Creature, serenità a voi. Prima di incominciare, volevo spiegarvi un attimo l’andamento di questa seduta e delle prossime, perché abbiamo deciso di prendere un argomento – in questo caso «la rabbia» – e di fare ciò che si può fare, conoscendo l’Insegnamento, nell’esaminare qualcosa di particolare, come un’emozione quale la rabbia; ovvero esaminare questo argomento da tutti i punti di vista, in modo tale da insegnarvi, da mostrarvi come si può operare per rendere attivo e pratico quello che noi diciamo. Per questo motivo, «la rabbia» non sarà soltanto l’argomento di questa sera ma anche di qualche incontro successivo, durante il quale tenderemo ad esaminare i vari punti di vista da cui può essere osservata la rabbia, ovvero dal punto di vista fisico (per esempio), dal punto di vista astrale, e quindi delle emozioni; dal punto di vista mentale e, ovviamente, dal punto di vista akasico; non soltanto, ma dal punto di vista di chi si arrabbia e dal punto di vista di chi subisce la rabbia; e se avete altri argomenti in merito siete pregati di metterli in piazza, in modo da rendere il più completo possibile il modo di trattare l’argomento stesso. Ovviamente, includeremo in tutta questa trattazione anche quali possono essere le influenze, per esempio degli archetipi, sui sentimenti come da rabbia; dimostrando così, in questo modo, che tutto l’Insegnamento, anche quello filosofico più difficile e apparentemente più rarefatto e più lontano dalla vita di tutti i giorni, in realtà si riflette nella vostra vita. Benissimo, creature. Allora incominciamo, questa sera, a parlare della rabbia; anzi: «incominciate» a parlare della rabbia, questa sera, dal punto di vista diciamo della fisiologia della rabbia; perché a voi sembra un argomento scontato ma non è così scontato come tutti voi potete pensare. E questo vi ha preso, come al solito, di sorpresa; mi dispiace, non era proprio quello che vi aspettavate, ma arriverà prima o poi anche quello che vi aspettavate, quando non sapremo escogitare altre cose per sorprendervi! (… silenzio …) Vedo che è un pullulare di idee!
D - Se ci vuoi spiegare cosa intendi «dal punto di vista fisico» … nel senso che intendi che se uno prova rabbia lo si vede anche nel fisico, oppure … Certamente!
D - … oppure psicosomatismo? … Incomincerò a darvi un po’ di avvio perché, altrimenti, so che non se ne esce, questa sera! Allora: la rabbia cos’è? Come la classifichereste? Come un’emozione, ovviamente. Come voi sapete – specialmente quelli che hanno seguito la ML2 le emozioni si riflettono anche sul fisico (giusto?) quindi, per manifestarsi all’interno della vita che l’individuo conduce, hanno bisogno del corpo fisico. Questo significa che stando attenti al proprio corpo fisico, alle proprie reazioni nei momenti di rabbia, ci si può accorgere di quello che la rabbia provoca all’interno della fisiologia del corpo fisico. Ecco, partite da questo punto: se voi avete provato la rabbia, secondo voi quali sono gli elementi che si ripercuotevano e come si manifestavano attraverso il vostro corpo fisico. D - Certo, il sangue ovviamente fluisce alla testa in maniera eccessiva, ti senti la pressione che sale, che … E qui è difficile, secondo me, distinguere fra aggressività e rabbia perché, a un certo punto, la rabbia ti fa anche essere aggressivo. Quindi abbiamo già trovato una componente da abbinare alla rabbia, che – secondo il nostro amico L. – la rende indissociabile, in gran parte, da quella che è la spinta aggressiva dell’individuo. Siete d’accordo, su questo?
D - No. Sentiamo perché no.
D - Perché l’aggressività è la manifestazione esterna della rabbia. La rabbia non necessariamente si esprime attraverso l’aggressività del comportamento, secondo me. Io direi che l’aggressività può essere considerata – quando è associata alla rabbia, perché può essere un’aggressività che non è associata alla rabbia; non è detto che l’aggressività sia sempre associata alla rabbia … che l’aggressività può essere considerata come una delle maniere in cui la rabbia può manifestarsi all’interno (sempre) del piano fisico; quindi è una conseguenza della manifestazione della rabbia. Naturalmente, non sempre alla rabbia può seguire una manifestazione aggressiva; è difficile, però, riuscire a comprendere quando (come diceva la nostra amica, prima) l’aggressività in realtà c’è all’interno ma non viene espressa fisicamente. Io direi che, solitamente, la reazione di rabbia è sempre un picco … Voi ricordate cosa sono i picchi? I «picchi vibratori» sono i punti di massima vibrazione nell’espressione di un sentimento, di un’emozione, di una reazione di qualsiasi tipo. E la rabbia, per sua stessa connotazione, è chiaramente un picco vibratorio, cioè un’improvvisa esplosione di emozione che arriva ad un massimo, per poi decrescere o, al limite, stopparsi completamente nel momento in cui le energie vengono completamente buttate fuori e, quindi, c’è quel momento di stasi che riporta all’attuale equilibrio dell’individuo. D’accordo? E l’aggressività, chiaramente, rientra nella tipologia del picco, per cui la manifestazione ripete sul piano fisico questo picco attraverso una reazione forte, quindi una reazione aggressiva nei confronti degli altri o, a volte, anche nei confronti di se stessi attraverso qualche forma di autolesionismo (come diceva l’altra amica, prima). Ci siamo fin qua? Volete chiedere qualcosa di particolare su questo? Non mi fate, tutte le volte, rifare tutte ‘ste cose, perché lo strumento sta già facendo abbastanza fatica e non vogliamo che gli venga un altro infarto, vero?
D - Allora, sul discorso che non sempre si manifesta sul piano fisico questa aggressività legata alla rabbia, dipende da un non lasciar fluire queste emozioni o è dissociata completamente? Ecco, qua è un argomento complesso, che tratteremo successivamente; vi spiego, però, il perché, in modo tale che possiate pensarci e ricordarmelo poi in uno dei prossimi incontri per riportare a galla questi aspetti, che riguardano poi altri concetti che abbiamo esposto in precedenza. Perché l’aggressività a volte non viene espressa? Può non essere espressa semplicemente perché l’individuo ha un ferreo controllo su se stesso, può non essere espressa perché l’individuo ha introiettato l’Insegnamento e si rende conto che potrebbe far del male agli altri, può non essere espressa, invece – per esempio perché secondo la morale tipica degli archetipi transitori di quella particolare situazione, la reazione aggressiva viene stigmatizzata come errata.
D - O per paura. O per paura; sono tantissimi i motivi, ma questi sono più motivi legati forse all’insegnamento filosofico che è un insegnamento sulla reazione fisica diretta, quindi li tratteremo più avanti. Ricordatemelo, perché – ahimè incomincio ad avere la memoria corta anch’io!
D - Posso fare una domanda? Qual è l’origine della rabbia? Cioè, che cosa avviene nei meccanismi, dal vostro punto di vista, quello dell’Insegnamento, quando a un certo punto, invece che reagire in altri modi, ci travolge questa emozione, questa cosa che poi è una via non scelta, per certi versi, o sembra una via non scelta e … … E anche qua hai tirato in ballo un altro argomento che dovrà essere trattato. Anche tu ricordamelo in uno dei prossimi incontri, perché quello che hai detto tu è un evidente rapporto particolare che ci può essere tra l’aggressività e l’Io dell’individuo. Senza dubbio vi è una forte relazione, nel manifestare la rabbia, tra quello che è l’Io dell’individuo e la spinta della rabbia che l’individuo subisce, sente nascere dentro di sé. La genesi della rabbia, indubbiamente, è molto amplificata da quello che è l’Io dell’individuo, quindi i rapporti tra l’Io e la rabbia sono importati da essere esaminati e sono validi un po’ per tutte le emozioni che l’individuo manifesta, ovviamente.
D - E allora un’altra domanda: come ci dobbiamo comportare rispetto alla rabbia? Come sarebbe giusto porsi nel momento in cui sentiamo arrivare questa emozione – indipendentemente dalle sue cause e dalle sue … però, in qualche modo percepiamo gli effetti, sentiamo che monta, … che facciamo? Qua c’è un altro punto importante, che andrà esaminato anche questo vedete quante cose ci sono da esaminare su un argomento apparentemente così semplice e scontato ovvero i rapporti importanti tra l’individuo che esprime un’emozione (in questo caso la rabbia) ed i suoi rapporti con gli altri; quindi il modo di rapportarsi con questa rabbia e il rapportarsi con questa rabbia nei confronti delle persone che gli stanno intorno. Anche questo è molto importante; giusto? E anche di questo parleremo dopo. In poche parole, vi riconduco a quello che dicevo, che era il punto di partenza, che state tutti evitando bellamente perché non sapete cosa dire.
D - Ah, la fisiologia della rabbia. Ecco, ma qui si intendeva reazioni fisiche interne – come pressione del sangue e cose del genere – o anche… che ne so … il tono della voce …? Ma io direi tutte le manifestazioni in toto nell’individuo allorché è in preda alla rabbia... quindi la situazione fisiologica, la manifestazione del suo fisico all’esterno … Io direi che, in realtà, non c’è un modo standard in cui l’individuo esprime la rabbia. Ognuno, ovviamente – e se ci pensate bene non può essere che così, conoscendo l’Insegnamento – esprime qualsiasi sentimento che esprime sul piano fisico attraverso il proprio percorso evolutivo, i propri bisogni evolutivi. Giusto? Quindi, cosa può accadere? Che ci sia l’individuo che esprime la rabbia aggressivamente e magari anche con violenza portata all’estremo, arrivando ad uccidere un’altra persona per porre fine a quel picco di emozione che non riesce più a controllare – con tutte le gradazioni intermedie, fino ad arrivare all’individuo che riesce invece a bloccare al proprio interno la rabbia, a non lasciar trasparire la rabbia che in quel momento lo sta mettendo sotto-sopra. Ognuno di voi la esprime in modo maggiore o minore, diversamente da come la esprimono tutti gli altri.
D - Però potrebbe anche arrivare non a bloccare in modo consapevole e dire: “Un attimo, mi sto arrabbiando» ecc. ecc., potrebbe anche far finta… cioè come dire “Ok, sono arrabbiato, però me ne sto e appena posso la faccio uscire in un altro modo», ecco. Certamente, certamente. Se ci pensate, tra i modi di esprimere la rabbia, per esempio, senza apparire di essere arrabbiati, vi è quello di fare i musi e di far finta che «tanto, non mi importa niente, però io intanto non ti parlo!»; quello di dire, come fanno alcuni: «Sì, sì, fai pure tutto quello che vuoi, mi va tutto bene, io ti seguo, ti aiuto per quanto posso, però poi, appena capita, te la faccio pagare in qualche maniera indiretta!». A quel punto si scivola nel rancore; sarebbe molto meglio esprimere la propria rabbia e lasciare che si manifestasse cercando di contenerla nei limiti, ovviamente che si manifestasse e buttasse fuori l’energia del picco vibratorio e così si acquietasse un po’ alla volta, invece così resta all’interno e le energie cercano tutti i modi collaterali per uscire, facendo molti più danni che se la rabbia uscisse come doveva uscire inizialmente.
D - Ma a me fa un po’ paura quando esce inizialmente, Scifo! Ti ripeto: se tu costringi la rabbia a non uscire ma non sai come scioglierla, la rabbia ti resta dentro e alla fine fa più danni che se uscisse realmente.
D - Somatizzi ancora di più. Questo è un altro elemento da tener presente, ovvero la reazione psicosomatica della rabbia; cosa può provocare, dal punto di vista psicosomatico, esprimere la rabbia oppure trattenere la rabbia. Anche questo è un argomento su cui pensare, che mi ricorderete nei prossimi incontri.
D - Ma, invece, se io sono in una situazione che sono arrabbiato con una persona, e io quella persona non ce l’ho davanti, lì entra in gioco la cosiddetta rabbia silente, che poi è molto più logorante che non una reazione rabbiosa; ma se non ho davanti quella persona, io quella rabbia come faccio a farla uscire? Ma per lasciar uscire la rabbia non c’è bisogno che ci sia l’altra persona, l’oggetto della rabbia; basta anche dire una sequela di parolacce per scaricare la tensione della rabbia; quelle che voi definite parolacce, per lo meno … Quello delle parolacce è un argomento un po’ particolare, perché voi le definite «parolacce» e non vi rendete conto che nei secoli le parolacce sono cambiate sempre e non sono definibili univocamente in tutte le società quali sono le parolacce e quali sono le parolucce. Certamente, esprimere la propria tensione attraverso una cosiddetta parolaccia, tale almeno stigmatizzata da un archetipo transitorio che si sta vivendo, provoca un senso di soddisfazione perché l’Io dice a se stesso: «Guarda come sono bravo, vado anche contro le convenzioni e riesco ad essere trasgressivo!». E voi sapete che l’Io si pavoneggia in queste cose!
D - Dal punto di vista pratico-pratico, posto che è vero che è giusto, son d’accordo, che la rabbia magari si esprima piuttosto che rimanga dentro, ma cosa si può fare … se ci puoi aiutare … per evitare che si esprima ma non si trasformi in aggressività, che diventi nociva … cioè trovare un giusto mezzo che possa salvare capra e cavoli, cioè non fare del male a chi si ha vicino e contemporaneamente non … (a parte che non ci si riesce, almeno per chi è abituato ad esprimersi) … Mi scappa da ridere, perché non posso che rispondere ancora una volta: ecco un altro argomento da trattare; perché quello di cui tu stai parlando non è altro che fare il parallelo tra quello che dicono, che suggeriscono, che rintoccano gli Archetipi Permanenti e l’espressione delle proprie emozioni; quindi è un’altra cosa da tenere presente e che dovrebbe essere esaminata se riuscirete a reggere a tutti questi esami che nel tempo vi prego di ricordarmi, … anche se non sono sicuro che ve ne ricorderete tutti!
D - Un individuo poi, a lungo andare viene logorato nel fisico dalla rabbia, ci sono degli effetti a lungo termine, è previsto nel funzionamento biologico questa attività però … non so … c’è un punto oltre il quale il fisico non regge più; … non lo so. Io direi una cosa: intanto la rabbia, come dicevamo, è un picco (giusto?) e può accadere qualche volta, qualche raro caso, che la rabbia di una persona duri per molto tempo però, solitamente, con il passare del tempo, il picco esaurisce le sue energie e la rabbia un po’ alla volta si stempera; la rabbia, due anni dopo, non è più la stessa rabbia di quando la rabbia è nata. D’accordo?
D - Scusa, Scifo, tu sei una persona che ha questo tipo di reazione, però ti viene poi per qualcos’altro; quindi si stempera su un argomento ma si riaccende su altri, se proprio … cioè, io parlo per me, eh. Ma sono due rabbie diverse, non è più la stessa rabbia.
D - Sì, va be’, però sempre rabbia è, e sempre male ti fa, e sempre ti autolesioni, magari per non lesionare il prossimo. Sei un po’ maniaca in questo argomento!
D - No, sono abbastanza coinvolta. Comunque tu stai parlando di più rabbie in successione, non è una rabbia; noi qui stiamo parlando di un momento di rabbia che viene all’individuo. Certamente il momento di rabbia – come stavo cercando di dire – essendo un picco, non ha una durata così lunga da poter veramente creare delle evidenti reazioni a livello fisiologico, avvertibili quanto meno. Tutto ‘sto rigiro per arrivare a questo.
