Incontro di novembre 2016, 28 novembre - Viola, Vito, Rodolfo, Ombra, Fabius, Moti, Scifo

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view post Posted on 30/11/2016, 15:19

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Padre mio,
io vivo la mia vita in continua contrapposizione tra ciò che sono e ciò che vorrei essere, col risultato che, talvolta, provo quasi il desiderio fortissimo di smettere di lottare e di diventare una nuvola in balia di ogni sospiro di vento, lasciandomi trasportare nel cielo dovunque il vento si stia dirigendo.
Io guardo il mondo in cui sono inserito e mi chiedo se esso sia come sia perché io l'ho creato così o perché è stata la Tua volontà a condurlo a essere così com'è.
Ma come posso pensare che le guerre, gli eccidi, le ingiustizie, le prevaricazioni, le torture, le devastazioni dell'ambiente e della natura siano frutto della Tua volontà e non della mia, senza sentirmi colpevole per aver anche solo osato elaborare un pensiero così?
E per questo, Padre mio, il senso di colpa diventa un malevolo avvoltoio che mi guarda dall'alto della mia spalla, opprimendo il mio intero essere e facendomi sentire inadeguato e incapace di rendere diverso il mondo che abito.
Restami sempre vicino, Padre mio, a aiutami a superare me stesso e la mia pochezza.
(Viola)

D - Esistono sensi di colpa non collegati ai somatismi?

Considerando quella che abbiamo descritto essere la causa scatenante dell'insorgenza dei somatismi mi sembra che non sia proprio possibile dare una riposta affermativa a questo quesito.
Se, infatti, accettiamo la considerazione basilare che il somatismo sia la ripercussione, all'interno del piano fisico, delle incomprensioni che non sono state risolte dell'individuo incarnato nella struttura del corpo della sua coscienza e ricordiamo che i sensi di colpa vedono la loro nascita e il loro evolversi in conseguenza del raffronto che compie il corpo della coscienza con i dettami provenienti dagli Archetipi Permanenti portati nel Cosmo dalla Vibrazione Prima, non possiamo non renderci conto, a livello estremamente logico, che sia i sensi di colpa che i somatismi che ne derivano hanno il loro punto di contatto e di collegamento proprio nel senso di disagio avvertito dal corpo akasico nel suo rapportarsi con le norme stabilite come fisse, immutabili e universalmente valide dal tessuto stesso della costituzione della Realtà.
Questo, senza ombra di dubbio, conduce a concepire le incomprensioni dell'individuo come il nucleo fondamentale dei processi di formazione dei vari tipi di somatismo che si manifestano nella vita dell'individuo nel corso delle possibilità di sperimentazione che la sua condizione di creatura incarnata gli offre come strumento per acquisire elementi che gli permettano di superare e risolvere ogni sua incomprensione interna.
Se questo può essere ritenuto vero e valido, come consequenzialità logica e razionale, nella spiegazione della correlazione tra senso di colpa e somatismo, spostando l'attenzione dalla teoria filosofica alla pratica osservata dall'interno dell'esistenza bisogna tenere conto di quella che è, invece, la percezione dell'individuo di tale problematica che, apparentemente, potrebbe far arrivare con facilità alla conclusione che vi siano sensi di colpa che non provocano effetti somatici o che possano esistere effetti somatici che non sia possibile far risalire a un qualche senso di colpa particolare.
In effetti, buona parte dei sensi di colpa che costellano i movimenti interiori dell'individuo non vengono riconosciuti sempre come tali dall'individuo (e tale mancanza di riconoscimento è, con tutta evidenza, il derivato dei meccanismi di difesa dell'Io che cerca, in questo modo, di preservare se stesso e l'immagine che egli ha di se stesso e che si adopera per mantenerla inalterata con la finalità di tentare di garantire la sua stabilità e, quindi, cercare di evitare la sofferenza che ogni condizione di incertezza e di instabilità attiva nei suoi processi interni), ed è proprio tale mancanza di consapevolezza da parte dell'individuo incarnato che gli fa percepire come irrilevante o addirittura inesistente al suo interno la presenza di sensi di colpa attivi, il che può portarlo a ritenere che un qualsiasi somatismo che lo affligge sia attribuibile soltanto a meccanismi di tipo fisiologico se non, addirittura a cause esterne che non gli competono.
Noi sappiamo che l'individuo incarnato non è fatto di parti a sé stanti, bensì è costituito da una somma di elementi inestricabilmente connessi e interagenti, e che, di conseguenza, una cosa è la percezione che arriva alla consapevolezza dell'individuo incarnato e un'altra è la complessa realtà dei vari processi che attraversano l'insieme delle sue componenti sia fisiche che emotive, psichiche ma, anche, spirituali.
Ovviamente nel gioco delle percezioni individuali non è trascurabile l'intensità posseduta dal senso di colpa in gioco: la maggior parte dei sensi di colpa, in effetti, non ha una forte intensità (dipendente, giova ripeterlo, dal grado di incomprensione che sta alla sua base) e molti sensi di colpa, con i relativi somatismi che li accompagnano, si sciolgono velocemente a mano a mano che l'individuo incarnato acquisisce dall'esperienza di vita quegli elementi che gli erano necessari per risolvere l'incomprensione che sta alla loro base, cosicché tali sensi di colpa non hanno neanche la possibilità di arrivare alla consapevolezza dell'incarnato e trovano una loro naturale risoluzione attraverso i meccanismi che accompagnano il processo evolutivo dell'individuo e, come conseguenza diretta di tale meccanismo, anche i processi somatici che li accompagnano trovano un rapido decadimento della loro influenza, risolvendosi in maniera altrettanto veloce. (Vito)

