Serena
 
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view post Posted on 27/3/2013, 22:22
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Ciao,
ti porgo i miei ringraziamenti per il tema proposto, per le ricerche fatte e per le tue considerazioni.
Per me stessa posso dire che la felicità è un traguardo che considero irraggiungibile, io credo di non poter essere felice, credo che l’incarnazione stessa non lo consenta. Sono stata una bambina triste e poi una donna triste, mi sembra che le consapevolezze mi rattristino. Ritengo, invece, possibile godere di brevi attimi di serenità in cui mi sento in pace e percepisco una certa unione con tutto ciò che è al di fuori di me, ma non provo quella gioia che, secondo me, dovrebbe accompagnare un “sentirsi felici”.
Riflettendo sui miei anni passati, forse, ho confuso un certo stato d’animo con la felicità, ma ora so che non lo era, piuttosto poteva essere incoscienza, quella leggerezza che ti porta al distacco dal dolore altrui, una specie di sedativo giovanile.
Mi domando se ci si può allenare ad essere felici, si può con l’esercizio e la volontà essere felici? Quanto incide il carattere sulla possibilità di essere felici? Io credo molto. Come sappiamo il nostro carattere è funzionale alle esperienze che ci sono necessarie per compiere i nostri piccoli passi di comprensione pertanto posso azzardare che il mio carattere non è incline a provare felicità.
Mi fermo qui, ma mi piacerebbe leggere il pensiero di altri.
 
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SerGian
view post Posted on 28/3/2013, 11:26




Ciao Donatella, grazie per il tuo intervento, lo considero un atto di coraggio visto che sei la prima che sì è buttata :) ... temevo che l'argomento fosse considerato un po' banale, dato che ciascuno ha i suoi percorsi e ciascuno si è dato delle proprie risposte, però penso che la funzione del forum sia quella di mettere a confronto il nostro percorso con quello degli altri, di rifare il cammino insieme, perchè sicuramente vengono fuori dei punti di vista che non avevamo considerato, e quindi ci si arricchisce.

Io penso che sicuramente la felicità come traguardo stabile e sicuro, è un obiettivo del tutto irraggiungibile finchè siamo nella ruota incarnativa; tuttavia penso anche che se abbiamo questo concetto in mente, questo anelito ad essere felici, da qualche parte nel manifestato la felicità deve pur esistere, non solo, ma questo desiderio non può rimanere inappagato per tutta una vita .... non avrebbe senso!
Allora la prima cosa che dobbiamo fare è chiederci che cos'è la felicità per noi, proprio individualmente, perché nel frazionamento del tutto è plausibile che ciascuno di noi abbia un proprio concetto di felicità.
Per me, per esempio, la felicità è quando sento un senso di espansione, di calore, quando tutto è più bello e più luminoso; a volte dura un'attimo, a volte qualche giorno. E' una cosa che succede così, spesso senza un motivo, o quando mi rendo conto che nella routine delle mie giornate c'è qualcosa di bello di cui non mi ero mai accorta; quando a scuola un bimbo mi corre incontro e mi chiede fiducioso "cosa facciamo adesso?", quando ... potrei fare un elenco infinito, e alla fine di questo arriverei alla conclusione che sono felice quando qualcosa mi fa stare bene come ...io?
Ma se si tratta solo di "io" perché non sono così felice quando ricevo un regalo per il compleanno o per qualche "festa comandata"? La famosa cosa inutile ma che mi piacerebbe?
E' pur sempre una gratificazione, un essere al centro dell'attenzione, no?

Tu chiedi se ci si può allenare ad essere felici ... secondo me no, perché uno stato d'animo, un "sentirsi di esistere" in un certo modo non è un esercizio ... magari ci si può allenare a capire come ci si sente, a riconoscere il nostro "sentirci di esistere" in ogni momento.
La relazione tra carattere e felicità mi è un po' nebulosa: che per carattere una persona sia condannata ad essere infelice, mi risulta difficile accettarlo e penso che andrebbe contro la legge di equilibrio, magari fa fatica a riconoscela la felicità, oppure se la nega per una qualche dinamica dell'io, oppure fa fatica a manifestarla ... no so, sono tutte ipotesi da analizzare ... chi mette in tavola qualche idea? ;)

Serena
 
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view post Posted on 28/3/2013, 17:40
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Non so,........... ho l’impressione che stiamo guardando la faccenda della felicità dalla parte sbagliata. Magari mi sbaglio, ma mi sembra che quello che è stato detto fino adesso sulla felicità, sia una ricerca principalmente orientata verso l’esterno di se, come se l’esterno dovesse “renderci” qualche cosa, colmare una nostra “esigenza”, in questo caso la felicità.
Sicuramente anche l’esterno ci può donare dei frammenti felici, questi però sono prevalentemente dettati dall’io.