D - E invece quando può succedere che ci sia un’alterazione di qualche tipo? L’alterazione succede quando la rabbia … come si può dire? …
D - Se tu soffri d’ipertensione … Può succedere quello che dici tu quando la rabbia non viene espressa. Sono due casi molto diversi. Se la rabbia viene espressa, certamente ti può provocare … che ne so? … tremore, sudorazione, o salivazione, o reazioni di questo tipo; però, con lo scemare del picco della rabbia, scemano anche i sintomi psicosomatici che l’accompagnano; ma nel momento in cui la rabbia non viene espressa provoca una condizione di alterazione vibrazionale interna per cui – come diceva la nostra amica dottoressa – certe urgenze, certi comportamenti fisiologici interiori dell’individuo, vengono accelerati e restano accelerati, per cui alla fine possono diventare patologici. Prendete questo individuo qua: questo individuo ha passato gran parte della sua vita a cosa fare? A cercare di non manifestare quali erano i suoi momenti di difficoltà per paura di apparire debole, per non sentirsi debole, per cercare sempre di portare avanti la sua idea dell’essere forti per poter aiutare gli altri. Questo, cosa ha portato un po’ alla volta? A una specie di cronicizzazione di quella che è poi diventata la sua ipertensione, sfociata in sintomo cardiaco. Questo non sarebbe accaduto se questa persona qua avesse lasciato uscire la sua rabbia tutte le volte che la rabbia tendeva a manifestarsi.
D - Però, a questo punto, quando il fisico ormai è compromesso, non gli conviene più manifestarla troppo, però. Beh, che sia proprio compromesso non direi, è stato in parte compromesso però non è più uno sbarbatello! Diciamo che certamente forse la cosa doveva insegnargli ad esprimere la rabbia nella maniera migliore, quindi esprimerla; se capitava un’occasione non doveva arrabbiarsi a tutti i costi, tanto per rendere contenti gli altri, ma riuscire a esprimere la sua rabbia nella maniera migliore, in maniera tale che provocasse soltanto fastidi temporanei e non finisse con cronicizzarsi, come è capitato in passato. (..?..)
D - Certamente. E qual è questa modalità più soft per esprimere la rabbia senza farsi tanto male a sé e agli altri? Nelle prossime puntate? Il modo migliore sarebbe quello di affrontare la rabbia, di affrontarla magari con la situazione che provoca la rabbia, affrontare la situazione invece di fuggirla e di continuare a nascondersi, cercare di essere chiari e sinceri nel rapportarsi con la situazione che suscita la rabbia; di non finire, alla fine, per aggiungere alla rabbia anche i sensi di colpa per tutti i danni che si sono provocati per non aver saputo governare in maniera giusta questa rabbia. Quindi ritorniamo un po’ al «se vuoi cambiare la tua vita cambiala»: se vuoi cambiare la tua rabbia affrontala! Avete notato che, chissà perché, quando qualche cosa vi riguarda da vicino e comporta uno sforzo da parte vostra, voi non capite mai?
D - Ma dopo il picco della rabbia, non ti viene in mente di capire perché ti fa rabbia?D - Certo, certo, mi do delle risposte e poi arrivo a un punto morto oltre al quale non riesco più ad andare. È come quando si fa il «gioco dei perché», che diceva Scifo: «chiedetevi il perché, il perché, il perché» e poi arrivo a un punto in cui non vado oltre; perché probabilmente avrò dei blocchi interiori che mi si mettono; infatti, in effetti, il «mea culpa» che io posso fare è di non scrivere più sulla ML2 perché a me tante volte, pur dietro delle schermaglie che ci possono essere, ma altre persone mi hanno dato degli spunti che a me non sarebbero mai passati neanche per l’anticamera del cervello! Ma onestamente non mi venivano in mente! Mi succede lo stesso anche quando mi interrogo sulla rabbia, ad esempio. Ma, vedi, più che il discorso del «perché del perché, del perché» … Certamente può essere un modo per cercare di andare un po’ più a fondo in quello che si sta cercando di esaminare su se stessi, però stiamo attenti perché, arrivati a un certo punto, diventa soltanto un gioco mentale!
D - Eh, un po’ sì, mi sembra quello! E quando diventa un gioco mentale, poi fa il gioco dell’Io; non serve più a niente! Allora cos’è che bisogna fare? Bisogna – come dicevo prima – affrontare la propria rabbia. E come si affronta la propria rabbia? Affrontando la situazione che provoca la rabbia! Fatelo, non c’è nessun altro modo! Non è che ci sia chissà quale tecnica particolare o difficile da fare! Quando c’è qualcosa che non va, bisogna affrontarla, invece di nascondere la testa sotto terra! Vi sembra così difficile da fare, creature? È qui, forse, che dovete cambiare mentalità; perché, altrimenti, continuerete fino alla prossima vita a portarvi avanti questo tipo di comportamento, pur sapendo che è sbagliato!
D - «Affronta la rabbia» mi immagino, dal punto di vista pratico, significhi andare ad indagare che cosa muove la mia rabbia … No! no; ti immagini male. Significa «affronta la situazione che ti provoca la rabbia». Non è un ridurre la rabbia soltanto a un rapporto tra la rabbia e te, ma pensare che la rabbia è un rapporto tra te e quello che l’ha suscitata, o quelli, o la situazione che l’ha suscitata; allora la puoi risolvere nel modo più facile osservando il tuo rapporto con te e la situazione o le persone che hanno suscitato la tua rabbia; e questo lo puoi fare se ti rapporti direttamente con la fonte esterna della tua rabbia.
D - Infatti, volevo chiedere questo, … perché ci sono due casi (i più banali): una persona che mi fa arrabbiare, e quindi … oppure una situazione che mi fa arrabbiare. Nel momento in cui una persona mi fa arrabbiare, effettivamente la mia rabbia scaturisce dallo specchio che questa persona mi … mi … perché, oggettivamente, ci sono delle persone che sono stronze, c’è poco da fare! Allora uno si arrabbia! E questo è un caso. L’altro caso, … E qua, è già una corbelleria che hai detto! Anche perché tu non puoi sapere perché l’altra persona si è comportata così e, quindi, il tuo giudizio è completamente privo di senso!
D - Son 20 anni che mi arrabbio! Non è dopo 20 anni che devi affrontare la situazione della rabbia, la devi affrontare subito. Non so se capite quello che voglio dire. Quello che vi capita, che vi suscita (cerco di essere più chiaro per chi non avesse capito) quello che vi capita e che vi suscita la reazione rabbiosa è inutile che lo andiate ad affrontare dopo che è diventata tutta una serie di rancori, di altre situazioni, di dissapori, di rivalse e via dicendo col protrarsi nel tempo degli stessi episodi di rabbia. Diventa difficile, a quel punto, uscire da quella situazione; diventa una specie di circolo, di fantasma vibratorio in cui continuate a rivoltolarvi senza uscirne più! Questo non accade se, invece, fin dalla prima volta che la rabbia si manifesta, la rabbia e la situazione che la provoca viene affrontata direttamente.
D - Però io trovo che, veramente, … Non lo so, … mi sembra un po’ una fantascienza, sinceramente! Perché una che in certi ambiti la rabbia proprio non puoi affrontarla, proprio un piffero di nulla, per mille motivi di sopravvivenza; d’altra parte uno lo sa anche che non l’affronta perché a un certo punto mette sulla bilancia il fatto «affronto oppure sopravvivo» e dice: «va be’, sopravvivo …… Mia cara, tu stai sbagliando tutto il concetto che stiamo dicendo questa sera; perché non è detto che, se uno si arrabbia, debba reagire aggressivamente! Io sto parlando di affrontare la situazione, non di reagire aggressivamente alla situazione; è ben diversa la cosa.
D - Però quando tu arrivi a cozzare con una persona, cioè a non avere la stessa idea con una persona, è ovvio che se tu esprimi la tua idea la puoi anche esprimere senza rabbia, però c’è poco da fare! Anche se tu la esprimi senza rabbia, ma questa idea non coincide con quella dell’altra persona, dalla mia esperienza … Se la esprimi senza rabbia, la rabbia non tornerà più!
D - Mah, non so … E poi ti deve essere permesso di esprimerla, che anche questo, a volte … a volte ti viene detto: «Non esprimerla, non ne voglio sapere» … C’è modo e modo di esprimere un’emozione, di lasciare che si manifesti sul piano fisico. Ripeto: voi continuate ad associare «necessariamente» l’aggressività alla rabbia e non è detto che sia così, prima di tutto secondariamente, quando io parlo di affrontare la situazione non dico che dovete partire lancia in resta per cercare di prevalere sull’altro, ma dico che dovete cercare di rendervi conto di quali possono essere i vostri motivi ma anche i motivi degli altri.
D - No, ma questo, … guarda … Il discorso è che, comunque, uno può rendersi conto del motivo e cercare un dialogo con l’altra persona e dire: «io capisco i miei motivi, cerco di spiegare agli altri quali sono le mie esigenze; capisco anche quali sono le sue, cerchiamo di trovare un accordo, un accomodamento» o, per lo meno, a me basterebbe anche soltanto riuscire a esprimere le mie esigenze, o comunque la cosa che mi ha magari fatto star male, però a volte non è possibile neanche questo; per cui non … non lo so. E le volte che non è possibile (per quello che tu dicevi) vuol dire che ha compreso che non era il caso al momento di esprimerle; e questo già provoca un mutamento del picco della rabbia, perché si riconosce che non è possibile dialogare o esprimere con l’altro la propria rabbia. Voi dimenticate che la rabbia non è dell’altro ma è vostra, e rientra proprio nella seconda fase, di cercare di capire cos’è che sta al vostro interno e muove la vostra rabbia. E se non capite qual è il vostro motivo, la rabbia sull’altro si scatenerà sempre, comunque.
D - Sì, che poi più che rabbia è un cercare un confronto… non lo so. È dopo il fatto che l’altro rifiuti il confronto che ingenera tuttalpiù la rabbia; perché, alla fine, io all’inizio dico: «C’è qualcosa che mi ha fatto star male, proviamo a parlarne, vediamo un attimo» … E’ la non possibilità della relazione che … La reazione dell’Io dice: «Come? Io mi sto mettendo umilmente a tua disposizione per poter dialogare e tu …
D - No, umilmente no; ci sto provando, per lo meno. Ok, …
D - Si potrebbe stare meglio se … Ok, togliamo «umilmente»: «io mi sono messa a disposizione per trovare un dialogo con te, tu stai rifiutando questo dialogo e questo mi fai arrabbiare».
D - Esatto! E perché ti fa arrabbiare?
D - Perché mi fa prima star male … Perché ti fa star male?
D - Perché mi piacerebbe riuscire a dialogare; soprattutto con le persone con cui uno, comunque, in qualche modo, … No, ti fa star male perché ti senti sminuita, senti che non ti è stata data importanza. E da qui nasce la rabbia, che ricordo ancora a tutti quanti – che la rabbia è tua e non è dell’altro!
D - Scusa, e come ci si difende dalla rabbia dell’altro? Perché spesso una rabbia che si esprime in maniera aggressiva (non è che voglia cambiar discorso, però) genera una risposta altrettanto … vibratoria (diciamo così) … Come ci si difende dalla rabbia dell’altro? Ma lì dipende … Non si può generalizzare, dipende da caso a caso, Ci sono i casi in cui c’è un certo rapporto con l’altra persona e puoi rispondere alla sua rabbia con la tua rabbia, per esempio. In questo modo poi starete tutte due meglio, e potrete poi rimettervi in contatto, cioè senza aver bisogno di ricorrere di nuovo alla rabbia per cercare di attirare l’uno l’attenzione dell’altro, per esempio. Poi si può rispondere facendo finta di niente, lasciando che l’altro esprima la sua rabbia, nella speranza che il suo picco emozionale un po’ alla volta si trasformi e diventi poi possibile avere un punto di contatto. Certamente non si ottengono buoni risultati se ci si gira dicendo: «Ma, tanto, a me non me ne frega niente!» o «Sì sì, arrabbiati pure, è un problema tuo.» e via e via e via e via.
D - Ma il nostro Io rimane ferito dalla rabbia dell’altro. Certo, perché – come dicevo all’altra figlia, prima – l’Io si sente che non gli è stata data abbastanza importanza; e voi sapete che l’Io è la cosa più importante di tutto il mondo, per se stesso. Anzi, la sua rabbia è più rabbia di quella degli altri! Il problema è che l’Io non vuole riconoscere di avere questi problemi, questi difetti, e tende a spostare l’accento della nascita della sua rabbia sull’altra persona o sulla situazione che ha fatto nascere la sua rabbia: ォIo mi sono arrabbiato perch驟サ La soluzione definitiva che sparisca l棚o su questo posso essere d誕ccordo quando si arriva al momento dell’abbandono della ruota delle nascite e delle morti, ciò non toglie che è necessario e indispensabile – e d’altra parte sarà così, perché non può che essere così – che, con l’avanzare della comprensione, l’Io diventi sempre meno forte; e, quindi, la rabbia e tutte le dinamiche interiori, e le espressioni delle emozioni diventino sempre più governabili, sempre più questioni di un momento e più facilmente risolvibili col passare del tempo.
D - Quindi, scusa, il meccanismo a cui tendere è quello di acquistare una rapida consapevolezza della vera risposta che sta avendo il nostro Io allo stimolo che riceve e concentrarci, più che sullo stimolo, sulla risposta; e quindi in qualche modo spostare di nuovo la nostra attenzione e di evitare tutta una serie di effetti che invece avvengono nel momento in cui ci rivolgiamo verso l’esterno? Io sto cercando una strada! Quale strada? Anche tu, ma anche tu, figlia mia! Ma la strada è abbastanza semplice, il percorso è evidentissimo, è lampante! Voi ricordate quel bello 'schemone' che avevamo dato, con tutto quel circolo che andava avanti e indietro, è la stessa cosa veramente di tutti i giorni! Nel cercare le risposte alle vostre domande, non dovete far altro che spostare l’attenzione tra ciò che provoca in voi la situazione e ciò che la situazione provoca dentro di voi; all’esterno, all’interno, all’esterno, all’interno, in un circolo che un po’ alla volta vi porta ad arrivare a comprendere le vostre meccaniche e i vostri veri bisogni, le vostre vere necessità. Cioè, il metodo è quello, non se ne esce! È semplicissimo, oltretutto! Non può che essere così. Ogni volta che questo circolo voi lo interrompete perché non affrontate una situazione o perché non volete essere sinceri con voi stessi, o perché quando lo portate dentro di voi lo trasformate per renderlo diverso da quello che è in partenza, in quel momento il circolo si spezza ed ecco che il problema non è risolto minimamente. Mi sembra talmente chiaro! O a voi non sembra chiaro?