D - Ci possono essere sensi di colpa (se è possibile chiamarli così) che devono la loro nascita solo ai contrasti tra il comportamento dell'individuo e le "norme" degli Archetipi Transitori a cui è collegato?

Non bisogna commettere l'errore di considerare gli Archetipi Transitori degli elementi a sé stanti e non inseriti nel microcosmo dell'individuo: senza dubbio la sperimentazione di un qualsiasi Archetipo Transitorio può far nascere nell'individuo che lo sta sperimentando dei sensi di colpa derivanti dal contrasto con ciò che viene etichettato come giusto/sbagliato dalle norme socio/ambientali che si trova a sperimentare, ma tali sensi di colpa costituiscono solo le propaggini più limitate e parziali del senso di colpa reale che è quello, come abbiamo visto in precedenza, che è derivante dal raffronto tra il corpo della coscienza dell'individuo e i dettami della Vibrazione Prima.
Se vogliamo fare un esempio pratico, chi sta sperimentando un Archetipo Transitorio che lo deve condurre a riconoscere la parità di diritti per qualsiasi essere umano incarnato può vedere nascere un senso di colpa nel momento in cui tale parità viene elusa in vista di un qualche tipo di vantaggio personale che lo induce ad applicarlo, magari, solo a particolari frazioni dell'umanità che, in quel particolare momento e condizione evolutiva l'individuo sente di condividere con chi sta compiendo assieme a lui quello specifico tipo di percorso.
Tale senso di colpa - che potremmo definire “parziale” - ha tuttavia l'importante compito di portare gradualmente la comprensione dell'individuo all'accettazione dell'Archetipo Permanente della Fratellanza, secondo il quale il principio della parità dei diritti vale per qualsiasi individuo incarnato, senza alcuna distinzione di religione, colore della pelle, sesso, età e via dicendo. (Ombra)


D - Ma come si fa a vivere un senso di colpa positivamente? Come se questi fosse una benedizione, o il somatismo allacciato non esistesse? Sembrano domande di non accettazione, ma credo che prima di una vera accettazione questi quesiti sorgano spontanei da chi affronta la questione.