Anche nel messaggio di Rodolfo, riportato da Serena, il soggetto in questione non riesce mai a raggiungere la felicità fino a che la cerca all’esterno di se. Quando, dopo diverse vicissitudini, “smette” di guardare all’esterno di se, allora la felicità piano piano lo raggiunge e lo “colma”.

Ecco, mi sembra di intuire che la felicità, quella vera, è qualche cosa che “sgorga” dall’interno dell’individuo, e questa “fonte” non può essere altro che legata a doppio filo con la conoscenza di se stessi.

A supporto di questa tesi, mi ricordo che durante un incontro con le guide, era stato detto che, a volte, durante la nostra vita , possiamo sentirci felici senza magari avere nessuna motivazione apparente per esserlo, e questo può dipendere dal fatto che il nostro akasico ha nel frattempo compreso qualche cosa.

Concludendo, direi che la vera felicità la si raggiunge tanto più riusciamo a conoscere noi stessi ( e avanti con questo benedetto tormentone); per questo stesso motivo poi, ritengo che la felicità sia “svincolata” dal carattere.

Un saluto a tutti, e spero anche non avere detto troppe castronerie.

Luciano
 
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SerGian
view post Posted on 29/3/2013, 09:25




Ciao Luciano, diciamo che in linea di massima sono d'accordo con te, ma solo superficialmente.
Infatti non si tratta di osservare la questione dalla parte "sbagliata", ma di trovare una relazione tra il dentro e il fuori dell'individuo, trovare quel filo che collega le esperienze quotidiane con l'interiorità, altrimenti il conosci te stesso rischia di diventare il dogma che spiega tutto ma non serve a niente.
Avere in mano la soluzione senza capire come ci sono arrivata e quale significato abbia, infatti, credo che serva a poco sia nella direzione della ricerca della felicità, sia nella direzione del conosci te stesso.

Faccio un esempio: tutti i bambini imparano a leggere, però, c'è chi legge e basta e c'è chi legge comprendendo il significato del testo. Apparentemente non c'è nessuna differenza (tutti leggono), ma la differenza è dentro ciascuno di loro, nell' abilità del leggere strumentale o nell'abilità del leggere con comprensione. Penso che la differenza di qualità sia evidente.
Ora, se io mi fermo al concetto che "la felicità è in diretta relazione con il conosci te stesso" utilizzo l'abilità strumentale, lo so e basta; se invece cerco di capire "come" i due concetti sono in relazione, utilizzo un'abilità di comprensione mentale, faccio un percorso, indirizzo delle energie, ... penso che si possa arrivare anche a favorire la creazione di quei canali preferenziali che facilitano il flusso delle energie dall'akasico al fisico. E qui secondo me ci sta quell'allenamento di cui parlava Donatella: non posso allenarmi ad essere felice, ma posso allenarmi a capire quando lo sono, e mi posso allenare solo quando ho imparato l'esercizio per farlo.
Imparare a conoscere sè stessi in toto, partendo da zero o quasi, è come pensare di fare evoluzioni sulla trave senza esserci mai saliti, quindi il mio percorso "alla ricerca della felicità" è il tentativo di tracciare un sentierino nella direzione del conosci te stesso che possa mettere in relazione il dentro/fuori di ciascuno di noi. Partire da poco e da vicino, partire da qualcosa di bello e gratificante (la gratificazione è non mica un peccato!), mi sembra un buon modo per partire.

... la felicità è .... avere qualcuno con cui condividere un percorso ;)

Serena
 
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view post Posted on 29/3/2013, 17:12
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Ciao Serena , parlare della felicità dal punto di vista personale riferendomi alla mia esperienza,
ciò che ho provato si avvicina molto allo stato descritto da te e Donatella .
Si tratta di un stato di benessere , senso di serenità , leggerezza ...
ti ritrovi a sorridere senza un perchè. Qualche volta capita che sono " contenta"
( dire felice è azzardato)per un motivo che mi gratifica ...in questo caso manca il senso
di intima soddisfazione ,di pienezza ,che invece è più evidenziabile nel primo stato .
Non penso che ci si possa allenare ad essere felici , dato che si tratta di uno stato che
avviene spontaneamente , si potrebbe solo percorrere la solita strada del conoscere le
motivazioni che ne bloccano il fluire. Siamo invece, molto allenati ad essere infelici :cry.gif:
e senza neanche sforzarci tanto!