D - No no, non è che non sia chiaro; … cioè la ricerca nostra – dell’Io, diciamo pure – è che vorrebbe una soluzione totale e (tra virgolette) «immediata»; soluzione che di fatto non esiste. Il problema non è di non capire, ma ci si rende conto che in realtà il percorso è non dico infinito ma … quasi, per cui, a un certo punto, dici: «Va be’, d’accordo», però … D - Più che altro, noi siamo sempre uguali nel percorso. Ma non è vero! Siete sempre uguali quando cristallizzate in certe cose interiori, e allora sì tendete a reiterare gli errori che avete fatto in passato ma, anche quando cristallizzate, una parte di voi si trasforma comunque; non siete mai uguali da un momento all’altro, comunque sia. Se no, non avrebbe più senso tutto il discorso che noi finora abbiamo portato!
D - A me viene da pensare … perché io ho riflettuto tantissimo su ‘sta storia della rabbia, e io penso di essere già nata arrabbiata da bestia, perché mi ricordo che quando ero piccola, ma piccola piccola, mi picchiavo con tutti; e quindi queste … Adesso non so tu, nelle prossime lezioni, volevi far l’abbinamento tra aggressività e rabbia ma a me sa che quando picchiavo tutti ero abbastanza arrabbiata, adesso io non mi posso ricordare esattamente cosa la muovesse a 5-6-7-8 e 10 anni, però mi ricordo che una costante della mia infanzia era di fare a botte. E lì che cos’è? Cioè, ci nasci già? Te lo puoi portare come retaggio di altre vite o … L’abbiamo detto, mi sembra, proprio ultimamente (no?), fa parte di quella base caratteriale che ha l’individuo allorché nasce e che, quindi, fa parte – come diceva il nostro amico – del Dna. Certamente, poi, la manifestazione dovrebbe cambiare col tempo a seconda delle esperienze fatte. Difatti, certamente la tua rabbia di allora non è la rabbia di adesso; non mi sembra che vai in giro a picchiare le persone!
D - Posso? Allora, io volevo chiedere: la manifestazione fisiologica della rabbia è uguale già da quando uno è neonato, in un bambino, ecc. ecc., è già così? Oh, meno male che ritorniamo al punto di partenza! Se vogliamo parlare di questa rabbia in rapporto alla fisicità dell’individuo, la cosa più semplice è trovare quei momenti in cui l’espressione della rabbia avviene con minori influenze possibili. Giusto? E, certamente, uno dei momenti in cui non ci sono le influenze, è il momento in cui l’individuo è appena nato. Il neonato non ha ancora l’influenza degli archetipi transitori, sente gli Archetipi Permanenti ma soltanto molto lontani perché non ha ancora allacciato il corpo akasico, non ha un Io ancora strutturato, il suo pensiero è limitato a: «ho fame, ho freddo, devo fare la pipì» (o la popò, come preferite) quindi non ha ancora una grossa quantità di elementi che possono condizionare la manifestazione della sua aggressività. Mi sembra giusto, no cara? Quindi, se vogliamo cercare di capire quali sono le reazioni fisiologiche della rabbia, il modo migliore è giusto osservare la rabbia come si esprime in un neonato. Allora, poiché siete stati a contatto – chi più chi meno – con dei neonati, tiratemi fuori, fra tutti, quali sono i comportamenti con cui il neonato esprime la rabbia.
D - Fragorosi. <i>D - Pianto. Pianto.
D - Sono gli stessi con cui esprime qualsiasi altra cosa, probabilmente. No, non è detto; quando è contento non mi sembra che pianga!
D - Si irrigidisce, irrigidisce il corpo … Si irrigidisce, stringe i pugni, compie uno sforzo fisico: agita le mani, diventa paonazzo, se avesse i denti li digrignerebbe, ma non ce li ha, … e urla. Quindi, questi qua sono gli elementi essenziali di manifestazione della rabbia. Col passare del tempo, poi, chiaramente, tutti voi vi vergognereste a mettere in atto questi sintomi (no?); ciò non toglie che gran parte di queste manifestazioni, ancora adesso, che siete fisicamente (se non mentalmente) adulti, tendete a manifestarli. Pensate un attimo a quando siete arrabbiati, … cosa fate? Solitamente alzate la voce (come il neonato), vi irrigidite (come il neonato), l’espressione facciale (come il neonato), se non ottenete quello che volete ricorrete al pianto per ottenerlo, tendete ad aumentare il movimento delle vostre mani o, al limite, il movimento di tutto il vostro corpo muovendovi nervosamente avanti e indietro, qualche volta andate di corsa in bagno per evitare di fare brutte figure; e quindi in realtà manifestate – anche se in maniera moderata dal vostro Io – la stessa reazione fisiologica che presenta il neonato. Anche il rossore del vostro viso, o in altri casi, il pallore del vostro viso è un sintomo della vostra rabbia; la sudorazione è un sintomo della vostra rabbia. Questo, quindi, a livello fisiologico. Se vogliamo andare ancora un po’ più giù, chiaramente poi c’è tutta una concatenazione di altri elementi biochimici, o fisiochimici, come preferite, che entrano in gioco, che vengono messi in atto nel momento in cui la rabbia si presenta; per esempio, l’aumento del tasso di adrenalina nel sangue, il sangue che scorre più velocemente, e via e via e via; qua, qualsiasi dottore presente tra di voi può farvi un elenco abbastanza completo di questi elementi che fanno parte della fisicità della vostra razza.
D - Quindi tutto quello che ci aggiungiamo dopo, o che togliamo, è per l’esterno? Cioè per paura o per la convenzione con l’esterno? Tutto quello che non manifestate o che manifestate in maniera diversa all’esterno, accade in quella maniera o non accade perché ci sono gli altri elementi che il neonato non ha che influiscono sulla vostra reazione verso l’esterno.
D - Sì, questi meccanismi di inibizione possono essere positivi – per quanto riguarda, magari, il non danneggiare gli altri – o possono essere magari negativi quando si vuole magari salvaguardare la propria immagine? Certo, certamente.
D - Ma nel caso ci sia una disabilità fisica, cioè la manifestazione … le attivazioni, diciamo, sono le stesse? Sono le stesse, è evidente che sono le stesse. Il più delle volte, quando c’è la disabilità fisica e ancora di più se è psichica le reazioni sono proprio quelle molto più vicine a quelle del neonato, per esempio; anche perché le altre influenze sono molto meno forti.
D - Ma perché di solito sono di più i bambini a piangere, rispetto agli adulti? D - Perché è l’unico mezzo che hanno per comunicare. Anche quello, certamente.
D - Oltretutto, chi ha un po’ di pratica, capisce benissimo qual è il pianto della fame, o il pianto del sonno, … è un linguaggio... o il pianto perché ha male …, è chiedere aiuto. È un modo per attirare l’attenzione e quando l’Io incomincia ad essere un po’ più formato, è un modo per cercare di ottenere quello che si vuole; facendo quello che fate voi abitualmente: stimolando il senso di colpa nell’altro per ottenere le cose che desiderate avere dall’altro!
D - Scusa, qual è il rapporto fra rabbia e senso di colpa che si cerca di … Se c’è una connessione … Certamente che c’è una connessione. È evidente che il senso di colpa – e mi sembra che stia stato anche detto abbondantemente – scaturisce nel momento in cui l’individuo fa qualche cosa per ottenere qualche cosa, e questo comportamento si scontra con quelli che sono gli archetipi a volte Permanenti, a volte transitori – e la comprensione dell’individuo stesso. Tanto è vero che, se ci pensate – ritornando al nostro neonato – pensate forse che il neonato, nel momento in cui esprime la rabbia, con tutte quelle movenze, tutte quelle particolarità di cui abbiamo parlato prima, questo faccia nascere in lui dei sensi di colpa? Penso proprio di no; giusto? Questo, perché? Perché non c’è ancora uniformato e quindi non può nascere il senso di colpa.
D - Posso chiedere una cosa? Parecchi anni fa, saranno almeno una quindicina, nel tentativo di curare un disturbo del sistema nervoso ho assunto dei farmaci in quantità, in dosaggi sempre maggiori, che poi non hanno portato al risultato sperato. A un certo punto, il tentativo di abbassare, appunto, il tono del sistema nervoso, mi sono accorto di non avere più il controllo su una serie di reazioni diciamo … (come dire?) … primordiali, non so, come appunto reazioni di violenza … come se la coscienza in un certo qual modo fosse stata assopita, … Si liberasse l’Hyde che è in te.
D - Sì, ma mi chiedo: la rabbia porta a delle reazioni in cui sembra che ci sia un collegamento fisico diretto tra questa parte – l’Hyde, come dicevamo prima – per cui ci si trova a reagire e a fare delle cose che non si penserebbe mai di fare. In maniera anche spropositata e sproporzionata allo stimolo; certamente.
D - Più di recente mi è successo, per una frazione di secondo, di trovarmi a pensare a dei gesti (..?..) che non avrei mai pensato di essere possibile pensare! (scusa il gioco di parole) Io cercavo di vedere se c’era un collegamento tra queste due cose; cioè tra questa situazione in cui l’attenuazione diciamo della coscienza porta a dei gesti diciamo violenti, primordiali, e la reazione – magari anche di una frazione di secondo – tale da portarti a subire … Vedi, io non parlerei di attenuazione della coscienza, perché così si potrebbe intendere che la tua coscienza ad un certo punto si assopisce,… D - Ecco, un farmaco può provocare …? … cosa che in realtà non accade.
D - Non è possibile. Assolutamente non accade. Per aver una parziale risposta a quello che tu chiedevi, io direi di ricordarci che cos’è la rabbia: è un picco; giusto? Cosa significa che è un picco? Significa che investe con un picco vibrazionale molto forte tutta la parte incarnata dell’individuo. Giusto? Ora questo cosa significa ancora? Significa che questa forte vibrazione attraversa tutti e tre i corpi inferiori dell’individuo e, attraversandoli con una certa forza, una certa potenza, è come se quello che incontra fossero dei birilli che vengono buttati da una parte perché questo picco di vibrazione ha bisogno di esprimersi. Ecco che questi birilli che vengono di volta in volta abbattuti sono le varie barriere che vengono poste dalla coscienza, o dall’Io, o dalle vibrazioni degli archetipi, e che vengono soppresse temporaneamente dalla violenza del picco. Ti sembra chiaro?
D - Sì sì sì sì. Ma questo picco può arrivare al punto da andare a smuovere, diciamo, questa «parte oscura» dell’individuo? Sì, certamente, può arrivare al punto … Più che andare a smuovere, può arrivare al punto di lasciare che trapeli in qualche maniera, però ricordati che il picco un po’ alla volta svanisce e, quindi, tutti i birilli ritornano a posto e la parte oscura ritorna nella posizione che le compete.
D - Ecco, ma questa parte oscura c’è sempre e comunque, indipendentemente dall’evoluzione dell’individuo? Cioè, può essere sollecitata anche una persona che è all’ultima incarnazione? Teoricamente sì. Ricordate che nella catena genetica – come avevamo detto in passato – ci sono tutti i geni, tutte le possibilità; e quindi l’individuo, in realtà, ha tutte le possibilità, sia di essere buono che di essere cattivo, di essere dolce come di essere duro, e via e via e via e via.
D - Scusa un attimo, tornando al discorso del farmaco, ma è possibile che un farmaco possa portare in superficie questa parte, attenuando il controllo della coscienza? Direi di no. Direi di no o, quanto meno, può forse aiutare al venire a galla di determinate pulsioni, ma non riesce a mantenerle stabili; e quindi può esserci un affacciamento temporaneo di queste pulsioni, che però presto ritorna indietro.
D - Scusa, potrebbe essere una giustificazione il fatto di avere – proprio per ragioni farmacologiche – un’attenuazione dello stato fisico, dell’energia fisica e, quindi, il picco delle energie passa in modo più violento? Sì, questo sì, questo può essere.
D - La nonna, che sembra non interagire più, si arrabbia? Come manifesta la sua rabbia sul piano fisico? Tormentando la camicia da notte, o il vestito, o le mani, o la coperta della poltrona. Quindi diventa un’espressione della rabbia semplicemente a livello tattile, non come reazione delle altre componenti, come può essere il corpo astrale o il corpo mentale, che sono in grande parte ormai già scollegati da quello che è l’insieme della persona nota (diciamo così).
<i>D - Tipo mangiarsi le unghie? Una persona che esprime la sua rabbia mangiandosi le unghie. Ah, anche quello è un sintomo di rabbia e rientra nell’autolesionismo, così caro alla nostra amica L.!
D - Ma anche il nervosismo è dovuto alla rabbia? Può essere dovuto anche alla rabbia, sì: può essere una conseguenza; poi, chiaramente, ognuno di voi – come dicevo prima – la rabbia la esprime a seconda delle proprie necessità, delle proprie comprensioni o incomprensioni; quindi chi lo esprime diventando freddo, chi lo esprime diventando nervoso.
D - Ma la rabbia è per forza essere un’emozione negativa? Non ci può essere, non so, la rabbia verso un problema, in merito alla forza di ’affrontarlo, una rabbia buona, diciamo? Ci può stare? Diciamo che ci può essere la rabbia … meno arrabbiata (non saprei come definirla!); la rabbia, per esempio, che prova l’individuo verso qualche ingiustizia che vede, di fronte alla quale si trova impotente a reagire, a fare qualche cosa per modificarla. Questo è un tipo di rabbia, diciamo, «più evoluto», però è sempre e comunque un picco che si manifesta perché l’individuo non ha compreso qualche cosa, perché altrimenti questa rabbia non uscirebbe.
D - Come quella rispetto a mio padre? Beh, quella forse è una rabbia più complessa di quella di cui stiamo parlando.
D - In che senso, scusa? Coinvolge tanti altri motivi in più. Però se tu vedi un’ingiustizia nel mondo, supponiamo le migliaia, i milioni di bambini che muoiono in Africa e, se ci pensi, hai una certa coscienza, ti viene un momento di rabbia perché pensi: «Queste multinazionali, queste case farmaceutiche, queste grandi nazioni sanno quello che sta succedendo, potrebbero fare qualcosa e non fanno niente» (giusto?); è una cosa giusta e, sotto un certo punto di vista, anche apprezzabile che possa venire questa rabbia. Ciò non toglie che se si manifesta, si presenta come rabbia, questo significa che c’è qualche cosa che tu devi ancora capire, perché altrimenti non ti arrabbieresti; ti renderesti conto che quello che capita, capita prima di tutto perché è scritto e giusto che deva succedere, secondariamente perché queste persone, questi bambini, purtroppo devono vivere del tutto l’esperienza; e ancora che, per esempio, tutte le altre persone sono sollecitate da questo stesso pensiero per arrivare a modificare un pochino il loro comportamento e, tutti assieme, un po’ alla volta cambieranno la loro evoluzione. Quindi ha tutto un perché, tutto rientra nella logica e la rabbia non è una cosa alla fin fine poi tanto giusta neanche in questi confronti; è molto più giusto allora fare una piccola cosa per cambiare una piccola situazione, magari partendo da vicino, senza guardare i bambini dell’Africa.
D - Però, scusami, è l’emozione che è positiva o negativa, o è «l’uso» che ne facciamo poi noi? È l’uso che ne facciamo.
D - Perché l’emozione è quello che è; punto. Poi siamo noi che ci facciamo travolgere o meno da … Certamente, certamente.