Non vi sono modi diversi di poter vivere un senso di colpa in maniera positiva: l'unica reale possibilità per farlo è quella di accettare che esso è un attrattore della nostra attenzione su quegli elementi che non siamo ancora riusciti a comprendere.
Se osserviamo il senso di colpa in questa prospettiva, non possiamo fare altro che arrivare veramente a considerarlo una benedizione, dal momento che ci costringe ad occuparci di un nostro profondo bisogno che, altrimenti, chissà quando troveremmo il coraggio di affrontare veramente e a viso aperto.
Io credo che nessun essere umano incarnato possa mai per davvero vivere un somatismo che rende la sua vita difficile e faticosa come se non esistesse (se questo fosse veramente possibile gran parte dell'utilità e della funzione stessa del somatismo, se ci ponete un attimo di riflessione, andrebbero perduti), ma vi è una grande differenza tra il subire l'effetto somatico e il cercare di rendere tale effetto lo stimolo per il raggiungimento di una maggiore comprensione.
In entrambe le condizioni si arriverà, comunque, sempre alla risoluzione del senso di colpa, ma è evidente che i tempi in cui ciò accadrà saranno, con tutta evidenza, anche molto diversi nei due casi.
Immagino che, a questo punto, alcuni di voi tentenneranno affermando che esistono dei somatismi che non possono essere risolti e che neppure il raggiungimento della comprensione potrà eliminare, specialmente in presenza di danni fisiologici irreversibili, e credo che questa perplessità possa anche essere comprensibile.
Per comprendere come ciò possa essere giustificato bisogna fare un paio di considerazioni.
La prima (e anche quella più alla portata di ogni individuo incarnato, anche il più estraneo al corpus dell'insegnamento filosofico che vi è stato portato in questi decenni) consiste nel fatto che qualsiasi problematica sintomatica che accompagna il somatismo si rafforza e tende a diventare una “norma” nell'organizzazione fisiologica dell'individuo se non viene contrastata in alcun modo, acquisendo caratteri di cronicità che risultano, poi, più difficili da risolvere in maniera definitiva dato che la mancanza di intervento ha dato modo ai corpi dell'individuo di stabilizzare i percorsi alternativi di compensazione che i loro meccanismi interni mettono in atto per cercare, in accordo con le loro automatiche possibilità di intervento, di ristabilire un equilibrio interno il meno dirompente possibile.
Il meccanismo è lo stesso, per fare un esempio, di quello che accompagna una bronchite a lungo ignorata e trascurata e che porta al costituirsi di una sua cronicità che non è una condizione di salute fisiologica in quella direzione bensì un riequilibrio delle funzioni di reazione del fisico che inglobano la presenza di un elemento destabilizzante facendolo percepire ai meccanismi di difesa automatici come una condizione non certo ottimale ma, quanto meno, in qualche modo almeno in parte controllabile.
Lo stesso procedimento può essere individuato nei confronti delle problematiche spirituali, in particolare, tenendo conto dell'ambito in cui ci stiamo muovendo quest'oggi, nei confronti delle incomprensioni e del non occuparsi di esse in maniera adeguata: il trascurarle, l'ignorarle, il rimandare il confronto con esse finisce, alla lunga, con rendere più forti i vortici vibratori che le accompagnano arrivando a creare quei nodi vibratori di difficile o decisamente faticosa risoluzione che abbiamo definito, negli anni, “cristallizzazioni”.
Un secondo elemento, proponibile in particolare soltanto a tutti coloro che conoscono un po' più profondamente l'insegnamento e i suoi molteplici elementi, è il karma.
Sappiamo che gli effetti karmici non sono interpretabili come una punizione divina ma come un estremo tentativo di insegnamento che riflette sull'individuo gli effetti di ciò che ha compiuto sia nel corso della vita che sta vivendo che nel corso di vite precedenti, facendogli avere l'esperienza personale diretta di ciò che la sua mancanza di comprensione ha propagato intorno a sé.
Spesso gli effetti karmici sono risolvibili velocemente (alla stregua, come avevamo accennato in precedenza, di gran parte dei sensi di colpa) a meno che l'incomprensione che sta alla base dell'effetto karmico non sia così profonda da possedere ormai una certa “cronicità”, tale che soltanto un'azione “forte” può indurre l'individuo che lo subisce ad operare attivamente per cercare di modificare le condizioni che gli stanno portando disagio e sofferenza.
Da quanto appena detto, mi sembra che risulti più che evidente che in presenza di un effetto karmico di grande portata il somatismo abbia poche reali possibilità di essere risolto nel corso della sola vita corrente, e questa constatazione può aiutare a comprendere perché vi siano somatismi (sia di tipo fisico che emotivo o psichico) che accompagnano in maniera costante gran parte dell'esistenza di un individuo incarnato senza poter veramente essere scalfiti dagli interventi esterni che possono venire tentati per risolverli.
“Ma – sono sicuro che arriverete ad obiettare – se l'incomprensione di base viene risolta?”
In questo caso può accadere quello che comunemente viene definito “miracolo” ovvero accade che, al di là di ogni conoscenza scientifica e di ogni logica razionale, il somatismo scompare.
Questo, come potete desumere dalla rarità di una tale casistica, non accade di frequente ed è piuttosto ovvio che non possa essere che così.
Se, infatti, il somatismo ha una forte componente karmica che, con buona probabilità, è conseguenza di un'incomprensione che si è “cronicizzata” nel corso di più vite ha la necessità di sciogliere un po' alla volta la cristallizzazione che l'accompagna acquisendo quegli elementi di comprensione collaterale che aiutano, gradatamente, a rendere la cristallizzazione in grado di perdere via via la sua rigidità in concorso con il posizionamento di nuove sfumature di sentire all'interno del corpo della coscienza individuale, a cui fa seguito l'ovvio ampliarsi del sentire stesso. E questo, chiaramente, avviene non in maniera immediata ma attraverso le nuove esperienze affrontate nel corso non di una sola bensì di più vite.
Il cosiddetto “miracolo” viene erroneamente percepito come una risoluzione immediata del somatismo in corso, ma questa è un'errata percezione da parte della consapevolezza limitata dell'individuo incarnato e la risoluzione che appare immediata, in realtà, è il frutto di un lavorio che è stato effettuato nel corso di più vite e il cui risultato finale si manifesta con un intervento risolutore apparentemente miracoloso alla consapevolezza dell'individuo che non ha quasi mai una corretta coscienza del reale lavoro che viene compiuto all'interno del corpo akasico.