Tina
 
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view post Posted on 30/3/2013, 22:10
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Se abbiamo stabilito che la felicità la vera felicità è uno stato interiore si potrebbe dire che quella vissuta da noi deve essere supportata da qualche gratificazione che appaghi qualche bisogno nostro individuale, difficilmente credo, si trovi la felicità in cui non si riceva nulla finchè la nostra rappresentazione abbisogna di un io.
L'altra felicità quella interiore credo sia qualcosa che si fissi al nostro interno con il passare delle vite, si fissi al punto tale che non richiederà una ricerca da parte nostra ma uno stato come un'altro da vivere.

Forse il suo opposto l'infelicità è qualcosa che è provocata dal rendersi conto che nonostante tutta la nostra ricerca della felicità restiamo delusi quando pensiamo di averla trovata ma non corrisponde a quello che noi vogliamo.

Vittore
 
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SerGian
view post Posted on 2/4/2013, 08:52




CITAZIONE (tina s @ 29/3/2013, 18:12) 
Siamo invece, molto allenati ad essere infelici :cry.gif:
e senza neanche sforzarci tanto!
Tina

Ciao Tina, più che essere allenati ad essere infelici, direi che essere infelici è uno strumento che può essere più facilmente strumentalizzato dall'io in senso vittimistico per mettersi al centro dell'attenzione.
La felicità invece basta a sè stessa, e non attira l'attenzione degli altri su di sè.
A ben guardare, comunque, la dinamica della felicità che nasce dal sentire e della felicità che nasce dall'io segue lo stesso processo: ciascuna si sviluppa quando si ottiene qualcosa, un arricchimento del sentire o un arricchimento dell'io.
La cosa interessante da notare, è che anche secondo le statistiche, la felicità umana non è direttamente proporzionale alle ricchezze materiali, quanto piuttosto al dare valore ai rapporti umani e al "sapersi accontentare" di quello che si ha. Quindi, nel "sentirsi di essere felici", mi sembra che alla fine ci sia una predominanza del sentire rispetto all'io. Da qui deduco che in tutte le situazioni, anche in quelle più difficili, possa esserci la possibilità di provare attimi di felicità se si impara a dare valore alle piccole cose, e questo può essere anche d'aiuto nell'affrontare le difficoltà.
Ovviamente, quello che possiamo classificare come felicità non è una condizione stabile ... se così fosse, il processo evolutivo si bloccherebbe ....

Serena
 
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ArmandoZa
view post Posted on 4/4/2013, 09:49




La felicità ,nell'ambito dell'insegnamento, è stata analizzata in diversi modi.

Sintetizzando:

-Il nostro corpo fisico può essere felice perchè è stato appagato con una sensazione.
-Il nostro corpo astrale può essere felice se si sente appagato in un desiderio.
-iI nostro corpo mentale può essere felice dall'esito di una sua elaborazione psichica e/o mentale esatta.

Ai fini di una nostra consapevole osservazione la felicità come sopra espressa è una felicità provata dal nostro IO e ciò nel momento in cui lo stesso si sente gratificato

Se il discorso lo spostiamo al nostro corpo akasico (o della coscienza), esso è felice nel momento in cui il suo sentire fluisce fino alla coscienza ultima di noi individui, che è quella sul piano fisico.

Inevitabilmente la felicità dell'IO, sarà una felicità che ci porterà incontro alla sofferenza. Perchè? Perchè la felicità dell'IO si scontrerà con una felicità maggiore che l'io stesso desidera raggiungere. La nostra felicità interiore, invece, sarà qualche cosa di stabile, la quale, una volta raggiunta, il corpo akasico non la perderà più.

Nella pratica sarebbe facile dire che per essere felici, visto il concetto di cui sopra,, basta essere contenti di ciò che si ha.
Non può essere così semplice la risposta da dare, in quanto fa proprio parte della nostra necessità evolutiva il NON essere mai contenti di ciò che si posside.

Armando
 
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SerGian
view post Posted on 4/4/2013, 12:41