D - Quindi, si può dire che la reazione di rabbia è una reazione, alla fin fine, dell’Io, perché non riesce ad accettare o non riesce ad affrontare, o non vuole, o non può, quello che la vita gli mette davanti? E questo – come dicevo all’inizio – verrà affrontato quando parleremo dei rapporti tra la rabbia e l’Io. Cerchiamo di non mettere troppa carne al fuoco, perché già stiamo facendo confusione così. Penso che siate tutti un po’ stanchi, quindi direi che per questa sera, come assaggio, come inizio, possa bastare. Quindi, creature, per questa sera, serenità a voi. (Scifo)
La pace sia con tutti voi, figli. Prima di salutarvi, volevo portare a tutti quanti il mio saluto e la mia benedizione, ricordandovi che noi vi siamo e vi saremo comunque sempre accanto. So che molti di voi hanno sofferto per l’apparente sensazione che noi li avessimo abbandonati, e questo era largamente prevedibile, ma siate consapevoli che così non è. È stato, molto più spesso, vero il fatto che siete stati voi ad abbandonarci, piuttosto che noi ad abbandonare voi. Ogni volta che sapevate quello che dovevate fare, perché noi ve lo avevamo detto, e non avete avuto la forza di farlo; ogni volta che avreste potuto donare un sorriso e invece avete preferito girare il volto dall’altra parte per manifestare la vostra rabbia; tutte le volte che fate malvolentieri quello che la vostra società magari vi chiede di fare per poter condurre la vostra vita; tutte le volte che vi guardate intorno e non scorgete quelli che sono veramente i bisogni degli altri ma soltanto i vostri, che chiamano, che premono, che chiedono urgenza, attenzione e rispetto, quando voi urgenza, attenzione e rispetto verso gli altri così difficilmente siete capaci a tenerli nelle vostre mani. Noi, figli, siamo accanto a voi e aspettiamo che voi arriviate a comprendere veramente quello che in tutti questi anni vi abbiamo detto; sappiamo che la strada è difficile, sappiamo che vivrete ancora momenti di difficoltà, di dolore, di sofferenza, ma sappiamo anche che, prima o poi, noi vi vedremo accanto a noi sorridere felici. Noi siamo contenti di ritrovarci, ancora una volta, assieme a voi per rinnovare questo incontro tra mondo invisibile e mondo visibile come abbiamo detto spesso negli anni – eppure, ogni volta, in qualche maniera, pur mantenendo la sua coerenza, risulta alla fin fine essere diverso da una volta all’altra: diversi i partecipanti, diversi i nostri interventi, diverso l’ambiente in cui interveniamo. Questa diversità a noi fa piacere, fa molto piacere, perché vi dà la possibilità di non ristagnare in quelli che sono i vostri rapporti con noi; perché vedete, creature, noi non vorremmo che voi che siete presenti, qui, questa sera, commetteste gli stessi identici errori che sono stati commessi per anni dagli altri componenti del Cerchio, che ci hanno alla fine costretti a chiudere gli incontri con quelle persone. Una delle cose a cui più facilmente, quando si è incarnati, si finisce per andare incontro, è quella dell’abitudine. Noi non vorremmo che questi incontri diventassero per voi un’abitudine, un essere presenti tanto per essere presenti, una sensazione che tutto ciò che viene detto o fatto, tutto ciò che noi vi possiamo dare o al limite togliere, sia qualche cosa che comunque vi è dovuto e comunque sarebbe successo. Non è così; nulla di quanto accade in queste riunioni è un atto dovuto nei vostri confronti; è semplicemente un nostro porgervi la possibilità di cercare di addentrarvi un po’ più profondamente in quello che voi siete e di cui voi non vi rendete conto. È per questo motivo che, negli anni, più volte abbiamo rivolto l’esortazione a chiedervi: «Perché siamo qua?». Le risposte sono sempre molte, una diversa per ognuno di voi: c’è chi è qua per curiosità, c’è chi è qua perché cerca di comprendere qualcosa, c’è chi è qua per fuggire la normalità della propria vita, c’è chi è qua per cercare di trovare un angolo in cui allontanare le sofferenze o le difficoltà che la vita ogni giorno gli propone. Per carità, sono tutti motivi giusti, belli e validi, che ognuno di voi deve sentire dentro di sé perché deve avere la spinta verso la ricerca di qualche cosa di migliore e di diverso; però noi vorremmo che, sopra a tutti questi perché, ci fosse principalmente il desiderio di trovare una verità interiore che non conoscete, di fare lo sforzo di andare oltre a quello che la vostra conduzione della vita sembra non riuscire a insegnarvi; vorremmo, insomma, che voi, poco alla volta, riusciste a trovare quei pezzettini di verità di voi stessi che, soli, rendono la vostra vita degna di essere vissuta. Essere qua, quindi, non per fare atto di presenza, o per in qualche modo gratificare o calmare o soddisfare il vostro Io, ma essere qua per cercare di ottenere da voi stessi qualcosa per voi stessi e, di conseguenza, anche per chi vi sta accanto. Ora, quando in queste riunioni noi vi veniamo a parlare ultimamente, vi poniamo degli argomenti in qualche maniera diversi, posti in maniera diversa da come facevamo in passato; questo perché vorremmo che – visto che gli incontri sono più rari del passato – voi, nel tempo che passa tra un incontro e l’altro, cercaste di approfondire un po’ di più, di capire un po’ di più di quello che vi è stato detto, in modo tale da poter riflettere su voi stessi; perché quando vi diciamo: «Per alcuni incontri parleremo della rabbia» non parliamo della rabbia di chi vi sta accanto, ma parliamo della vostra, e lo facciamo perché arriviate a guardarla direttamente e riusciate, quindi, a comprendere qualche cosa di più di voi stessi, dei vostri movimenti, delle vostre necessità. Ultimamente, il primo argomento che è stato affrontato è stato la rabbia riguardante l’espressione fisica, il corpo fisico, e quasi tutti avete lasciato poi alla fine cadere l’argomento, non trovando nessuna curiosità nella cosa; e, anzi, quando qualcuno ha proposto qualche cosa di un po’ più approfondito, il discorso è caduto nel silenzio. Noi vorremmo che vi domandaste il perché di questo. Evidentemente non vi interessa comprendere, evidentemente non volete veramente capire perché reagite in un determinato modo, evidentemente fate fatica a ignorare quello che altri possono pensare. Queste sono solo ipotesi che sto facendo, non è che si tratti di verità; anche perché la verità non è la stessa per tutti voi; ognuno di voi ha la sua verità, così come certamente ognuno di voi avrà mille giustificazioni per quello che ho appena detto: i problemi della vita, l’impegno, la famiglia, le malattie, e via dicendo, però voi sapete benissimo – lo abbiamo sempre detto e da tempo ne siete consapevoli – che se veramente si vuole qualche cosa, il tempo, la volontà, la voglia per farla si deve saper trovare; altrimenti è inutile venire qua a scaldare una seggiola, portando magari via il posto a qualcuno che ne avrebbe più bisogno o avrebbe più volontà, più buona volontà per mettere in atto questo processo di apprendimento che va dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno, verso la comprensione di se stessi e della Realtà. Con tutto il mio amore vi saluto, che la pace sia con tutti voi, figli. (Moti)
Creature, serenità a voi! Non vi abbacchiate troppo, creature, mi raccomando! Il nostro discorso non è per buttarvi giù il morale, ma per darvi la spinta a cambiare; altrimenti, se lasciamo le cose in mano vostra, sapete benissimo come poi va a finire; quindi è molto meglio dare una piccola scossina all’inizio, prima che le cose diventino poco simpatiche o poco utili, come è accaduto in passato.
D - Allora, se si poteva continuare con quello che in qualche maniera era stato sospeso sull’altra seduta, eventualmente sulla rabbia; come mai che l’aggressività è legata alla rabbia, come mai non sempre si manifesta sul piano fisico, … se è inerente all’argomento che volevi portare questa sera. D’accordo che la rabbia è un’emozione, e l’aggressività è un’emozione, però vorrei prima restare ancora un po’ sulla parte fisica; che – chissà perché – sembra non vi interessi! È una cosa che non riusciamo a comprendere: ma perché non vi deve interessare come manifestate la vostra rabbia?! Vi rendete conto che molte volte siete arrabbiati, la manifestate e non vi rendete neanche conto di manifestare la vostra rabbia? Questo vuol dire che non vi conoscete! Non conoscete non soltanto quello che avete all’interno, ma neanche quello che portate all’esterno! Non vi rendete conto che, magari, manifestate delle emozioni, senza rendervene conto, e queste influiscono sugli altri e gli altri non capiscono cosa sta succedendo! Se non riuscite a capire quello che manifestate e quando lo manifestate, come fate poi a decodificare i segnali che vi arrivano da parte degli altri? Ah, ma siete più interessati a decodificare quello che sta facendo l’altro. Dimenticavo!
D - Eheh, non sarei così pessimista adesso, secondo il mio punto di vista! Dicevi della manifestazione che noi abbiamo nei confronti della rabbia e che manifestiamo nel piano fisico, magari anche il silenzio, magari ostentare il silenzio; oppure, che ne so, … cambiare discorso, magari, per non dare soddisfazione all’altra persona … Ci sono diversi aspetti … Impallidire, diventare come un peperone, sudare, balbettare, …
D - Però, scusami, ma questi sono sintomi sempre di rabbia o sono altri aspetti che possono dare gli stessi sintomi? Perché non sempre – per quanto mi conosco io … (e quindi, va be’, abbastanza … così) – non sempre è legata alla rabbia questa manifestazione, ci sono altri aspetti che a volte hanno le stesse caratteristiche. Diciamo che, chiaramente, qualsiasi emozione non si manifesta mai da sola, ma è sempre accompagnata da un corollario di altre emozioni che, sulla spinta delle vibrazioni di quelle emozioni, tendono a manifestarsi. Quindi – che so io? – giusto il balbettare (mettiamo) può certamente essere sintomo del fatto che uno è talmente teso, è talmente arrabbiato che non riesce a esprimere coerentemente delle parole, ma può anche contenere altre spinte di altri elementi; ad esempio l’imbarazzo, per esempio la paura, e via dicendo; però, principalmente, diciamo che potrebbe essere aggressività. Visto che si sta parlando di aggressività, parliamo dell’aggressività.
D - Sì, aggressività e rabbia … Un metodo per scaricare la mia rabbia è quello di fare movimento fisico; cioè ho bisogno immediato di fare del movimento fisico; anche solo muovere le gambe, però staccare. Ecco, questa è una mia reazione di fronte sia alla paura, sia alla rabbia. Poi, legato a questo, … Aspetta, fermati un attimo su questo. Ricordati quello che è legato a questo, che lo riprendiamo subito dopo. Questo può essere un tentativo da fare, cioè capire perché, per Marisa, il movimento fisico l’aiuta a scaricare la rabbia; qual è la motivazione psico-fisiologica – diciamo così – per cui riuscire a essere in attività finisce per attenuare il picco della rabbia. Vedi che ci sono due componenti fondamentali: intanto la componente fisiologica, pura e semplice. Quando nasce la vostra rabbia nel vostro corpo fisico, e si manifesta poi all’esterno di voi stessi, questo porta con sé anche dei sommovimenti a livelli fisici, fisiologici, con la corruzione o l’inibizione di determinate sostanze (è inutile entrare nel merito, perché diventerebbe troppo tecnico, e non è poi così importante la cosa) che favoriscono la possibilità all’individuo di esprimere nel mondo fisico questa condizione di rabbia. Sono sostanze, però, che non hanno una lunga vita, ed ecco che il movimento messo in atto dalla figlia Marisa permette – attraverso il contrasto provocato nel movimento tra l’azione (che provoca per esempio scariche di adrenalina aggiuntive) provoca il decadimento più veloce di tutte quelle, chiamiamole «tossine» della rabbia che sono nate al vostro interno per permettere il manifestarsi della rabbia. Questo a livello fisiologico. A livello, invece, vibrazionale, ricordate che fare del movimento è in realtà mettere in moto tutta una serie di vibrazioni all’interno del corpo; giusto? Questo cosa comporta, secondo voi? La rabbia – noi sappiamo che la vibrazione è un’emozione che arriva vibratoriamente abbastanza forte, con un picco improvviso che non ha una lunghissima durata però una certa durata, e che attraversa l’individuo cercando di sfociare poi all’esterno, nel mondo esterno, nel mondo fisico. Ora, la presenza – attraverso il movimento – di queste ulteriori vibrazioni aggiuntive, cosa fa? Pensateci un attimo; vediamo se trovate la soluzione voi. Secondo me è lampante, evidente, che cosa faccia.
D - Fa come un … Riequilibra completamente. Sì, … diciamo in qualche modo sì; ma, per essere più precisi, più che riequilibrare va ad influire sul picco vibratorio e lo colpisce modificandolo in qualche maniera; e, quindi, fa sì che il picco vibratorio ritorni a livelli normali e, quindi, la rabbia perda gran parte della sua nocività per l’individuo e per chi sta accanto a quell’individuo. Vedete quante cose ci sono da pensare, se uno ragiona un po’ su una cosa semplice come quella che ha detto l’amica? Vai avanti.
D - La domanda che mi son posta è: perché cambiando l’ambiente, cambiando la situazione, questi canali che si aprono (che si aprono, presumo, per l’idea che mi son fatta, fin da bambina) poi rimangono attivi in qualche maniera, perché il fisico, di fronte a determinate azioni esterne (o parole, o quello che è esterno) di primo impatto ha la stessa reazione. Cioè, penso che non sia il fisico, comunque il picco di rabbia si alza nella stessa maniera, è sempre perché è legato a qualcosa che non si ha ancora compreso, oppure anche se si è compreso si riesce a riequilibrare prima questo picco? … È perché il fisico è abituato anche a …, subentra un’abitudine ad agire nella stessa maniera? Cerchiamo di ricordare un attimo quanto è stato detto qualche tempo fa a proposito del carattere e della personalità. È chiaro che la persona facilmente irosa, che si arrabbia facilmente (perché, se ci pensate, ognuno di voi ha una diversa facilità, possibilità, capacità di arrabbiarsi; no? C’è chi si arrabbia di più, chi si arrabbia di meno, chi prova indifferenza, chi riesce a tenere a freno; ognuno di voi reagisce in maniera diversa) questo significa che c’è qualche cosa di diverso per ognuno di voi, e questo cos’è? È il carattere che avete alla base. A seconda di come le caratteristiche della vostra rabbia sono scritte nel vostro genoma, la rabbia tenderà a manifestarsi e questa sarà una costante per tutta la vostra vita. Ecco perché di fronte a determinati stimoli, voi comunque reagirete sempre e comunque arrabbiandovi.
D - E questo è consolatorio, perché … Non per dire «Oh, allora va bene così», ma perché a volte mi arrabbio e poi magari riesco ad osservarmi e rido di me stessa; perché anche se mi cade un bicchiere ho la stessa reazione; quindi rido di me stessa, riesco a ridere! Però dico: «Ma perché, per una sciocchezza del genere, ho una reazione analoga a qualcosa di più concreto?», ecco. Vedi, la risposta c’è in quello che ti sei appena detta, perché il fatto che la tua rabbia sia presente e tende a manifestarsi sotto determinati stimoli, ti spinge a chiederti il perché! Ricordate che tutto è funzionale alla vostra comprensione, alla vostra acquisizione di comprensione, di evoluzione. Ecco, quindi, che la persona che esprime in maniera accentuata la rabbia, lo fa perché nel suo carattere è scritto che deve possedere questa qualità perché deve comprendere cose che sono legate a questa qualità. E fin qua, penso che possiate tutti comprendere; che siate tutti d’accordo; giusto?
