Il giuramento di Ippocrate, 15 marzo 2017 - Scifo

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view post Posted on 18/3/2017, 10:40

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In attesa che Francesco risponda alle vostre domande questa volta vorrei basare il mio intervento su una breve analisi del giuramento di Ippocrate, viste anche alcune problematiche che sono presenti, attualmente, nell'esercizio della professione medica.
Gli storici non hanno certezze sull'attribuzione a Ippocrate di tale giuramento e il giuramento stesso, nel corso dei secoli (si presume che sia stato scritto circa 2500 anni fa) ha subito continue modifiche per essere adeguato alle condizioni che cambiavano nel tempo sia dal punto di vista etico, morale e sociale che da quello della medicina, sempre più vicina e sempre più strettamente collegata agli sviluppi delle tecnologie medico/scientifiche.
In genere si ritiene, sbagliando, che tale giuramento sia stato una prassi messa in atto fin dalla sua compilazione ma, in realtà, non è andata proprio così, e, invero, soltanto da alcuni secoli il giuramento è stato generalmente adoperato come codice deontologico dei nuovi medici, fornendo delle basi teoriche per un uso corretto delle pratiche mediche.
Non mi soffermerò sui vari cambiamenti apportati nel tempo al giuramento di Ippocrate, ma cercherò di osservare la sua versione moderna prendendo spunto da esso per esaminare alcune questioni alla ribalta nelle vostre società in quest'inizio di millennio.
Io ritengo che il giuramento, dal punto di vista della pratica medica, sia un'ottima base etica e morale sull'esercizio della medicina da parte del medico, e che in quest'ottica esso abbia preservato nel tempo i concetti di chi, tanto tempo fa, lo ha ideato (i fondamenti etici che il giuramento di Ippocrate prospetta, infatti, erano presenti più o meno nella stessa forma e con lo stesso indirizzo etico nei reperti più antichi che sono stati ritrovati) sebbene nei secoli molto sia cambiato a livello di pensiero, di metodologia e di legislazione.
In esso è facile osservare che viene sottolineato quali sono le responsabilità del medico e il codice morale che deve accompagnare il suo operato, prospettando valori di base attribuibili a qualsiasi medico di qualsiasi epoca, valori che, tuttavia, attualmente, mi sembra che siano andati gradualmente a perdere forza e a diluirsi, discostandosi, spesso anche ampiamente, dalle regole morali che il giuramento sottolinea come necessarie e indispensabili per un corretto uso della pratica medica.
Ma andiamo con calma,riportandovi e commentando il testo moderno del giuramento; certo, sarebbe stato bello che lo aveste fatto da soli ma, conoscendo la vostra scarsa iniziativa e la vostra pigrizia ho deciso di prendermi l'onere di informarvi in merito.

Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;

Mi viene immediatamente da domandarmi se la libertà e “l'indipendenza di giudizio e di comportamento” del medico di oggi siano ancora fattori che, nella realtà quotidiana, siano ancora ottemperati. Certo, non voglio fare di tutta un'erba un fascio, ma qualche dubbio in proposito ce l'ho: è pratica comune che le multinazionali farmaceutiche inviino loro dipendenti per illustrare i nuovi preparati che le case farmaceutiche mettono in commercio. E fin qua niente da obiettare perché gli operatori medici, senza dubbio, devono necessariamente venire a conoscenza dei molti presidi medici che possono avere a disposizione per curare i loro pazienti nella maniera più adeguata possibile grazie alle possibilità correnti.
Il fatto è che conoscendo la natura umana e la dispersione dei valori presente nelle vostre società attuali non posso non pensare che le cure da scegliere spesso, anche se non sempre, vengano dettate più dagli incentivi che le cause farmaceutiche mettono a disposizione del medico per indurlo a scegliere i loro prodotti al posto di altri, piuttosto che dalla reale utilità dei farmaci prescritti.
Con buona pace dell'indipendenza del giudizio e del comportamento!