... secondo me la felicità del'io non deve neccessariamente essere contrapposta a quella della coscienza, anzi, più l'io invia dati verso la coscienza affinchè essa ampli le proprie comprensioni e più è possibile che il fluire di queste stesse comprensioni verso l'individuo incarnato (e quindi verso l'io) sia facilitato, e quindi che l'individuo stesso sia favorito nel cogliere dalle esperienze gli aspetti che possono suscitare in lui un sentimento di felicità.
Analogamente accontentarsi di quello che si ha, non significa necessariamente nè essere fermi, nè andare incontro alla sofferenza a tutti i costi, anche se queste sono dinamiche possibili e frequenti, ed è proprio per cercare una via alternativa a questa frequenza che ho proposto la riflessione sul tema.
Ora, se io sono nella momentanea condizione di non poter badare a me stessa, mi posso arrabbiare, mi posso deprimere, ma posso anche essere felice perché qualcuno è disposto ad investire il suo tempo per rispondere con affetto ai miei bisogni. Nello stesso tempo, però posso darmi da fare per cercare di ripristinare al più presto la mia condizione di autonomia, perchè anche in quella situazione potrò avere motivo di essere felice sia nei confronti di me stessa, sia nei confronti degli altri che potranno condividere con me i vantaggi della nuova situazione. ....ovviamente anche gli svantaggi, perchè avrò più impegni, sarò meno presente, .... ma questa è un'altra storia.
Quello che voglio dire, è che probabilmente in tutte le situazioni che l'individuo va a sperimentare c'è un aspetto positivo che può regalarci un pizzico di felicità, ma dobbiamo imparare a vederlo e a valorizzarlo. Come diceva Fabius una trentina di anni fa:

Sono le piccole cose
i piccoli gesti
gli atti che passano
anche inosservati
che rendono grande un amore.

Allora l'avevo inteso nel senso romantico del rapporto di coppia, oggi non escludo che si possa intendere anche riferito all'amore per sè stessi, un amore costruttivo che si nutre delle briciole dell'esistenza, ma che essendo sempre in ampliamento può aiutare a vedere quelle piccole cose che posso darci un po' di felicità.

Serena
 
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view post Posted on 11/4/2013, 10:02

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Credo che essere felici non sia mai una cosa facile, anche se sembra una cosa assurda!
Bisogna vedere cosa si intende individualmente per felicità.
Se si parla della felicità dell'Io magari si può essere felici perché si guadagna bene o perché si fa un lavoro che gratifica eccetera.
Se, invece, si parla di felicità come uno stato interiore io credo che ci si senta felici soltanto quando si è in armonia e in coerenza con il proprio sentire, anche se pure in questo caso si tratta di una felicità "punto di passaggio" (come dicono le Guide) verso stati di felicità più ampi.
 
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SerGian
view post Posted on 15/4/2013, 10:00




Difficile non essere d'accordo, così come difficile è stabilire quando si sia in armonia e in coerenza con il proprio sentire ... perché può sempre essere un trucco sottile dell'io. Quello che ci resta da fare sono solo dei tentativi di sincerità con sè stessi, quanto siano autentici poi non sta all'io giudicare, però sono convinta che questi tentativi siano importanti, altrimenti non avrebbero senso la filosofia, le religioni, le regole del vivere sociale, ... l'insegnamento stesso, e Viola ce lo ricorda:

CITAZIONE
Basterebbe, infatti, che dedicaste anche solo cinque minuti delle vostre giornate all'osservazione sincera di voi stessi e dei vostri comportamenti per alimentare il processo interiore di comprensione che è dentro di voi ...
15-03-2013

Ecco quindi che, in questo contesto, non si dovrebbe vedere il concetto di felicità sotto l'aspetto limitato del soddisfacimento di un bisogno materiale, ma in senso più ampio di uno "star bene interiore". Collegandomi con quanto detto da Viola, penso che quei 5 minuti di osservazione quotidiana potrebbero anche essere concessi all'io per giocare con sè stesso, per scoprire quali sono i propri limiti di accettazione della realtà e quindi di capire fino a che punto permette a sè stesso (e all'individuo che rappresenta) di essere felice.

Serena
 
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view post Posted on 16/4/2013, 11:08

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Sono completamente d'accordo con te!
 
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SerGian
view post Posted on 22/4/2013, 10:19




.... ho l'impressione che questa conversazione possa rappresentare una esplicazione pratica di quanto si sta analizzando in forma più filosofica nel topic "osservazioe attiva e osservazione passiva"

Serena
 
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view post Posted on 30/4/2013, 21:35
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La felicità sul piano Fisico secondo me avviene solo in quei brevi momenti legati al raggiungimento di una qualche sfumatura di comprensione; in fondo non serve sapere di essere felici, o capirlo con la mente, o anche solo sapere qual è il motivo di quello stato di profondo benessere interiore. L'importante è viverlo.

Poi (quasi subito) necessariamente quel momento deve passare, e l'io svolge proprio la funzione di tornare a toglierci quell'equilibrio che ci dava la felicità ma che al contempo ci avrebbe resi statici, soddisfatti di noi stessi e del nostro essere felici.

La giornata della felicità potrebbe quindi essere la giornata della comprensione raggiunta, che ci faccia da stimolo a cercare di raggiungerne presto altre.
 
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16 replies since 26/3/2013, 09:30   426 views
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