D - Nel momento in cui, posto che ci sia il carattere che, in qualche modo, convoglia la nostra rabbia in maniera quasi automatica in certe manifestazioni piuttosto che in altre, nel momento in cui interviene questa comprensione, presa questa coscienza, questa consapevolezza innanzi tutto di quello che sta accadendo e poi magari la comprensione di quali sono i meccanismi per cui si arriva a riuscire a ridere del fatto che, guarda caso, mi viene da arrabbiarmi sia se mi cade il bicchiere, piuttosto che se mi capita qualcosa di un pochino più serio, questo porta in qualche modo a far sì che non ci si arrabbi più, o comunque a modificare – per rimanere sul fisico – la manifestazione fisica della rabbia o ad attenuare il picco? Mi sono spiegata? Sì, certamente. Ma diciamo che, con l’acquisizione di elementi di comprensione, certamente le vostre possibilità poi di moderare, mediare la fuoriuscita della vostra rabbia aumentano, chiaramente. Questo, perché? Perché le comprensioni che avete nel frattempo raggiunto, grazie all’esperienza della rabbia manifestata, fanno sì che la vostra rabbia, quella reazione emotiva che è scritta nel vostro carattere, non abbia più la stessa influenza, la stessa importanza di prima, perda un po’ di spinta; ed ecco, quindi, che verrà manifestata più raramente e in maniera diversa. E interverrà quindi, a quel punto, una modifica anche della personalità, cioè del modo in cui voi esprimerete la vostra rabbia. Se voi guardate l’esempio più semplice che ci sia, l’esempio del bambino di pochi mesi: si arrabbia, eccome se si arrabbia, al di là dell’idea dell’angelo biondo con gli occhi azzurri che hanno tutti dei neonati, ma non è così. Il bambino di pochi mesi s’arrabbia furiosamente e, se ci fate caso, quando si arrabbiano, i bambini così piccoli esprimono la rabbia tutti allo stesso identico modo. Avete presente come reagiscono i bambini? Reagiscono tutti allo stesso identico modo. Questo, perché? Perché non vi sono ancora altre influenze di nessun tipo; il carattere esce fuori spontaneamente, la personalità non è ancora formata ed è quindi la manifestazione della rabbia pura e semplice, diciamo più elementare, più animalesca che si possa trovare. Quando invece le cose cambieranno, e il bambino diventerà adulto, vi saranno le comprensioni che modificheranno un pochino questa spinta della rabbia ed ecco che la rabbia allora si manifesterà in maniera diversa, un po’ alla volta, a seconda di quanta comprensione c’è stata nel frattempo; fino a quando quello che noi abbiamo definito «un dono», la vostra capacità di arrabbiarvi, resterà all’interno del vostro carattere ma non sarà più una cosa attiva, che esploderà all’improvviso, ma sarà qualche cosa che verrà usato per comprendere che cosa? Per comprendere la rabbia degli altri.
D - Quindi, in sostanza, possiamo arrivare a modulare la nostra rabbia comprendendola; cioè mentre prima uno lasciandosi andare diciamo a quello che sente dentro, eventualmente se è iscritto nel proprio carattere, sarebbe sempre a mille, può imparare a modularlo … per cui se ti cade il bicchiere magari ti arrabbi a 10, se ti capita invece qualcosa di grave ti arrabbi a 1000. Ecco, impari a modularla perché impari a vederla. Certamente, certamente.
D - Però una delle caratteristiche proprio fisiche della rabbia è che, quando avviene il picco, è come se la parte fisica, o istintiva, o comunque quella meno razionale che si può controllare prendesse il sopravvento sulla nostra capacità di modulare, di frenarci, anche solo. Questo accade per brevi attimi se, intanto, il cammino verso la comprensione è andato avanti; invece accade per attimi più lunghi – e può anche diventare violenta, a quel punto; e si spiegano, ad esempio, gli omicidi sotto la spinta della rabbia (no?) cosa che, altrimenti, una persona magari non avrebbe mai fatto se la rabbia fuoriesce senza nessuna mediazione, senza che vi sia stato nessun elemento che abbia attenuato questa manifestazione del picco.
D - Ma se quando uno sente il picco che sale, fisicamente si sente il «montare la rabbia» (d’altra parte, si dice) e quindi si diventa come spettatori di ciò che sta accadendo, perdendo man mano la possibilità di gestire, di controllare, e può prendere il sopravvento quest’onda! D - Beh, però se tu ti rendi conto che ti stai arrabbiando tantissimo perché ti è caduto un bicchiere, tu puoi dire: «Ma no, è caduto solo un bicchiere!» e, quindi, razionalmente, dire: «è una stupidaggine» e metterti invece a ridere! Ma, al di là di questo, non dimenticate che le cose non sono così semplici ma ci sono anche altre emozioni, assieme, e poi dimenticate sempre l’importante funzione degli altri! Certamente che c’è la rabbia che vi fa salire il sangue alla testa, e poi non capire più niente e tendere a fare cose spropositate, però ci sono tutti i limiti imposti anche soltanto dalla presenza di una persona che ti è accanto, che magari subirebbe la tua rabbia e a cui tu vuoi bene. O che la fomenta. Molte volte, istigare una persona arrabbiata può essere utile, non è detto che sia sempre dannoso. Pericoloso, questo senza dubbio; però, molte volte, per il fatto di sentirsi istigata, la persona arrabbiata si rende conto di quello che può succedere più improvvisamente e, allora, il picco improvvisamente si blocca e scema dolcemente. Volevo sottolineare che, probabilmente, avete perso quello che ho detto poco fa; e che, secondo me, è una cosa grandiosa e che dimostra quanto Colui che tutto ha creato ha tenuto conto dell’economicità di qualsiasi elemento che vi ha fornito per comprendere. Io avevo detto che, nel momento in cui la vostra rabbia nel vostro carattere viene compresa, diventa «un dono»; e voi direte: «Ma come può essere considerato un dono il fatto di avere nel proprio carattere scritta la capacità di arrabbiarsi?!» … Diventa un dono perché voi, conoscendo la vostra rabbia, a quel punto potete comprendere e aiutare nel modo migliore quelli che esprimono rabbia. Ecco, così, che quello che appartiene a voi, a quel punto, diventa un aiuto per quelli che sono all’esterno di voi; e tutto ritorna al tentativo di riequilibro che tutto l’universo cerca sempre di mettere in atto.
D - Ricapitolando (per mio consumo, diciamo così; per mia immagine mentale): una persona ha un carattere iroso, attraverso questo tipo di caratteristica la esprime sul piano fisico, acquisisce brandelli di comprensione finché ha capito la sua rabbia e questa rabbia viene iscritta sempre nel suo carattere come un dono che magari – appunto come dicevi – gli permette di conoscere la rabbia degli altri. C’è solo un’imprecisione: non viene inscritta nel suo carattere perché nel suo carattere è già inscritta; semplicemente perde la spinta a manifestarsi, pur restando all’interno; però il fatto che resti all’interno, a quel punto, è qualche cosa di conosciuto, quindi qualcosa che tu puoi usare a favore degli altri, nel tuo rapporto con gli altri.
D - Io non riesco a capire il passaggio! D - Praticamente non sei più in balia della tua rabbia, ma la sai gestire come qualsiasi altra cosa, del resto. Una volta che si riesce a comprendere un qualcosa di noi stessi, si diventa in qualche maniera padrone di questa cosa. Potrebbe essere legato a questo; no? D - Posso? Perché quello che secondo me si fa fatica a capire … Tu prima hai detto che, comunque, se nel tuo genoma sono scritte determinate cose, queste cose ti fanno sempre arrabbiare (no?) Ok, quindi è la manifestazione della rabbia che cambia? Sempre a meno che tu non abbia compreso, chiaramente, eh: nel momento in cui c’è la comprensione, si trasformano in «doni», invece che in spinte.
D - Ecco, e questo … Faccio fatica a collegare questa … Non so … Forse perché noi abbiamo una concezione della rabbia che la etichettiamo come negativa, e quindi faccio fatica a fare questo passaggio del farla diventare un dono. Cioè, nel senso … Quello che prima mi faceva arrabbiare, nel momento in cui … Nel momento in cui tu hai compreso, non ti fa arrabbiare più!
D - Potrebbe essere che, a un certo punto, invece di farti arrabbiare, magari ti fa ancora innervosire però, avendo compreso la maggior parte, riesci a controllarti e magari manifestare non la rabbia ma qualcos’altro di diverso, che può essere utile alla persona che hai davanti. Diciamo che, senza dubbio, nel momento in cui si è compresa la rabbia, la rabbia è impossibilitata a manifestarsi con dei picchi.
D - Però può esserci sempre del nervosismo, comunque. Certamente può esserci di sottofondo una caratteristica tipica dell’individuo che si manifesta poi attraverso la personalità, nel suo modo di esprimersi, che può essere tendenzialmente «ombroso» (tanto per dire) però non avrà più i picchi tali per cui la sua rabbia si manifesterà in maniera violenta, compulsiva e via dicendo. Non soltanto, ma – ripeto – poiché la rabbia, da un individuo in queste condizioni, è stata compresa, egli avrà una maggiore possibilità e capacità di comprendere la rabbia altrui. E poi, comprendendo la propria rabbia e facendo un parallelo tra la propria e quella altrui, avrà anche una maggiore possibilità di aiutare l’altra persona a comprendere la «sua» rabbia.
D - Scifo, faccio un’altra domanda: tu hai parlato della rabbia come vibrazione principale che si porta dietro, però, nel momento in cui arriva a manifestarsi, anche tutto un altro corollario di vibrazioni e quindi di emozioni. Per ciascuno di noi ci sarà una causa scatenante principale, e poi tutta una serie di altre. Nel momento in cui noi ci osserviamo, cosa dobbiamo fare? Lavorare sulla rabbia principale, cercare di distinguere, … cioè qual è un meccanismo che possiamo utilizzare per riuscire a, in qualche modo, disinnescare la bomba? Direi che la cosa primaria da farsi è proprio quella di disinnescare la bomba, ovvero lavorare sul picco che state per manifestare. Tutte le altre vibrazioni comprimarie, diciamo, che accompagnano la vibrazione principale che sta per manifestarsi attraverso il picco sono soltanto degli addentellati, quindi son vibrazioni molto inferiori al picco.
D - Che, però, possono rappresentare la differenza; come si diceva prima, quando dicevi «c’è un ambiente diverso»; se hai accanto una persona che tende ad avere un effetto calmante, contenente sulla tua rabbia, o una persona che ti provoca, la stessa situazione può evolvere in modo diverso … Come sarebbe diversa se tu ti arrabbiassi quando sei da sola! Sarebbe importante, per esempio, che voi incominciaste a cercare di notare come reagite diversamente quando siete da soli o quando siete con altre persone, e vi arrabbiate in entrambi i casi.
D - ANoi parliamo di rabbia come il picco in cui uno si arrabbia, sì; però se parliamo poi di rabbia che si trascina, quindi che non è la rabbia del picco momentaneo, che non so cos’è: frustrazione, rabbia non espressa, oppure rabbia che uno ha con se stesso che non riesce a risolvere … Ecco, questa qua è una cosa interessante, perché poi potreste dire: «questa è un …. Nel momento in cui vi viene la rabbia, la rabbia vera e propria e reagisce in qualche maniera, in maniera abbastanza forte, però ci sono tutte quelle rabbie che si protraggono nel tempo; alla fin fine non hanno mai dei grossi picchi, però restano sotto-sotto come qualcosa che continua a rosicchiare l’anima (che ne so?) un figlio che si allontana, e via e via e via … È che, a quel punto, non è più la rabbia l’emozione principale, la rabbia è soltanto un’emozione che accompagna tutto l’insieme delle altre emozioni che accompagnano la situazione. Questa è la differenza. Mentre per la rabbia di cui parlavamo prima il picco è la rabbia, e la rabbia è certamente l’interprete principale di quello che sta succedendo, nei casi in cui la rabbia sembra che si protragga nel tempo, nei giorni, o magari anche a lungo, anche per degli anni, questo accade perché la rabbia non è l’elemento portante di quello che interiormente si sta smuovendo, ma è un insieme di cose, nessuna delle quali riesce a prendere il predominio e che si vivono, alla fine, con una reazione di rabbia anche come meccanismo di difesa; perché ricordate che la rabbia è anche un meccanismo di difesa, in taluni casi.
D - Però, in questi casi in cui la rabbia è prolungata nel tempo, il ciclo di queste sostanze legate alla rabbia, … cioè si sciolgono normalmente ma non hanno effetto sul fisico oppure sì? Ma diciamo che in questo caso di rabbia prolungata nel tempo le sostanze che si creano sono molto poche, sono quelle che si creano all’inizio ma poi, col passare del tempo, la sensazione di rabbia continua a persistere ma è più che altro un’abitudine ormai che si è creata. Si pensa a quella determinata cosa e sorge la rabbia perché si rivive la situazione, ma non è che si crei veramente una risposta rabbiosa a quello che si sta vivendo, perché non si sta vivendo in quel momento la situazione. La situazione che provoca la rabbia non è un qualcosa che hai davanti e con cui tu puoi reagire; è qualche cosa che ti porti avanti come ricordo. Capisci? Quindi, la cosa è diversa dalla manifestazione di rabbia come reazione a qualche cosa che sta succedendo.
D - Quindi la rabbia del picco è più legata a un evento singolo? La rabbia del picco è più legata a qualcosa di immediato.
D - Esatto; mentre quella che si protrae nel tempo è ben più complicata quindi da analizzare. Sì, a volte può complicare, perché può essere (giusto come diceva l’amica) vendetta, potrebbe essere rancore, potrebbe essere delusione, potrebbe essere paura, potrebbe essere tante altre cose …
D - Anche odio? Potrebbe essere anche odio; … tante altre cose che si accompagnano a questa condizione che l’individuo preferisce definire rabbia perché, tutto sommato, gli fa meno paura che vedere tutte le altre emozioni che l’accompagnano.
D - Ma in un caso del genere, uno come fa a … Se non ricordo male, ci avete sempre detto che quando si hanno dei problemi, è meglio cercare di non affrontare tutta la matassa insieme, ma di prendere un pezzetto alla volta. Se io mi trovo di fronte a una situazione del genere, io come faccio a fare ordine nel cercare di capire tutto quello che c’è dietro a quella che io chiamo rabbia e che in realtà è una cosa che si protrae nel tempo? Eh, diventa una cosa complicata, veramente complicata! Anche perché, essendoci tutto questo insieme di emozioni diverse che si uniscono tra di loro e non essendoci la situazione presente che scatena la rabbia, ma essendo basata su un ricordo – che, al limite, può essere anche un falso ricordo, perché voi non sapete in realtà se il motivo per cui siete arrabbiati è basato su qualcosa di reale, che veramente meritava la vostra rabbia, o se è stata una vostra reazione per il vostro Io ferito allora, non avendo tutti questi elementi qua, l’unica cosa che potete fare è cercare di tenere sotto controllo la situazione; e in che modo? Attraverso la mediazione del vostro mentale; però questo non risolverà certamente la rabbia. Per essere risolta, bisogna che la situazione che ha provocato la rabbia – teoricamente, o che non l’ha provocata ma voi pensate che l’abbia provocata – venga poi vissuta direttamente in qualche altro modo. Nel senso che quando noi vi diciamo «affrontate le cose subito, direttamente» voi le affrontiate subito e direttamente. Se rimandate le cose, vi ritrovate poi nella situazione che non avete più la possibilità di affrontarle direttamente, ed allora ecco che la vostra rabbia si protrarrà nel tempo senza poter essere sciolta, perché mancano gli elementi su cui basarsi. Ecco perché affrontare e vivere nel «qui e ora».