di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

Questa parte del giuramento di Ippocrate sembra banale: è indubitabile che sia il fine principale dell'attività medica quello di cercare di ottenere per i suoi pazienti sia il sollievo dalla sofferenza fisica ma anche di favorire la sua salute psichica.
Ma il sottolineare che il medico deve difendere la vita la rende meno banale, perché coinvolge qualcosa di più del rapporto medico-paziente-malattia e cura, specialmente nei tempi attuali in cui in molti paesi viene data la possibilità di abortire e, quindi, di interrompere il percorso di nascita di una nuova vita.
Il problema è molto complesso perché risulta essere una commistione tra medicina, legislazioni, credenze religiose e diritti della persona.
Certamente, come abbiamo sempre affermato, la vita è sacra, tuttavia vi sono molti altri elementi da considerare che pongono quesiti di non facile risoluzione e tali da non essere facilmente risolvibili con immediatezza in quanto gli elementi in gioco sono molteplici e gli interessi individuali spesso in contrasto tra di loro, mettendo il medico di fronte a scelte non semplici da effettuare.
Diventa, così, un problema essenzialmente di coscienza individuale, sia da parte del medico che da parte degli individui sulla vita dei quali l'eventuale aborto ha certamente delle conseguenze non da poco.
Non credo che la questione possa essere risolta addossando tutte le responsabilità al medico: il medico deve prendesi cura della nuova vita ma, anche, della salute psichica di chi vorrebbe abortire e per il quale, molto spesso, la nascita di un figlio può significare una vita tormentata e difficile sia per i genitori che per il nascituro stesso, spesso non amato, abbandonato, trascurato, privato dell'amore della famiglia o, magari, immesso all'interno di situazioni di vita che, nel tempo, renderanno la sua esistenza un calvario.
Allora a quale aspetto dare la precedenza? A chi dare la responsabilità di commettere un tale atto? Non certo al medico che, in fondo, resta sempre esterno alle varie situazioni e quasi sempre non saprà quali saranno state le conseguenze del suo operato o del suo rifiuto di operare sulle altre persone implicate nella situazione in oggetto. Io credo che la scelta e la responsabilità debba giustamente venire attribuita in particolar modo alla madre in quanto è su di lei che ricadono i principali effetti di tale scelta, e sarà sempre lei che, per prima, si troverà di fronte, nel tempo, al peso delle sue azioni in relazione alle motivazioni che l'avranno mossa e agli stimoli provenienti dal suo sentire.
Ma, lo sottolineo, dall'esterno è veramente difficile poter dire quale sia la soluzione migliore e non esiste legge che possa regolamentare l'aborto ottenendo il meglio e il giusto per tutte le persone implicate

di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;

Considerazioni analoghe possono essere fatte per quanto riguarda un problema, di stretta attualità: l'eutanasia o la morte assistita.
Anche in questo caso il medico finisce con l'essere un operatore di morte e si trova di fronte agli stessi problemi che abbiamo visto ai punti precedenti, trovandosi di fronte all'ambivalenza del suo compito: interrompere una vita per non lasciare il paziente in balia di una sofferenza che sarà sempre più acuta e dura da affrontare o operare affinché il paziente possa fuggire a quella condizione? Può essere il medico a decidere prendendo su di sé l'intera responsabilità del suo intervento o deve essere la scelta personale del paziente ad avere la precedenza?
Io propendo per lasciare al paziente (debitamente assistito e informato, ovviamente, su ogni aspetto della situazione) la scelta definitiva.
Esistono, senza dubbio, possibili sviluppi inquietanti, specialmente considerando gli interessi economici e sociali che possono accompagnare tali tipi di interventi e che possono portare ad aberrazioni dovute, per esempio, al risparmio economico che può avere una società permettendo l'eutanasia di pazienti che, con la loro incurabilità e lungodegenza hanno un costo elevato per la comunità. Oppure (ma qui arriviamo, forse, alla fantascienza sociale) l'eutanasia di persone che hanno raggiunto un certo limite di età e che sono ormai usciti da un utile ciclo produttivo...
Insomma, ancora una volta penso che la scelta debba essere appannaggio del paziente e che la società debba solo limitarsi ad offrire la possibilità di scegliere.

di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;

C'è poco da commentare su questo punto, che deve essere sempre e comunque il fondamento al quale deve attenersi ogni operatore medico nell'esercizio del suo compito.

di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione; di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

E' fin troppo facile sottolineare che questo brano è bella teoria ma, spesso, non altrettanto bella pratica! Quante operazioni vengono eseguite anche quando non ve n'è un reale bisogno, per mero interesse economico? Quanti interventi di modifiche dell'aspetto corporeo vengono eseguiti per accontentare i capricci, quasi sempre insensati, di chi vuole avere un aspetto particolarmente in linea con gli standard di bellezza fisica propagandate dai media invece di cercare di accettarsi per ciò che si è e che è adattato fin dalla nascita dell'individuo alle sue necessità evolutive? Quanti medici si accapigliano per ottenere maggior credito dei loro colleghi? Probabilmente quei medici che andavano a giocare a tennis invece di prestare la loro opera e la loro professionalità per effettuare il loro servizio ai pazienti avevano giurato con le parole ma senza cercare di capire veramente ciò che il giuramento diceva loro.

di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d'urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell'Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.

Anche su questi punti non vi è molto da dover commentare, essendo il fondamento non soltanto della pratica medica ma della vita stessa: cercare di aiutare gli altri a superare ciò che li travaglia non perché appartenenti a una particolare razza, religione, nazionalità o fede politica, ma considerandoli, prima di tutto, degli esseri umani che soffrono e che hanno bisogno di essere aiutati.
Lode ad Ippocrate (o a chi, per esso, ha prospettato per primo questa specie di codice per l'attività del medico) del quale, in verità, non vi sarebbe nessuna necessità se ogni medico seguisse ciò che gli sussurra la sua coscienza prelevandone i concetti dalla Vibrazione Prima e che gli suggerisce, in continuazione, che egli è un servitore del benessere altrui e non il dispensatore di bene o di male a seconda di quelli che possono essere i suoi vantaggi personali. (Scifo)
 
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