D - Mi sorge la domanda: ma c'è differenza tra i due concetti? (somatismo e karma?)

In effetti i due concetti hanno un forte parallelismo e sono difficilmente considerabili separatamente.
Se proprio pensiamo di dover assegnare loro una differenziazione a livello filosofico, possiamo pensare al somatismo come la manifestazione percepibile degli effetti conseguenti alla presenza di una o più incomprensioni (quindi una sorta di regolamento interno del processo evolutivo dell'individuo all'interno del suo microcosmo personale) mentre il karma investe il processo dell'individuo non solamente nel suo essere individuo ma anche nel suo essere inserito in un macrocosmo che necessita di mantenere intatti e coerenti gli equilibri al suo interno partendo dal favorire il riequilibrio perduto nei diversi microcosmi che strutturano la Realtà. (Rodolfo)

D - Esercitare una certa "coercizione" verso noi stessi significa fare una certa "violenza" per accettare o imporci uno stato d'animo?

Accettare o imporsi uno stato d'animo sono due termini difficilmente accomunabili.
Credo che sia veramente necessario ricordare ancora una volta, che il nostro uso del termine “accettazione” non è sinonimo di rassegnazione e, quindi di passività nei confronti di quelle situazioni che possono provocarci delle problematiche, il più delle volte accompagnate da sensazioni di sofferenza.
Secondo il nostro... filosofeggiare, accettare significa prendere atto della realtà di ciò che si sta vivendo e del fatto che essa non sia a noi estranea o che non si abbia alcuna responsabilità in ciò che ci sta accadendo: le nostre responsabilità, grandi o piccole, sono sempre individuabili in ogni fatto della nostra vita, anche quelli apparentemente più indipendenti dalle nostre azioni, e la comprensione (e le eventuali compensazioni che è possibile mettere in atto) di quelle che sono le proprie personali responsabilità, per piccole che esse possano apparire, sono comunque il percorso da cercare di perseguire per provare a modificare quelle situazioni che ci mettono faccia a faccia con la nostra realtà.
Non è possibile imporsi l'accettazione di qualcosa a meno che non si intenda l'accettazione solamente come una facciata da presentare agli altri, una maschera benevolente per apparire diversi e, possibilmente, migliori di quello che si è. (Fabius)

D - Secondo me ci sono situazioni in cui l'individuo riconosce che ci sono dei bisogni oggettivi da parte degli altri (es.: familiari) che richiedono la propria attenzione e dei bisogni propri che richiedono la propria ... soddisfazione.