D - Le frecciatine che si danno alle volte alle persone, può essere una componente di questa rabbia lasciata lì? Sì, sì sì, senza dubbio. Senza dubbio; perché poi non c’è niente di più nocivo, nei rapporti tra le persone, che lasciare lì le cose che intanto lavorino sotto-sotto formando poi una specie di cristallizzazione interiore. Perché poi il risultato è quello: qualcosa che continua a girare, senza trovare uno sbocco di nessun tipo, al vostro interno.
D - Però, proprio per capire, per rimettersi nella situazione, rendere reale una situazione che magari è solo basata sul ricordo, su una percezione; non lo sai, … però quello che succede quando vai – anche in maniera cosciente – a rimetterti in una situazione per vedere cosa succede, per affrontarla, per guardarti, … non dico per risolverla, ma per avere altri elementi, … è come se partissi già con una soglia un po’ più alta di nervosismo; già parti prevenuto, già quando ti dici: “Sarò calmissimo” non è vero! E, quindi, è più facile arrabbiarsi; non è detto che poi anche lì i dati che trai dalla situazione siano effettivamente dei dati reali. Allora come fai a scindere la rabbia che può esserci nella realtà di quel momento da quel substrato di cui parlava Luca, che è un qualcosa che è più grosso, più complesso, più ramificato, più composto di varie cose, e che però ti porti dietro anche quando vai ad affrontare qui e ora la persona, la situazione che ti genera … Ma vedi, cara, un conto è affrontare la situazione perché l’ha detto Moti o l’ha detto Scifo, e un conto è affrontarla perché lo senti di affrontare! Tu stessa hai detto che parti già prevenuta; se parti prevenuta vuol dire che l’affronti perché senti di affrontarla.
D - Sì ma ho anche detto meglio di niente! E «meglio di niente» vuol dire che non l’affronti perché senti di affrontarla; la affronti «perché è meglio di niente»!
D - Sì, però, qualcosa bisogna pur fare! È sempre il tuo Io che ti sta spingendo; non è il desiderio di affrontare! O, forse, il desiderio del tuo Io è di far vedere a te stessa e agli altri che, tutto sommato, se le cose stanno così, è colpa dell’altro e non è colpa tua! O, per lo meno, è principalmente colpa dell’altro e non tua.
D - Se un bambino fa una cosa sbagliata, è giusto che io manifesti la rabbia in quel caso è controllata perché capisca che ha fatto una cosa sbagliata. Certamente.
D - E, quindi, deve avere un rimprovero. Certamente. Questo è un errore che tutti voi fate con i vostri figli, perché cercate di non fargli vedere la vostra rabbia, invece dovreste metterli di fronte alle vostre reazioni rabbiose perché, in quel modo, capiscono e si rendono consapevoli di dove possono essere i loro errori: invece voi avete paura: «Poverini, poi restano traumatizzati e poi se lo ricordano» … Certo che se lo ricordano, sarà bene se lo ricordino!
D - Ma anche di fronte a una discussione fra coppia, cioè se io ritengo che lui mi abbia fatto un … cioè mi sento non capita, o che lui non mi ascolti, è giusto che tiri fuori la mia rabbia per farmi ascoltare, per farmi capire, per chiarire la situazione del momento. Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Ricordiamoci che, essendoci due persone coinvolte, la cosa diventa doppiamente complicata per non dire quintuplicamente duplicata – perché chiaramente i fattori aumentano in maniera esponenziale essendo due persone, eh; e quindi da un caso all’altro, il modo di reagire giusto, … è difficile poi definirlo giusto … Giusto per te? Giusto per lui? Giusto per la società? Giusto per la famiglia? Giusto per i figli? Sarebbe troppo lungo poter fare una cosa del genere. Diciamo che, certamente, se c’è una rabbia nei confronti di un’altra persona, sia un compagno o una compagna, o un amico, o chiunque vogliate, sarebbe giusto, comunque sia, riuscire a esprimerla; a esprimerla magari nella maniera migliore, ma questo riuscirete a farlo soltanto quando avrete incominciato a capire una parte della vostra rabbia; altrimenti la vostra rabbia – all’inizio, se voi vedete le vostre prime incarnazioni – usciva semplicemente come picco reattivo, e ne son sempre successe di tutti i colori! Quello che fate adesso, che magari vi spaventa, è niente in confronto a quello che avete fatto in passato di fronte alle vostre esplosioni di rabbia!
D - Gli esempi fatti finora sono rapporti tra singoli; ma quando invece il rapporto è con molti, nel mio caso è la classe, l’uso della rabbia per dimostrare dissenso del comportamento (ovviamente dei ragazzi, in questo caso) quando in certe situazioni spesso c’è la ricerca di provocare la reazione rabbiosa per conoscere quelli che sono un po’ i limiti che la situazione permette, a questo punto la questione diventa complessa, cioè nel senso che la manifestazione del mio dissenso nei confronti dei ragazzi perde lo scopo pedagogico; o no? Sì sì, ma certamente. Diciamo che, in questo caso particolare, la rabbia deve avere la funzione – come dicevi tu – pedagogica, dimostrare ai ragazzi quello che stanno facendo, attraverso la tua reazione. L’importante è che si tratti di una rabbia «consapevole e governata» secondo le proprie finalità, non un’esplosione di rabbia fine a se stessa; perché allora si rivolge soltanto agli studenti, che cosa? Che «facendo un certo comportamento quelli si arrabbiano, e guarda che ridere, come si sta arrabbiando quello!».
D - Esatto, ma il problema è qual è allora la manifestazione di questa rabbia? Cioè, la nota sul registro (per fare l’esempio classico) … Purtroppo la manifestazione in un ambito scolastico non può essere che quella di usare le regole che permettono di esprimere la rabbia, quindi le punizioni, purtroppo.
D - È sbagliato? Non è sbagliato.
D - Il problema è che, appunto, i ragazzi sono arrabbiati perché devono venire a scuola. Ecco, chiaramente questo, a seconda degli anni, perché più son piccoli e più questa manifestazione verso l’esterno è palese, più son grandi e più viene dissimulata ovviamente in altre modalità. Forse la cosa migliore sarebbe fargli vedere che anche tu sei arrabbiato perché devi andare a scuola, che se potessi faresti cose che ti piacciono di più! Però, capisci, caro, in fase adolescenziale, qual è l’adolescente che non è arrabbiato? Chiedetelo al nostro amico A., qua, quante … lui sembra sempre così sereno, pacifico e sorridente, ma dentro, quante volte sei arrabbiato e non lo manifesti? Appunto! È proprio una condizione «di crociera» di quell’età!
D - Questo l’ho già capito, indubbiamente, comunque c’è il problema che questa cosa deve essere in qualche modo disciplinata; cioè nel senso che, voglio dire, sì, va bene, ma fino a un certo punto … Certo, bisogna riuscire a mostrargli delle regole, dei limiti, dei paletti oltre ai quali è giusto non andare prima di fare qualche cosa di cui poi ci si pentirebbe magari per tutta la vita!
D - Sì, lo so che è no, però voglio dire in effetti … che sia … è quello di indurre nell’individuo un calo di questo famoso picco; perché, probabilmente, l'incontrarsi di due emozioni forti (una la rabbia e d’altra parte la paura) provoca probabilmente l’annullamento di entrambi, però sul momento; poi è chiaro che queste cose è come un po’ un vulcano (no?) si rimescolano all’interno e … Teoricamente può essere vero il discorso delle due emozioni che si contrastano, ma il più delle volte non è che le due emozioni si contrastano ma si uniscono e, in qualche maniera, pur abbassando il tenore di una poi aumenta il tenore dell’altra. E allora cosa accade? Che la paura limita certamente la rabbia che stava per esplodere, però più che limitarla la inibisce. E la inibisce quando? Quando c’è la persona che ha provocato la paura. Nel momento in cui la persona non è più presente, ecco che succede che la rabbia viene di nuovo fuori e si manifesta in quei comportamenti che mi sembra che ultimamente stiano succedendo molto spesso, di bambini picchiati, o ricattati e via dicendo; ma quelle sono tutte reazioni di rabbia a quello che questi ragazzi stanno vivendo e che manifestano attraverso il bullismo con comportamenti di questo tipo, quando le persone che incutono paura non sono presenti.
D - Sì, indubbiamente; tant’è che cambia a seconda dell’insegnante; nel senso che l’insegnante che fa più paura perché la materia comunque è più importante, rispetto all’insegnante che fa meno paura perché magari la sua materia ha meno peso; no? Certo che, teoricamente, l’insegnante – mettendo in moto questi meccanismi di paura – ha la classe più sotto controllo e ha meno problemi; però forse non è quella la funzione dell’insegnante, quella di avere meno problemi lui, la funzione è quella di cercare di aiutare i ragazzi a capire, a conoscere, a studiare e avere loro meno problemi; perché sono loro quelli che hanno bisogno di aiuto.
D - Sì sì, no, il problema appunto è che comunque loro una valvola di sfogo la cercano e chiaramente la utilizzano dove sanno che possono in qualche modo poterlo fare. Capisco che uno possa svolgere la funzione sociale anche in questo senso, però nella dinamica complessiva, se le valvole di sfogo son troppo poche, lo sfogo diventa eccessivamente violento e a quel punto lì poi diventa un problema per tutti, anche per loro stessi, perché poi si fanno male anche fra di loro, voglio dire. Certo, sarebbe bene che si facesse, ad esempio nelle scuole più attività fisica, in modo tale che le energie, i picchi, siano più facilmente (come si può dire?) … spandibili all’interno della propria vita, dai ragazzi; invece l’attività fisica è molto poco presa in considerazione nel vostro sistema scolastico attuale. E non si rendono conto che molta parte dei problemi è perché questi adolescenti che hanno questi picchi di energia che comportano tantissimi elementi: la sessualità, l’affettività, il desiderio di staccarsi dalla famiglia, la voglia di fare cose diverse, la curiosità, e via e via e via e via, probabilmente sarebbero molto più facilmente governabili se le energie dei ragazzi venissero in qualche maniera incanalate anche in altre direzioni se fosse loro permesso di uscire, di essere espresse anche in altre direzioni e, quindi, diminuendo un po’ alla volta tutti i picchi interiori delle loro scelte
D - Sì sì, ci affiancano gli psicologi, ma quello … Sì, va be’, ma poi ci vorrebbe qualche cosa di diverso di uno psicologo che viene una volta ogni tanto, a cui non gliene frega niente, fra l’altro, di quel tipo di lavoro, ma lo fa soltanto per arrotondare le entrate, gli introiti.
D - Sì, il problema è che ci vorrebbe un insegnante per ogni allievo, in una situazione di questo tipo qua (no?). e lì diventa una roba, anche economicamente, che non so se è anche sostenibile. Questa, purtroppo, è la culturizzazione di massa. Se voi pensate agli antichi romani e agli antichi greci, questo l’avevano capito e tendevano più ad avere giusto un insegnante per ogni studente o per un piccolo gruppetto di studenti. E difatti fiorivano i filosofi, fiorivano i matematici, e via e via e via. Adesso fioriscono i «punk», che non sono proprio la stessa cosa; perdonatemi!
D - Sul discorso del movimento fisico, io l’ho voluto sperimentare anche su di me ed effettivamente può essere un nuovo modo per gestire, secondo me, la tensione, o rabbia che si vuol chiamare, ma credo … È valido per tutti i tipi di picchi, eh!
D - Certo; ma credo che dietro ci sia anche un altro aspetto, al movimento fisico; è il fatto che uno sposta l’attenzione da un’altra parte. Va bene. Certo.
D - Io ho l’impressione che – almeno, sempre sperimentando sulla mia persona – questo sia un punto cruciale; cioè l’innesco di questo processo, l’aumentare di questa produzione anche a livello fisico di queste sostanze che in qualche modo fanno montare la rabbia, nasce proprio dal fatto che io mi concentro su quel punto e diventa un circolo vizioso. L’esercizio fisico, ma può anche essere qualcos’altro, fa sì che sposto l’attenzione da un’altra parte e inevitabilmente alla fonte io chiudo il rubinetto, per cui è chiaro che il processo in qualche modo si interrompe. Certamente riuscire a focalizzare l’attenzione su qualche cosa che distoglie dall’esplosione del picco, permette al picco di sciogliersi senza provocare danni; per esempio, bene fa il nostro amico Fabio ad usare le carte per aiutare i bambini problematici, perché distogliere la loro attenzione, fargliela porre sulle carte che lui, con tanto amore, gli presenta, li aiuta non soltanto dal punto di vista cognitivo, di apprendimento o affettivo e via dicendo, ma anche li aiuta proprio a spostare l’attenzione da queste cose che non riescono a esprimere e che restano dentro e quindi provocano delle tensioni interiori, verso l’esterno; quindi aiutandoli a scioglierle, anche se inconsapevolmente, ovviamente, vista l’età e magari i problemi che hanno.
D - Ma scusa, Scifo, in base a quello che si diceva prima: «una volta compresa la mia rabbia diventa un dono», a quel punto se uno la manifesta non è più negativa, diventa il lato positivo della rabbia, perché aiuta gli altri; e quindi non c’è un’incomprensione ma c’è una comprensione alla base! Diciamo che, finché non l’avete compresa, si manifesta con un lato apparentemente negativo, ma può anche manifestarsi positivamente allorché questa conoscenza della rabbia viene usata.
D - Legandomi al discorso dei bambini, volevo dire che quando un bambino che non ha problemi di nessun … è normale (diciamo così per semplificare) e manifesta la sua rabbia buttandosi per terra e delle volte sbattendosi la testa sul muro (anche se sembra anormale) basterebbe riuscire a far sì che la sua attenzione … fargli spostare l’attenzione perché questa reazione diminuisca, senza sforzarlo invece di dire: «Stai fermo, guarda che ti fai male». Ma, le possibilità sono diverse. Una è quella che dici tu, di spostare l’attenzione; una è quella di sederglisi a fianco e dirgli: «Dai, va bene, va avanti, vediamo fino a che punto resisti al dolore, fino a che punto vuoi farti male»; vedrai che, quando sente male davvero, si ferma comunque; ma direi che principalmente per buona parte dei nonni, che non potrebbero mai arrivare a vedere se davvero si fa male – forse la cosa migliore, come sempre in questi casi, è quella di cercare di distrarre l’attenzione; anche se: distrai l’attenzione, fermi la situazione, ma non risolvi il problema.
D - Io avrei una domanda: perché è stata scelta proprio la rabbia come esempio di emozione? Perché è qualche cosa che conoscete chiaramente, direttamente tutti voi, è qualche cosa che può provocare grossi danni nella sua manifestazione; danni immediati, danni fisici, che veramente possono poi rovinare l’intera esistenza; quindi, tutto sommato, forse ci è sembrato che potesse essere un argomento, un esempio abbastanza ad ampio raggio, che permettesse di fare un’analisi su qualche cosa di completo con cui, bene o male, tutti voi vi siete trovati faccia a faccia qualche volta nella vostra vita.
D - Faccio fatica a trovare a livello astrale qualcosa che mi colleghi alla rabbia; cioè non ho le idee chiare, non riesco … Allora, la prossima volta, la prossima riunione, vedremo se avrete delle domande su quanto è stato detto fino adesso e poi incominceremo a parlare appunto della rabbia e dei suoi rapporti con quello che è il corpo astrale dell’individuo. Ad esempio quali sono le altre emozioni che eventualmente si accompagnano alla rabbia, ad esempio il rapporto tra la rabbia e la vibrazione astrale, come la vibrazione astrale interferisca con quella fisica (questo punto è abbastanza importante), come vengono ricodificate queste emozioni all’interno dei due corpi che stiamo esaminando, e via e via e via e via; quindi ce n’avete da pensare, creature! Lo so che per voi tutto questo risulterà difficile, perché se era difficile esaminare la rabbia sul piano fisico, mi immagino cosa sarà – che disastro sarà – esaminarla sul piano astrale, ma vedrete che con la pazienza …
D - Nel momento in cui noi abbiamo dei sogni rabbiosi, questi ci forniscono (…?...) degli elementi rispetto … cioè dobbiamo considerare una rabbia che si manifesta sul piano fisico o in qualche modo ci possono dare degli elementi per capire qualcosa sulla rabbia nel piano astrale? Potrebbero essere valide tutte e due le ipotesi …… se però tu potessi vedere te stessa, mentre stai sognando, con tutte le tue componenti; quindi avresti degli elementi che potrebbero essere utili se tu vedessi fisicamente come reagisci nel fare quel sogno, ad esempio; cosa che non puoi assolutamente fare.
D - Però prima del risveglio posso sognare … No no, nel momento stesso in cui ti svegli, quello che hai sognato è già completamente travisato dal tuo Io.
D - Quindi tutti quelli che si mettono a interpretare i sogni colloquiano col proprio Io, fondamentalmente? Certamente. Dicono delle grandi baggianate, solitamente, riflettendo la propria interiorità sui sogni degli altri.
D - E quindi uno interpreta solo i propri sogni, in realtà, allora? Solitamente sì; tanto è vero che se andate anche a leggere l’interpretazione dei sogni di quello che è stato il maestro di questo tipo di interpretazione, ovvero Sigmund Freud, vedreste che nei sogni che interpretava, poi, alla fine, proiettava principalmente quello che voleva vedere lui, dimenticandosi magari altri elementi che erano altrettanto o più importanti. Certamente, interpretare i sogni di un altro è difficile farlo restando obiettivi, restandone al di fuori; che, d’altra parte, poi è lo stesso problema che hanno gli psicologi, gli psicanalisti intendiamoci eh! Non è che interpretare il sogno, interpretare l’inconscio o le azioni, o i problemi interiori di una persona sia meno facilmente proiettabile dall’analista dei propri desideri, dei propri impulsi, dei propri bisogni. Certamente voi direte: «Ma gli psicanalisti fanno lunghi anni di psicoterapia», ecc., imparano come lo psicanalista proietta se stesso sugli altri; non è che cambi poi molto.
D - Forse possono interpretare correttamente solo ciò che hanno compreso; è il discorso che si faceva prima. Il discorso dei «doni». Se per combinazione fortuita – ma qua bisogna essere proprio fortunati – hanno capito qualche cosa che voi non avete ancora capito, allora possono – attraverso la loro comprensione, il dono che è rimasto interno nel loro carattere – possono aiutare la persona che sta davanti a comprendere quel qualche cosa nella maniera migliore, nella maniera meno dolorosa, quanto meno.
D - Però se sono particolarmente attenti, dovrebbero riuscire a capire quando non sono in grado di aiutare l’altro. Certamente, certamente, però purtroppo devono vivere usando le persone … Purtroppo la situazione è quella, non dimentichiamoci che c’è una vita da condurre e non tutti si accontentano di (che ne so?) andare al mare su una nostra spiaggia, ma vogliono andare alle Bahamas! E, allora, l’importante è che siano tanti i pazienti e che si possa fare il viaggio alle Bahamas! D’altra parte, per ora la vostra società ha ancora questo tipo di coscienza, ma le cose stan cambiando; vedrete che cambieranno anche abbastanza velocemente. Non so se la maggior parte di voi vedrà i cambiamenti perché, per quanto velocemente, non saranno così veloci, ma alla prossima vita troverete tutto diverso. … quei pochi di voi che ancora si incarneranno! Creature, dopo questa «battuta» vi saluto, serenità a voi! (Scifo)
La pace sia con tutti voi, figli. Eccoci qui, ancora un anno assieme, inaspettato un po’ per tutti, in fondo. Mi piacerebbe sapere se voi vi siete chiesti il perché di queste riunioni e dell’andamento di queste riunioni. Conoscendovi, penso di no; e, allora, vorrei ricordarvelo un attimo io. Abbiamo deciso di continuare a intervenire per, questa volta, non portare nuovi concetti, nuove teorie, ma per cercare di fornire a tutti voi, a tutti coloro che leggeranno le nostre parole in qualche maniera, il modo di osservare come quanto noi abbiamo speso in discorsi in questi più di 30 anni non è soltanto fatto di teorie, ma è possibile applicarlo anche in pratica, nella vita di tutti i giorni; perché vedete, figli nostri, la filosofia è bella, è importante, interessante, è coinvolgente, però, per quello che riguarda la vostra vita, ha un’importanza soltanto relativa. Certamente, può aiutarvi a conoscere alcune meccaniche, puoi fornirvi i mezzi per comprendere di più voi stessi, ma quello che è veramente importante - l’abbiamo sempre detto e lo ripetiamo anche questa sera - è riuscire a vivere la vostra vita, le esperienze che vi arrivano, nel modo giusto, nel modo migliore a mano a mano che vi avvicinate ad esse. Ecco che queste riunioni, per questo ciclo - chiamiamolo ancora così; mi ricorda i bei tempi - basato sulla “rabbia” servono proprio a cercare di farvi comprendere come, con tanta buona volontà e tanto coraggio, è possibile avvicinarsi a comprendere qualche cosa di più di voi stessi, non applicando soltanto i concetti filosofici ma anche applicando la più semplice delle osservazioni. Per questo motivo, il fratello Scifo è partito dall’esame della rabbia rispetto al corpo fisico: perché è la cosa più vicina a voi. Tutto il resto, poi, sarà una conseguenza. Io mi auguro che voi questo lo teniate sempre presente e ricordiate che, se partecipate, se avete - come voi pensate spesso - “la fortuna” di poter essere presenti con costanza a queste riunioni, questo significa che dovete mettere tutto l’impegno che riuscite a mettere per cercare di rendere utile il nostro venire fra di voi; anche perché ricordate che costa fatica a tutti, non soltanto a voi; e quindi perché sprecare le energie, le fatiche di tutti quanti quando è possibile, queste energie, farle servire a qualcosa di utile prima di tutto per voi stessi e poi per chi vi sta accanto? Certo, potete uscire da questi incontri e dimenticare tutto quello che è stato detto, oppure potete accontentarvi di farvi raccontare da chi vi sta accanto magari le sue considerazioni, ma non è la stessa cosa che se le considerazioni le fate voi. Questo fa parte della vostra crescita, dovrebbe essere uno stimolo in più per aiutarvi a vivere meglio la vostra vita, quella vita che così spesso sembra opprimervi, essere difficile e pesante; eppure dovreste arrivare prima o poi a comprendere che se la vostra vita vi appare, vi sembra, la sentite così pesante, così opprimente, è perché non avete capito ancora qualcosa. E, allora, quando vi viene offerto il modo per capire, non evitatelo, cercate di farlo vostro, in modo da rendere utile tutto quello che l’esistenza vi propone. Che la pace sia con tutti voi, figli. (Moti)
Creature, serenità a voi! Mi sembra che non abbiate riflettuto abbastanza su quello che riguarda la rabbia e il corpo fisico; siete arrivati a parlare di “rabbia e archetipi” chiedendovi se la rabbia è un archetipo; cosa decisamente fuor di luogo nonché completamente assurda e improponibile. Per troncare sul nascere una discussione di quel genere, posso dire che la rabbia non è un archetipo. “Ma perché?”, direte voi. Io intanto direi che non avete ancora ben compreso cos’è un’emozione. La rabbia è un’emozione, creature, cos’è un’emozione?
D - Potrebbe essere che la rabbia è una reazione ad una emozione. Quelle che voi definite emozioni - solitamente e comunemente - in realtà non sono le emozioni, ma sono le reazioni che voi avete all’interno del piano fisico; che avete definito emozioni nel vostro linguaggio perché non volevate altro modo migliore per definirle, ma le emozioni non appartengono al piano fisico, le reazioni appartengono al piano fisico. Le emozioni, in realtà, appartengono a qualche altro piano di esistenza, a un altro corpo, appartengono al corpo astrale che è proprio quello preposto a gestire e a permettere di esprimere le emozioni, le sensazioni, i desideri. Ora, se ci pensate bene, nella definizione di “corpo astrale” ho detto che il corpo astrale non è quello che provoca le emozioni, è quello che permette di gestire, di esprimere le emozioni; e mi sembra che son due cose abbastanza diverse! Allora, a questo punto, forse è meglio ri-ragionare un attimo su tutto: com’è il cammino dell’evoluzione all’interno dell’individuo? L’emozione, creature, come può essere definita nella maniera più semplice?
D - È una vibrazione. Bravissimo. Da dove parte questa vibrazione?
D - Dall’akasico. Parte dall’akasico sotto forma di cosa?
D - Di desiderio? D - Di richiesta di comprensione. Quindi di vibrazione, ancora una volta; no? Dunque, l’akasico ha bisogno di comprendere qualche cosa,… diciamo che desidera, anche se dire che l’akasico desidera non è veramente giusto, però dire “desidera” può rendere l’idea di questo akasico che ha, diciamo, il bisogno di arrivare a comprendere se stesso e quindi invia questa vibrazione verso il resto delle sue componenti per cercare di avere dei dati per comprendere se stesso. Ora, questa vibrazione, ovviamente, per arrivare ad esprimersi sulla palestra che serve al corpo akasico per comprendere le sue reazioni, ovvero il piano fisico, attraversa i vari piani di esistenza quindi ecco che questa vibrazione attraversa il corpo mentale, e quindi si ricopre di una certa struttura di materia mentale, attraversa il corpo astrale, e quindi reagisce secondo i dettami della materia astrale, ricoprendosi anche di materia astrale, arriva al corpo fisico. Fermiamoci un attimo qua. Noi abbiamo detto, all’inizio di questi incontri, che il carattere di una persona è stabilito all’interno della sua catena genetica (ricordate?) quindi, in qualche modo, c’entra con come l’individuo poi, alla fine, riuscirà ad esprimersi all’interno del piano fisico; è evidente. Ora, questo passaggio della vibrazione, questa richiesta dell’akasico che arriva al piano fisico passerà anche attraverso la catena genetica. La catena genetica, voi ricordate che, diciamo, queste richieste formano un circolo (no?) dall’akasico al fisico, dal fisico all’akasico. Ora, questa vibrazione - rivestita di materia mentale, quindi che mette insieme una serie di pensieri che accompagnano la richiesta e rivestita di materia astrale, che quindi mette insieme un insieme di emozioni e reazioni emotive che accompagnano questa richiesta - arriva alla catena genetica, la quale ha al suo interno queste caratteristiche tipiche del carattere di ogni persona. Ora, chiaramente - considerato l’esempio della rabbia che abbiamo fatto - ogni persona, ognuno di voi, avrà all’interno della sua catena genetica una certa possibilità di reagire a un certo tipo di vibrazioni che hanno a che fare in qualche maniera con la rabbia. Ognuno di voi reagirà in maniera diversa, ovviamente. E con queste reazioni in maniera diversa cosa accadrà? Accadrà che nel momento del ritorno dal piano fisico al piano astrale, poi al piano mentale e poi al piano akasico, subirà l’influenza dell’ambiente in cui l’individuo vive, quindi subirà l’influenza della personalità che è modellata dall’ambiente dell’individuo, quindi subirà l’influenza degli archetipi transitori, per esempio. Giusto? A questo punto ci sarà la reazione di tutti questi elementi concomitanti all’interno del piano fisico ed ecco che la rabbia si esprimerà secondo le modalità personali tipiche di ogni individuo, con una parte di caratteristiche fisiologiche che saranno uguali da individuo a individuo, e con diverse sfumature, diverse emozioni aggregate, che dipenderanno dal tipo di personalità che l’individuo ha messo in atto per esprimere le componenti del suo carattere; quindi ci sarà chi si arrabbierà per l’invidia, ci sarà chi si arrabbierà per un’ingiustizia, ci sarà chi si arrabbierà perché non viene ascoltato, o perché si sente inferiore, e via e via e via e via. Ognuno di voi avrà tante componenti collaterali collegate all’elemento rabbia che caratterizzano la sua reazione all’interno del piano fisico.
D - Non riesco a capire. La vibrazione che parte dall’akasico, la necessità di comprensione, può essere intitolata “rabbia” oppure semplicemente… quindi il mio corpo akasico ha la necessità di chiarire qualcosa rispetto a quella che è la rabbia e in qualche modo incanala questa vibrazione che arriva e poi si esprime, come dicevi adesso, a seconda del… del… non importa poi esattamente dove, ma per invidia, per… per diversi motivi possibili. Questa è una possibilità. L’altra possibilità è: l’akasico ha una necessità di comprensione neutra, non necessariamente sulla rabbia. Nel momento in cui… poiché io l’ avevo immaginata così la risposta… Nel momento in cui la necessità di comprensione incontra una serie di ostacoli o si va… non riesce a fluire liberamente, genera una risposta a questo punto effettivamente determinata dall’interazione fra ambiente e personalità e carattere che ha, come caratteristica distintiva, quella di essere rabbiosa. Mi sono spiegata?
D - E non so qual è di queste due! Mah, diciamo che è una via di mezzo fra le due; ovvero la richiesta di dati che proviene dall’akasico è la più neutra possibile, però l’akasico la fa partire da delle zone di se stesso in cui ci sono delle vibrazioni ancora in subbuglio per mancanza di comprensione che, quindi, in qualche modo, condizionano e indirizzano il tipo di richiesta che inviano; quindi non è che l’akasico mandi una richiesta di sperimentazione della rabbia. L’akasico invia le sue richieste di esperienza e, poiché queste richieste di esperienza provengono dalle zone dell’akasico che non sono ancora sistemate, che non sono ancora tranquille (diciamo così), esse portano in sé un tipo di vibrazione particolare che ha il germe di quelle che sono le cose ancora da comprendere. Capisci quello che voglio dire?