La contrapposizione continua tra i bisogni delle persone che ci stanno accanto e quelli che vengono vissuti (quasi sempre sotto l'influsso dell'Io) come propri bisogni personali è uno dei motori che aiuta l'individuo a interagire con la realtà soggettiva che sta sperimentando nel corso dell'incarnazione, e trovare l'equilibrio tra la soddisfazione di bisogni spesso così diversi non è affatto facile o di soluzione immediata, come saprete certamente tutti voi per diretta esperienza personale ogni volta che, per esempio, un vostro figlio di pochi mesi si sveglia piangendo di notte perché ha fame, costringendovi a interrompere il sonno di cui avete una grande necessità dopo, magari, una giornata convulsa ed estenuante.
L'Io vi grida: “Lascialo piangere, continua a dormire, anche perché (con la sottile furbizia che l'Io a volte sa mettere in atto), se no, resti più nervoso e il piccolo ne risente”.
La vostra coscienza, invece, vi dice “Alzati e soddisfa il suo bisogno perché è primario rispetto al tuo!”
Apparentemente entrambe le teorie hanno elementi di giustezza ma, allora, quale è più giusto praticare?
Difficile a dirsi, specialmente quando si è stanchi, nervosi e assonnati!
E' per questo che l'esistenza viene incontro fornendo gli elementi per aiutare a prendere la decisione migliore: il bimbo continua a urlare finché il suo bisogno primario non viene soddisfatto e il genitore sarà costretto ad alzarsi come un sonnambulo per accontentarlo per poi, finalmente, poter ritornare al suo necessario sonno ristoratore.
Questo esempio può essere considerato come un esempio dei suggerimenti della Vibrazione Prima: secondo ciò che essa proclama come indubitabilmente giusto vi è un preciso ordine di precedenza nel soddisfacimento dei bisogni: prima dei propri dovrebbero (e lo dico al condizionale perché non è certo una cosa che avete ormai acquisito in maniera stabile e definitiva) venire soddisfatti prima i bisogni di chi è più indifeso, di chi ha meno possibilità di gestione della sua vita, di chi non ha i vostri mezzi fisiologici, culturali o economici per risolvere direttamente le sue difficoltà, tenendo presente che chi è in possesso di maggiori mezzi e di maggiore evoluzione ha in contemporanea anche una maggiore quantità di responsabilità nei confronti di tutti coloro che non hanno le sue stesse possibilità o qualità spirituali.
Ma può anche venire considerato come un'esemplificazione di quanto dicevamo in precedenza rispetto al concetto di accettazione: l'accettazione della realtà del bimbo che scardina il sonno del genitore con il suo pianto, spinge il genitore all'azione, arrivando a fargli mettere in atto la messa temporanea in disparte dei propri bisogni personali per ottemperare ad altri bisogni più pressanti, aiutato in questo (e sembra strano a dirsi!) dall'Io stesso che si rende conto che mettendo in atto questa dinamica che normalmente non attuerebbe dando la precedenza a se stesso ottiene, alla fine, il risultato collaterale di appagare se stesso ritrovando la possibilità di ritornare, finalmente, a dormire.

D - Mi sorge sempre un grosso dubbio: in una situazione faccio una rapida analisi dei vari elementi e scelgo il comportamento che poi andrà a crearmi meno sensi di colpa, quello che ritengo più vicino al mio ideale morale ... oppure scelgo quello che mi fa più comodo essendone consapevole, tanto ciò che conta è non mentire a se stessi, e sono pronta anche a prendermene le conseguenze.

Indubbiamente, se la tua vita è lasciata principalmente nelle mani del tuo Io, la tua scelta tenderà quasi sempre ad essere quella di scegliere ciò che per te sarà più comodo, senza minimamente pensare ai sensi di colpa che il tuo comportamento egoistico potrà eventualmente far nascere dentro di te. Naturalmente ciò comporterà delle conseguenze che, in maniera inevitabile, si rifletteranno su di te nel tempo, costringendoti a confrontarti con le tue scelte sbagliate.

Se, figlio mio,
ti rendi conto che le tue scelte sono frutto del tuo egoismo, non per questo devi smettere di scegliere, perché smettere di scegliere diventa arrenderti al tuo egoismo, rendere la tua vita insapore, impedire la manifestazione delle tue emozioni, negare alla tua mente la ricerca del senso della tua vita e negarti la possibilità di trovare una risposta ai mille perché che ti assillano e che fatichi a giustificare.
La tua vita è come una tavola apparecchiata su cui io ho disposto tutti gli strumenti per renderla soddisfacente ai tuoi bisogni, facendo sì che tu possa sperimentare anche i cibi più apparentemente lontani dalle tue esigenze, trovando nella complessità e nella diversità quegli appagamenti che abbisognano non solo al tuo corpo fisico ma anche, e soprattutto, alla tua coscienza.
Non abbandonarti inerte al fluire della vita ma interagisci sempre con essa e vedrai che da essa riceverai sempre in cambio molto di più di quello che ti saresti potuto aspettare: ogni dolore e ogni gioia, ogni appagamento e ogni privazione, ogni difficoltà e ogni aiuto che incontrerai, ogni percossa e ogni carezza che sfiorerà la tua guancia insaporirà la tua esistenza facendoti sentire vivo, attivo, partecipe, uno e indivisibile con la Realtà di cui sei parte essenziale e insostituibile portandoti l'estrema consapevolezza che tu sei me e che Io sono te in una maniera così profonda e piena d'amore che non la potrai mai perdere, sciogliendoti in essa pur nella piena coscienza di ciò che sei stato, di ciò che sei e di ciò che sarai, per sempre.
Ti amo, figlio mio
(Scifo)
 
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