D - Fin qui sì. Però poi non riesco a... Nel momento in cui attraversa gli altri piani per arrivare al piano fisico, questo tipo di vibrazioni attiverà la materia mentale, di conseguenza a queste vibrazioni che sono in partenza, quella astrale, in conseguenza sempre di queste vibrazioni di partenza, e poi si scontrerà con il carattere, e con l’espressione del carattere della persona; andando a mettere in moto quel tipo di vibrazione “simile” a quella che era la richiesta di partenza dell’akasico in maniera tale che l’individuo reagisca tenendo conto interiormente di quelle vibrazioni. E, quindi, ci sarà l’esperienza, che potrà portare alla rabbia e a tutte le sfumature collegate alla rabbia.
D - Posso chiedere? Tu hai detto all’inizio che la rabbia non è l’emozione ma è come questa si manifesta sul piano fisico; no? Sì.
D - Però a me verrebbe più da pensare il contrario; per dire: io mi arrabbio, quindi ho l’emozione della rabbia, strozzerei quello che ho di fronte, vedo che è un marcantonio di due metri e, invece di strozzarlo, gli faccio un bel sorriso; quindi io ho la rabbia all’interno, però all’esterno invece reagisco in modo diverso. Non so se mi sono spiegata. Cioè reagisco in modo non rabbioso, diciamo così come noi intendiamo il modo rabbioso, però in realtà la rabbia rimane all’interno; quindi sembrerebbe proprio che la rabbia sia più l’emozione che provo e poi dopo io però, a seconda della situazione, delle convenzioni sociali, reagisco all’esterno in modo differente. Certamente. Non dimentichiamoci che c’è l’Io poi a modulare tutto quanto, eh! Quindi l’Io ha la facoltà, se vuole, se non è travolto dal picco della rabbia perché il punto importante, ricordate, è il picco della vibrazione della rabbia - se non è travolto da questo picco e riesce a mantenere il controllo della situazione, modulerà la sua reazione a seconda di quelli che sono i suoi interessi.
D - Quindi, a questo punto, la rabbia come vibrazione che viene dall’akasico ha una connotazione molto sfumata rispetto alla rabbia che intendiamo noi, sostanzialmente? Certamente. È tutta un’altra cosa! Non è più soltanto una reazione, ma qualcosa di ben più complesso che investe tutta la vostra costituzione.
D - Sì, e non è neanche così ben caratterizzata; cioè è difficile caratterizzarla, a questo punto. Ma, infatti, abbiamo detto che tutte quelle che voi definite emozioni: rabbia, gioia, persino amore, dolore e via dicendo, in realtà non sono emozioni singole, ma sono una costellazione di emozioni che, in qualche modo e in misura diversa da persona a persona, si sorreggono, si alimentano l’una con l’altra.
D - Però, comunque, l’abbozzo di connotazione di partenza serve poi ad avere una risposta che sia utile, altrimenti sarebbe come sparare nel mucchio. Certamente; ma anche con l’esempio che faceva la nostra amica prima, ovvero della persona che dice: “Quello è troppo grosso, sarà meglio che non faccia l’arrabbiato ma che faccia un sorriso”, anche questa è una reazione alla rabbia che, tutto sommato, insegna qualche cosa, se uno sa guardarla.
Certo, la rabbia è l’espressione dell’akasico; non c’è da capire qualche cosa sulla rabbia, c’è da capire che cos’è che fa nascere la rabbia. D - Quindi, se la rabbia è un qualcosa che deve essere risolto, è una turbolenza di partenza che viene messa in atto? Sì.
D - Cioè a me non me ne deve fregare niente se è positiva o negativa o che cosa, io devo solo cercare di capire questa mia reazione da che cosa nasce. Può nascere da una ferita, da una cosa che non ho compreso, che mi fa scatenare in certi momenti effetti emotivi intendo… Ma senza dubbio; io direi che sarebbe bene che consideraste che il 90% delle volte, quando avete picchi emotivi così forti - picchi di reazione emotiva, adesso sarà meglio dire, d’ora in poi, così ve lo ricordate - chiaramente questi picchi di vibrazione così forti, la maggior parte delle volte si tratta di meccanismi di difesa; quindi bisogna che riusciate ad arrivare a comprendere da che cosa vi difendete. Potreste difendervi da quello che vi sembra che gli altri vi stiano facendo, potreste difendervi… che so io?… dalla paura di osservare voi stessi, potreste difendervi dall’incapacità di interagire in maniera tranquilla con gli altri; ci sono mille, mille, e mille modi diversi per ognuno di voi, per cui scattano questi meccanismi di difesa. Ecco, se voi attraverso questi picchi, queste reazioni, riusciste un attimo a focalizzare la vostra attenzione su quali sono i meccanismi di difesa che hanno messo in atto, alimentato questi picchi vibratori, riuscireste già a trovare un filo conduttore per arrivare a comprendere meglio le vostre meccaniche e quindi voi stessi.
D - Quindi anche la paura, la paura di non riuscire a interagire? Certamente; la paura di non essere capiti, la paura di non essere accettati.
D - Quindi si può dire che principalmente dietro a un picco di rabbia c’è la paura; paura legata a qualcosa di più profondo però c’è una paura, alla fin fine. In linea di massima direi di sì e, quindi, di conseguenza, proprio per il fatto che si tratta di una paura, è naturale che ci sia immediatamente un meccanismo di difesa da parte dell’Io.
D - E il fatto di reagire con un picco di rabbia può essere legato al fatto che l’Io è subito destabilizzato e quindi avrebbe la possibilità di osservarsi, o forse è una reazione per nascondere questa cosa? Questa è una domanda interessante. Nei momenti in cui ci sono i picchi di rabbia, cosa succede all’Io?
D - Destabilizzazione totale. Giusto. Destabilizzazione totale, ovvero resta completamente spodestato, preso anch’esso di sorpresa da quella che è la reazione.
D - Resta sorpreso da una vibrazione che viene dall’akasico però. E che non conosce, in sostanza. Che, quindi, non riesce a modulare, non riesce a gestire. Su cui ha perso il controllo, sa di non poterla controllare e, quindi, gli fa paura.
D - E non riesce a controllarla perché? E’ troppo violenta? E’ troppo… Perché arriva improvvisa, è come una scarica, una scarica improvvisa…
D - Ma se la rabbia è una risposta a una paura, la paura arriva da su, incontra bla bla bla, arriva all’ambiente e la reazione, quindi la risposta è la rabbia, che ha un picco. E, quindi, stiamo dall’altra parte, quando stiamo tornando indietro… E’ la vibrazione di rimando mia che sto rimandando all’akasico quella della rabbia che provo! Ma la rabbia è la punta del picco, è l’espressione del picco sul piano fisico. Però il picco non è fatto soltanto dall’espressione, è fatto di tutto quello che si porta dietro. Considerate che il picco sia come una specie di uragano, una turbolenza interiore, che in qualche modo spazzola tutta l’interiorità e porta con sé, porta a galla tutto quello che sta fluttuando all’interno (che so io?)… i fantasmi, le paure, le reazioni, i meccanismi di difesa, le cristallizzazioni; scombussola tutto e permette a tutto di uscire fuori in maniera esplosiva.
D - Che poi fa nascere i sensi di colpa se la cosa va oltre i limiti. Certamente. Poi c’è la reazione di ritorno, a completamento del ciclo, quando la reazione di rabbia si è espressa, allora i dati ritorneranno attraverso corpo astrale, corpo mentale al corpo akasico e porteranno tutte le reazioni che ci sono state, e man mano che attraverseranno i vari corpi lascerà qua e là una parte di quelle vibrazioni che appartenevano al picco e che faranno nascere all’interno dell’individuo giusto come dicevi tu - i sensi di colpa o altri elementi collaterali che si metteranno in circolo e poi alimenteranno, ritorneranno quando ci sarà un altro picco, eventualmente, successivamente.
D - E quando riesci a esplodere proprio completamente (qui non stiamo parlando di rabbia che ammazzo uno, eh!)…Che poi ci deva essere un assestamento, dopo aver avuto una turbolenza così forte ci vuole un po’ di tempo per riprendere l’assestamento giusto, però può anche essere… C’è la connotazione negativa ma anche quella positiva. Certamente, senza ombra di dubbio! Quando c’è la rabbia che esplode incontrollata accade molte volte che, subito dopo l’esplosione di rabbia (o poco dopo) cosa accade? Accade che l’individuo si mette a piangere, a singhiozzare. Questo, perché? Perché ormai il picco vibratorio si è dimezzato, è diminuito, quindi la tensione si va allentando, i meccanismi interiori del corpo stanno producendo meno di quelle sostanze che stavano producendo ed ecco che vi è come una specie di tracollo fisico. Ma è un tracollo che però non riguarda soltanto il fisico, riguarda anche gli altri corpi; perché il picco vibrazionale voi lo vedete esplodere all’interno del piano fisico, ma in realtà è esploso prima all’interno del piano astrale e all’interno del piano mentale, quindi ha messo in subbuglio la vostra materia mentale e anche quella astrale.
D - Scusa, sull’esempio che facevi prima, appunto, come un’ondata che porta a galla completamente quello di sommerso che non volevamo vedere, poi c’è la ricostruzione dell’Io: l’Io deve riprendere un suo equilibrio e quindi cerca di ripristinare o attraverso dei fantasmi come una cristallizzazione che automaticamente ripristina quello che c’era prima oppure, come immagine, cerca di ripristinare la situazione precedente, in sostanza? Ma l’Io, diciamo, quasi automaticamente - voi sapete che l’Io in realtà è soltanto una concezione per spiegarvi quello che succede, l’Io cerca immediatamente di vedere se riesce a ripristinare la situazione com’era prima ma, dopo l’esplosione di un picco, non può più ripristinarla! Perché, chiaramente, qualche cosa è cambiato. È come un caleidoscopio: se lo muovete un attimo, l’immagine che vedete nel caleidoscopio non è più la stessa. La stessa cosa accade all’insieme dell’individuo allorché c’è stata l’esplosione di un picco; allora cosa fa? La cosa più ovvia e più veloce che l’Io può fare è quella di cercare rapidamente di ricostruirsi un’immagine che tenga, in piccola parte almeno, conto di quello che è successo; e, quindi, di cercare di giustificare quello che è successo cambiando la propria immagine. È un adeguamento che fatte tutti voi in continuazione, d’altra parte. Se volete pensare a un esempio, pensate ai bambini, che sono sempre degli esempi importantissimi da osservare; guardate quando i bambini hanno esplosioni di rabbia, i loro picchi di rabbia, cosa succede subito dopo. Il bambino, il più delle volte, dopo essersi arrabbiato, scoppia a piangere, come può fare un adulto e allora cosa fa il suo Io? Interviene immediatamente per cercare di rendere il picco di rabbia utile al fine di ottenere quello che cercava. Lì, perché non c’è ancora un insieme della coscienza costituito, non tutti i corpi sono completamente collegati, ma quando si tratta di un individuo adulto, non può più scopertamente agire in questa maniera furbetta, per cercare di ottenere attraverso la sua rabbia quello che non riusciva ad avere, e allora cosa fa? Adegua la sua immagine, cercando di includere nell’immagine anche il perché di questo scoppio di rabbia; ma questo provoca, ovviamente, un’alterazione dell’immagine che l’Io ha, quindi un avanzamento, un cambiamento dell’Io.
D - Quindi nei momenti di scoppio di rabbia, di questo picco, cioè potenzialmente sarebbe uno dei momenti migliori per osservarsi? Certamente.
D - Però, in un momento in cui si è così coinvolti, fare l’osservazione… Diciamo che l’osservazione, in realtà, poi, alla fin fine, il corpo akasico ovviamente continua a farla quando succede tutto questo, proprio perché parte da lui la cosa, è lui che ha bisogno dei dati che ha provocato questo tzunami interiore all’individuo però voi, come consapevolezza all’interno del piano fisico, certamente non potete mettervi con l’intenzione di osservare quello che vi sta succedendo; non ci riuscireste. Siete troppo sotto-sopra in quel momento per poterlo fare. Quello che potete fare, però, è subito dopo o nel momento in cui il picco è finito e le energie tornano a essere un pochino più stabili, cercare di osservare quello che vi è successo e quindi di andare un po’ più in profondità nel comprendere quali sono le motivazioni che vi hanno spinto. Questo lo potete fare. Certamente resterete in superficie perché, osservando dal piano fisico, non è mai possibile andare veramente alla radice dei problemi, ma permetterà alle energie comunque di fluire e di riprendere la loro circolazione normale, di rifluire più facilmente verso il corpo akasico.
D - Però si può riuscire ad avvicinarsi… perché succede spesso su situazioni ripetitive e, quindi, si può cominciare a isolare un pochino la situazione; non tanto, ma qualcosa si può fare, perché ci son sempre degli elementi ripetitivi. Anche se cambia la situazione, però ci sono degli elementi ripetitivi; almeno, per quello che ho osservato su di me. Naturalmente, ma per forza di cose; perché, se come abbiamo visto, questo discorso passa attraverso il carattere della persona - il carattere e poi la personalità, quindi l’espressione del carattere all’interno del piano fisico - il modo di esprimersi dell’individuo è abbastanza costante nel tempo; quindi sotto lo stesso tipo di stimolo, c’è la possibilità - anzi la quasi certezza - che l’individuo reagisca nella stessa maniera nell’espressione nel piano fisico.
D - Cioè, io per esempio urlo, sbraito, dico parolacce; all’infinito questa cosa, però arriva un momento di stop. Io mi son resa conto che, nelle grosse discussioni, cioè diluivano nel tempo. Quello che io non riesco a capire è però se ho la possibilità, osservando le mie reazioni, le mie motivazioni, eccetera, di finirla ‘sta storia, come se fosse una malattia che guarisce. Può avvenire che uno riesca a comprendere nel corso della vita ciò che gli fa scatenare la rabbia? Può avvenire, certamente; può avvenire non che lo comprenda l’individuo all’interno del piano fisico, ma che lo comprenda la sua coscienza, il suo corpo akasico; e allora questo immediatamente farà finire quel tipo di comportamento; ma può invece avvenire, all’interno del piano fisico, che l’individuo un po’ alla volta porti alla consapevolezza alcuni elementi di quello che gli succede e, quindi, stemperi le sue reazioni; quello che, d’altra parte, ti sta succedendo.
D - Perché, in fondo, sono tante reazioni scatenate da vari motivi che fan nascere ‘sta rabbia; che hai detto che poi, comunque, è scritta nel carattere; giusto? E diventa un’espressione… cioè, quand’è che scatta? La rabbia è un insieme, un groviglio di emozioni, poi. Sì, perché porta con sé tanti elementi che si mettono assieme e, alla fine, c’è una tale massa di vibrazioni che sono anche in urto, in contrasto tra di loro, che alla fine esplode, deve uscire in qualche maniera, deve sfogarsi in qualche maniera, altrimenti l’individuo esploderebbe emotivamente! È quello che accade, d’altra parte, in certi episodi piuttosto forti, piuttosto importanti di pazzia, in cui l’individuo, aggrovigliato da tutti questi elementi interiori, finisce per avere una situazione vibrazionale tale per cui i suoi vari corpi restano destabilizzati e quindi si ha quella che voi potreste definire una forma di schizofrenia, o di paranoia e via dicendo. Però qua andiamo molto più nel dettaglio, diventerebbe troppo tecnica la cosa. (Scifo)
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